1. sofferenza

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MAKT, ZEKA - 2 FEBBRAIO 4571 DEL CALENDARIO TERRESTRE


La prima cosa che colpiva entrando in quella stanza era il colore: bianco, così luminoso da abbagliare. La seconda era l'arredamento, talmente scarno da chiedersi se ci fosse affatto. Un letto d'ospedale alto e reclinabile, con la sovracoperta blu scuro piena di piccoli draghetti stilizzati, se ne stava nell'angolo opposto all'ingresso. Un comodino d'alluminio era lì accanto sulla destra, sul quale vi erano posati qualche libro e una bottiglia d'acqua, mentre a sinistra c'era un trespolo metallico sul quale pendevano un paio di sacche di flebo ancora intornse. Nonostante la camera fosse spaziosa quanto una sala da pranzo non c'era molto altro, a eccezione di una sedia pieghevole posta in un angolo e alcune videocamere di sorveglianza sul soffitto.

Ma quel giorno, ciò che davvero attirava l'attenzione più di tutto il resto erano le urla. Ian Melnyk, terzogenito del governatore di Zeka, si dimenava per terra proprio al centro della stanza semivuota, urlando disperato mentre si stringeva la testa con le mani. Sembrava in procinto di spaccarsela tanto il suo viso era distorto dal dolore. Al suo fianco c'era la sua immancabile guardia del corpo, fasciata nei colori dell'Organizzazione Harvel. Il ventenne teneva lo sguardo impassibile fisso sul bambino minuto, rimanendo lì in piedi a guardarlo con occhi assenti. Thomas Harvel aveva sempre una postura rigida, come quella di una statuetta o di un soldato addestrato alla perfezione ad assistere a quel genere di spettacoli. I suoi lineamenti duri erano ammorbiditi dalla chioma aranciata e mossa, solitamente acconciata in un codino basso e disordinato.

"Padre, fallo smettere!" gridò spaventato Dietrich Melnyk. Aveva l'aria stravolta: la zazzera di capelli castani era arruffata e gli occhi smeraldini, protetti da un paio di occhiali dalla montatura scura, erano umidi e arrossati. Si era gettato subito in ginocchio accanto al bambino desideroso di aiutarlo, ma prima di sfiorarlo anche solo con un dito si fermò.

Dietrich avrebbe voluto essere diverso. Tante volte aveva sognato di svegliarsi umano, privo delle sue capacità aliene, o con un potere che gli avrebbe permesso di aiutare il fratellino. Purtroppo, quel desiderio non si era mai avverato. Conscio di non poter toccare Ian senza causargli dolore, si voltò verso il mercenario in divisa bianca. La 'H' ricamata in filo rosso all'altezza del cuore era l'unica nota di colore nel suo abbigliamento immacolato. Dietrich si ritrovò ancora una volta a maledirla dentro di sé.

"Thomas, ti prego, aiutalo!"

Il mercenario gli rivolse uno sguardo vuoto, le mani in tasca. Pareva una bambola priva di volontà e Dietrich lo odiava per questo.

"Spetta al governatore deciderlo."

Era sempre stato un tipo silenzioso e fastidiosamente fedele, al punto da seguire gli ordini senza farsi domande. Quali fossero quelli impartitogli dall'Organizzazione Dietrich non lo sapeva, motivo per cui non riusciva a fidarsi di lui nonostante il contratto che lo legava ad Alexei da ormai quattro anni. Al contempo, però, provava riconoscenza per l'Harvel, l'unico in grado di sopprimere i poteri fuori controllo di Ian e permettergli di vivere un'esistenza priva di dolore.

Alexei Melnyk osservava la scena in prossimità dell'ingresso, non una ruga di preoccupazione sul volto. Sembrava fatto di cera, il viso imperscrutabile e distante che non lasciava trapelare alcuna emozione. Dietrich ormai si era convinto che il genitore fosse più simile a una macchina che a un essere vivente. Calcolatore al punto da essere crudele, l'Übermensch non sprecava fiato né energie in faccende inutili. Nessuno capiva cosa pensasse o cosa guidasse le sue azioni e persino il popolo di Zeka provava per lui un timore quasi reverenziale. L'uomo era gelido, duro e spaventoso, eppure non era un tiranno: se la regione aveva potuto svilupparsi in modo invidiabile era stato solo grazie al suo governo e questo, per gente pratica come gli zekiani, era sufficiente per meritarsi la loro approvazione.

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