23. decisione

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SELIK, DEMIR - 11 DICEMBRE4573 DEL CALENDARIO TERRESTRE


Lilja si chiuse la portiera dell'auto alle spalle con forza e saettò verso l'ingresso della villa, senza nemmeno degnarsi di salutare il suo accompagnatore. Udì a malapena il mezzo lasciare il vialetto per riportare Virgil al suo appartamento. Ignorò i robot domestici, togliendosi subito le scarpe che le stavano bruciando i talloni e muovendosi silenziosa verso la sua stanza. Quando fu dentro, sciolse l'incanto del suo abito e rimase in biancheria prima di gettarsi esausta sul letto a faccia in giù.

Il pomeriggio era stato estenuante. Non solo per la camminata in sé, che le aveva regalato qualche vescica ai piedi e un fastidioso formicolio alle gambe, ma anche per la discussione che aveva avuto con Virgil e per tutte le moine che avevano dovuto scambiarsi di fronte ai passanti.

Si rese conto di essere amareggiata e delusa: le aveva venduto il suo piano come fosse la soluzione finale a tutti i loro problemi, invece a lei sembrava solo un sogno impossibile. Non potevano davvero pensare di poter competere con degli adulti. Le sembrava un piano troppo pericoloso e avrebbero finito di sicuro col mettersi nei guai. Anche ammesso di riuscire a guadagnarsi l'apprezzamento della gente, non c'erano garanzie sul fatto che quella notorietà gli avrebbe permesso di convincere gli industriali e gli scienziati demiresi a partecipare al loro progetto. Lilja lo sapeva bene: a Demir erano i crediti a contare più di tutto il resto, per questo a nessuno importava di fare qualcosa per l'emergenza climatica, non senza profitto. Cosa potevano guadagnarci nel dar retta a due giovani governatori inesperti? Al massimo sarebbero riusciti solo a farsi fregare, ne era sicura.

Forse era così arrabbiata con Virgil perché in fondo gli aveva creduto. Era sempre stato così sicuro di sé sull'argomento, come se per lui fosse tutto semplice, e lei si era lasciata abbindolare. Le aveva dato speranza solo per spaccargliela in mille pezzi nel momento peggiore.

"Lilja? Ci sei?"

La voce di sua madre la riscosse. La ragazza si mise a sedere, affrettandosi a rubare qualche pezzo di metallo dalle pareti per comporre un nuovo abito che le coprì la pelle nuda.

"Entra pure," rispose, sbloccando la serratura col pensiero in modo da far entrare la donna.

Helena la squadrò attentamente, lenta e indagatrice come solo lei sapeva fare. La sua espressione non lasciava intendere le sue intenzioni, ma Lilja se ne sentì comunque intimidita.

"Dove sei stata?"

"A Selik," ammise lei, cercando di controllare il tremore della sua voce. "Con il Rayon. Era un appuntamento."

Helena annuì lentamente, arricciando le labbra all'infuori con aria soddisfatta. Entrò nella camera come una predatrice, facendo frusciare il morbido tessuto del suo elegante pantalone a vita alta. Il suono dei suoi tacchi a spillo aveva un che di ipnotico per Lilja, che cercava in ogni modo di non prestare troppa attenzione a quel genere di dettagli. Rischiavano di confonderla e sapeva che non poteva permetterselo: non doveva assolutamente perdere il controllo del proprio potere. Eppure anche una cosa come quella, che di solito le riusciva semplice come respirare, in quel frangente sembrava richiedere ogni briciolo di concentrazione di cui era capace.

"Vi hanno visti?" domandò sua madre con tono seducente. "Magari abbracciati o... ancora più intimi."

Lilja rabbrividì.

"Abbiamo bisogno di questo genere di gossip, mia cara... e di questo matrimonio."

"Lo so."

"Non deve piacerti per forza," continuò Helena avvicinando le labbra al suo orecchio in quello che sembrava un abbraccio materno, ma che aveva il retrogusto di una minaccia. "È sufficiente non farlo scappare finché non sarete sposati. Seducilo, tienilo al tuo guinzaglio, fai tutto ciò che è necessario affinché l'accordo vada in porto. Quando i vostri nomi saranno legati davanti alla legge, sarà tutto più semplice, Lilja... Dovrai solo portare in grembo i suoi eredi, solo questo. E potrai vivere nel lusso per sempre senza preoccuparti di nulla."

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