57. spazio

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STAZIONE SPAZIALE COLLINS - 12 LUGLIO 4574 DEL CALENDARIO TERRESTRE


Ian non ricordava di preciso quando avesse chiuso gli occhi l'ultima volta. Gli capitava spesso di sentirsi disorientato al suo risveglio, un effetto collaterale dei sedativi che gli venivano iniettati per spegnere i suoi poteri sin da quando era un infante. Riconobbe, tastandola, la divisa aderente in tessuto tecnico grigio scuro che gli era stata fatta indossare al di sotto della tuta spaziale. Era comoda come una seconda pelle, eppure al tocco aveva un che di ruvido.

Percepì vagamente il ronzio elettrico tipico dei dispositivi digitali, come anche il soffio a malapena udibile delle valvole per l'aria che regolavano il corretto afflusso di ossigeno nella stanza. Gli sovvenne all'improvviso di aver sentito quello stesso suono prima di addormentarsi, ancora su Nepher, subito dopo aver incrociato lo sguardo di Thomas Havel per l'ultima volta.

L'intorpidimento causato dai farmaci se ne stava lentamente andando, scivolandogli via di dosso come una miriade di formiche che gli percorrevano il corpo. Si rese conto in quell'istante che, nonostante il mercenario pel di carota non fosse con lui a cancellare i suoi poteri, c'era silenzio. Ma era un silenzio diverso da quello a cui era abituato: era più simile a una bolla, come stare sott'acqua. Anche le sensazioni che riusciva a percepire erano contenute, assurdamente normali nella loro semplicità. Si sentiva ovattato persino nei movimenti, ricordando solo dopo qualche attimo di confusione che quello strano effetto era dovuto alla diversa gravità.

Ancora rintronato, Ian si guardò attorno più attentamente registrando in un angolo del suo cervello che c'era qualcosa di sbagliato. La stanzetta in cui stava era poco più grande di uno sgabuzzino, fatta di freddo metallo lucido color antracite. In alto, al posto del lampadario, c'era una striscia di led nascosta nell'incavo tra le pareti e il soffitto. Ian se ne stupì più che di ogni altra cosa, rimanendo affascinato dal lento pulsare della luce verdognola che gli ricordava il battito di un cuore.

Provò a muovere i piedi, realizzando di essere steso su una brandina. Non se ne era accorto fino a quel momento, così si mise a sedere con un colpo di reni. Dimentico dell'addestramento ricevuto prima della partenza, il giovane si ritrovò a galleggiare a qualche centimetro dal letto, tenuto saldamente da alcune cinture di sicurezza che lo ancoravano a esso: si era dato troppa spinta. Le slacciò con cura, incuriosito dal fatto che le cinghie non producessero rumori forti, e con cautela si posizionò meglio sul materassino che, si accorse, sembrava fatto d'acqua o di un composto simile al gel.

Prese un respiro, lento e misurato, tentando di riacquistare il controllo del proprio corpo che pian piano si stava risvegliando. Dal mare di nebbia che gli rintronava la mente si fecero strada timidi ricordi e una vaga sensazione di déjà-vu, portandolo pian piano a riconoscere quel luogo che aveva un che di familiare e al contempo di alieno.

Era sulla COLLINS.

Ed era da solo.

"Ma-mamma?"

Si stupì di come la sua voce risuonasse all'interno della stanza: non fastidiosa, bensì atipica. Non c'era abituato. Persino nel laboratorio che gli faceva da casa, a Makt, non aveva mai sperimentato una cosa del genere, nonostante abitasse in una stanza isolata da qualsiasi rumore esterno.

Thomas cancellava le sue capacità spegnendo i suoi recettori ipersensibili. Lì, però, erano accesi: allora come mai non provava dolore?

"Ben svegliato, Ian."

La voce vagamente robotica di MINSKY attirò la sua attenzione. Ian sbatté le palpebre, preso in contropiede, e si girò a destra e sinistra cercando di localizzare il punto dal quale l'intelligenza artificiale doveva aver parlato. Si sentì un ingenuo quando realizzò che l'aveva fatto dall'interno del dispositivo che portava al polso, una semplice striscia di vetro trasparente che gli faceva da bracciale. Sembrava in tutto e per tutto fatto dello stesso materiale dei cellulari che conosceva, però invece di essere un rigido pezzo di vetro sembrava morbido, in grado di piegarsi e seguire i suoi movimenti senza dargli fastidio.

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