CAPITOLO 05

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SIMONE

La matita che avevo tra le dita sembrava avere vita propria,una volta toccata la pagina bianca e liscia del cartoncino da disegno.

Le linee si disperdevano veloci,quasi fossi un automa.

Quella casa stava prendendo forma poco a poco e speravo fosse sufficientemente adatta alle richieste dei miei clienti.

Una planimetria da tre mila metri quadri era stata la richiesta numero uno.

Il tetto doveva essere composto da pannelli solari,così la casa avrebbe sfruttato quella stessa energia.

Doveva esserci una piscina,compresa di sdraio e gazebo,un campo da tennis perché il figlio dei signori Dallas era un atleta a livello mondiale e un garage che potesse essere grande abbastanza per la sua collezione di auto d'epoca.

Uno sguardo all'orologio mi dice che è sera inoltrata e che stavo lavorando a questo progetto da parecchie ore.

Non ero stanco e non ero annoiato,era il mio lavoro,quello che amo fare. Essere architetto significava prima di tutto esaudire le richieste delle persone che si affidavano a me,significava essere in grado di capire al meglio ciò che loro volevano,significava cadere in empatia con i clienti...ed io ero maledettamente bravo in questo.

Capire le persone nel mio lavoro mi veniva facile,ma non potevo dire la stessa cosa quando si trattava di capirle nella vita di tutti i giorni. Non spiccavo di sensibilità,questo era vero.
Ma era anche vero che preferivo non mostrare quello che poi,sapevo,non avrei potuto continuare a mostrare.

Non promettevo nulla alle persone,alle ragazze in particolare. Se solo avessi dimostrato quel qualcosa in più...sarebbe stata la fine.

E questo mi ricorda che io lo avevo già fatto,per questo non volevo ricadere in errore.

La mia mente per un attimo ripercorre quel viale dei ricordi,quei ricordi non molto lontani,appena qualche anno fa.

La mia mente,per un attimo,ricorda che ero stato completamente un'altra persona,quando si trattava di lei.

L'unica in grado di farmi sentire più leggero,l'unica che era sempre stata dalla mia parte,l'unica che si era avvicinata troppo...l'unica dalla quale dovrei stare alla larga.

I miei occhi si posano sulla mia scrivania,nel mio studio. Accanto alla lampada c'era un orsacchiotto di peluche alto non più di dieci centimetri. Uno di quelli che si vincono alle fiere del paese sparando delle lattine poste su dei scaffali.

Lei lo aveva vinto ma quando siamo tornati a casa,aveva dimenticato di prenderlo.
Quando si rese conto di non averlo più,mi chiese di controllare dappertutto.

Sorrido a quel ricordo perché io,da bravo coglione quale fossi,avevo anche cercato nella mia auto quel peluche,per assecondarla,mentre ero più che consapevole di dove fosse...sulla mia scrivania,dove sarebbe rimasto per sempre.

Un messaggio mi appare sullo schermo e alzo gli occhi al cielo. Wajette mi stava tartassando per vederci da Olly.

Dopo aver risposto,mi alzo dalla sedia e raccolgo le matite e le squadre per sistemarle.

NON RIESCO AD ODIARTI Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora