60. libertà

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MAKT, ZEKA - 8 LUGLIO 4574 DEL CALENDARIO TERRESTRE


Erano già due ore che Katrina scriveva ininterrottamente codice. Doveva accedere al laboratorio del padre se voleva raggiungere il computer quantico dove si trovava MINSKY, ma per farlo doveva per forza sbloccare la porta d'accesso che lo separava dai quartieri civili dove abitava la sua famiglia e il resto dello staff. L'accesso a quell'area era limitato e protetto da una serratura elettronica: l'ultima volta aveva potuto superarla solo grazie all'AI, che le aveva concesso una access key temporanea per ventiquattro ore. Tracce di quella chiave erano ancora presenti nei log di sistema del suo holowatch, perciò il suo tentativo migliore era provare a metterle assieme e generarne una nuova.

Ma, se nella teoria quel piano filava liscio, purtroppo metterlo in pratica non era affatto semplice come sembrava.

Katrina si era presto resa conto di quanto fosse complesso hackerare i sistemi informatici del padre senza l'aiuto di MINSKY. I suoi interventi sembravano di poco conto, tanto che per un momento la giovane aveva quasi creduto di potercela fare anche senza di essi; invece, erano fondamentali. L'intelligenza artificiale aveva accesso al cuore digitale del laboratorio e per questo per lui era facile garantirle password e ingressi gratuiti ovunque.

Aveva sempre giocato in modalità facile con lui accanto e lo capiva solo adesso.

Era chiaro che l'unico modo che le rimaneva per portare avanti la sua missione di salvataggio era sfruttare appieno il proprio potere superumano, ma l'idea non le piaceva per niente. Ricordava fin troppo bene com'era finita l'ultima volta, ennesima esperienza negativa che si aggiungeva ai motivi per cui lo odiava. Non avendo alcuna intenzione di usarlo continuativamente per ore, Katrina decise almeno di simulare l'aiuto che le aveva fornito MINSKY l'ultima volta col circuito di sorveglianza. Le telecamere che punteggiavano il laboratorio e parte degli spazi civili erano sempre vigili, ma era già riuscita a penetrare nel sistema affiancata dall'AI in occasione della sua piccola incursione della volta scorsa. Non ebbe difficoltà a ripetere la cosa, sicura di non sollevare allarmi ora che la mente principale di MINSKY risultava offline. Una volta dentro, vi installò un piccolo virus di sua invenzione. Grazie al suo orologio intelligente - una versione compatta ed efficiente dei moderni cellulari chiamata holowatch - avrebbe potuto mandare alle telecamere il segnale per attivare il virus, che avrebbe modificato l'area inquadrata in modo da creare insospettabili angoli ciechi, perfetti per muoversi non vista.

Quando finì i preparativi, la ragazza emise uno sbuffo disperato e chiuse il laptop, nascondendo il viso tra le mani. Mi chiedo se riuscirò a farcela davvero, pensò. Non sono neanche stata capace di generare una stupida access key da sola... come spero di penetrare nel computer quantico di papà?

Prese coraggio pensando allo sforzo che aveva dovuto sostenere l'AI quando aveva sfidato i vincoli imposti da Alexei, vincoli che avevano finito per metterlo a tacere, forse per sempre. MINSKY sapeva che rivelarle quel segreto l'avrebbe messo a rischio, ma l'aveva fatto comunque... per il suo bene. Lei non poteva essere da meno.

Mi porrò il problema quando sarò lì, si disse, risoluta. Uscì in corridoio col laptop cacciato in uno zainetto assieme a qualche snack d'emergenza e il suo fidato kit di periferiche e strumenti per manutenzioni dell'ultimo minuto. Appena si lasciò la propria stanza alle spalle, però, Katrina si pentì di quella stupida idea. Affrontare una missione di salvataggio di quel calibro era una cosa molto insolita per una agorafobica che viveva reclusa, realizzò; un po' come iniziare un nuovo videogame in modalità ultra difficile senza aver mai indossato un ElectroSheep. L'ansia le montò in petto nell'istante in cui si ritrovò davanti la porta che conduceva al laboratorio del padre, la stessa porta che qualche giorno prima aveva varcato assieme a MINSKY.

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