46. tunnel

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MONTI RIGEL - 28 MAGGIO 4574 DEL CALENDARIO TERRESTRE


Stavano camminando da un paio d'ore e tutto filava liscio. Lo zekiano in testa al gruppo, proprio accanto a Thomas Harvel, guidava la spedizione attraverso l'intrico di cunicoli nel cuore della montagna. Istrice - così si faceva chiamare l'agente secondo in comando - era in contatto diretto col governatore Melnyk sin dall'inizio della missione e Thomas era stato ben contento di lasciare a lui il compito di decidere il percorso: lì sotto era come se avesse perso la bussola e non voleva rischiare di mettere in pericolo i suoi uomini a causa di scelte poco azzeccate.

Alexei aveva ben istruito i suoi militari: Istrice sapeva sempre dove girare, se scendere o salire, se approcciare un certo tunnel o meno. Thomas supponeva fosse grazie all'intelligenza artificiale che abitava i caschi di tutti: MINSKY era onnipresente, sempre pronto a rispondere alle loro domande e a fornire utili informazioni quando necessario. Alexei era stato magnanimo a equipaggiare anche il gruppo di mercenari kutsalesi con le stesse tute marrone scuro, anche se Thomas era sicuro che nei loro caschi l'AI fosse in attesa di ascoltare conversazioni private.

A differenza degli uomini dell'Organizzazione, quelli inviati direttamente da Zeka avevano una sorta di bracciale a metà avambraccio sinistro indossato a contatto con la pelle, sotto la tuta. Si poteva scorgere il lieve rigonfiamento con un po' di attenzione, unico modo per distinguere i due gruppi: sebbene fossero sotto terra da settimane, anche lì portavano sempre i caschi integrali dotati di avanzati sistemi di filtraggio, costretti a comunicare tramite interfono. Melnyk aveva insistito particolarmente sulla questione: a detta sua, l'aria non era respirabile nemmeno nel cuore della montagna. A giudicare da come aveva evitato di fornire ulteriori dettagli, Thomas immaginava che il motivo non fosse l'inquinamento atmosferico che causava la Sindrome. Anzi, lui era convinto che l'insistenza del governatore era legata al suo bisogno di monitorare da molto vicino la missione, registrando ogni parola.

Zeka e l'Organizzazione Harvel erano alleati dall'inizio del conflitto, ma era evidente che nei confronti dei kutsalesi che indossavano la 'H' cremisi come lui c'era ancora parecchia diffidenza. Non li biasimava: essere un mercenario significava vendere i propri servigi al miglior offerente e su questo principio l'Organizzazione aveva fondato la sua ricchezza, facendo di conseguenza prosperare la regione. Non erano legati da un vincolo di fiducia alla causa di Zeka, tantomeno ad Alexei, e questo probabilmente il governatore lo sapeva benissimo, motivo per cui si era attrezzato con tutta una serie di sistemi di sicurezza per evitare tradimenti inaspettati. Non poteva sapere che Valentine Harvel, l'attuale capo dell'Organizzazione, aveva intimato a tutti i suoi mercenari di non cambiare bandiera senza prima consultarlo. Doveva esserci qualcosa di grosso dietro: il Wali di Kutsal non si sarebbe mai piegato così docilmente a uno straniero senza motivo.

Erano settimane che vivevano nei cunicoli nelle viscere della catena montuosa dei Rigel, che correva lungo il confine tra Nìgea ed Helias. Era strategica per diversi motivi, soprattutto durante la guerra: assieme alle alture Jikka creava una strettoia al confine est di Helias, rendendo angusto e pericoloso l'ingresso a Zeka. Il fronte era fermo in quel punto praticamente da sempre, con piccoli avanzamenti e ritirate da parte di entrambi gli eserciti. Melnyk sembrava soddisfatto di quella condizione di stallo e, anzi, pareva deciso a mantenerla ancora a lungo. I mercenari kutsalesi erano stati impiegati pochissimo dal governatore e mai al fronte, dove andavano perlopiù macchine autonome e qualche soldato bardato in tute all'avanguardia. Thomas non lo comprendeva: gli Harvel che Alexei aveva costretto ad allearsi a lui lavoravano alle sue dipendenze per svolgere compiti strani, come quello che l'aveva visto impegnato a proteggere il più giovane dei Melnyk, ma non per sbaragliare l'esercito nemico. Mettendo assieme quel dettaglio e considerando che da anni la linea del fronte non si muoveva di un millimetro, era evidente che Alexei avesse altri piani per vincere la guerra. Avrebbe potuto distruggere l'Alleanza in qualsiasi momento, le sue macchine ne erano la prova, eppure si ostinava a orchestrare strategie complicatissime in un gioco che solo lui sapeva giocare.

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