2. addio

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MAKT, ZEKA – 8 NOVEMBRE 4571 DEL CALENDARIO TERRESTRE


Katrina si sistemò per l'ennesima volta gli occhiali sul naso facendo leggermente pressione sulla lente destra. Il riflesso azzurrognolo del monitor le colorava il volto in modo inquietante nella penombra forzata della sua camera, ma lei non ci faceva caso. Era così assorta da non rendersi neanche conto di ciò che succedeva fuori, il ticchettare leggero della tastiera che le echeggiava nelle orecchie a farle compagnia.

"Trina," la voce di sua madre catturò la sua attenzione, facendola sobbalzare per lo spavento. Le capitava spesso quando si concentrava su qualcosa: il mondo che la circondava affondava in una sorta di coltre ovattata ed era difficile farla riemergere senza spezzare l'incantesimo in modo brusco. Si voltò verso di lei, che se ne stava sull'uscio della stanza con ancora il camice addosso.

"S-sì?"

"Tuo fratello sta per partire. Davvero non vuoi salutarlo?"

Katrina abbassò lo sguardo, indecisa. In realtà avrebbe tanto voluto corrergli in contro, abbracciarlo e pregarlo di non andare, di non lasciarli soli in quel laboratorio sotterraneo. Ma sapeva che quelle erano solo fantasie.

"B-beh... Ci siamo s-salutati ieri..."

Monika sorrise scuotendo piano il capo. Sapeva dei problemi relazionali della figlia, perciò non si era avvicinata troppo per non metterla a disagio. Il contatto fisico era la cosa che più di tutte agitava Katrina, ma di solito riusciva a interagire a sufficienza con altre persone almeno a voce. Con Dietrich, però, sembrava che quelle difficoltà fossero accentuate più del normale: faticava a stargli vicino e ancor più a parlargli, al punto che spesso non era nemmeno in grado di alzare lo sguardo su di lui.

"Lo sai che so che è una bugia, vero?"

La ragazza alzò per un istante gli occhi sulla madre, per poi tornare a fissarsi le mani che si torcevano sul suo grembo l'una con l'altra.

"Avanti, un piccolo sforzo. Se non riesci a fare nemmeno questo, come posso pensare di inserirti nel mio staff?"

A quelle parole Katrina sussultò e si morse con forza il labbro inferiore. Lavorare con il gruppo di ricerca di sua madre era il suo sogno da sempre, la sua unica ragione per tirare avanti in quel posto infernale giorno dopo giorno. Anche se non aveva il permesso di farlo, nel suo tempo libero Katrina si connetteva di nascosto alla rete interna del laboratorio e studiava, accedendo al database informatico del padre tramite un ElectroSheep che aveva modificato appositamente per renderle più semplice navigare nel mondo digitale. Ancora si domandava come mai non l'avessero scoperta o, cosa più probabile, come mai glielo lasciassero fare facendo finta di niente.

"Devi imparare a stare vicino alle altre persone, Trina. Non puoi tapparti in una stanza da sola per sempre, lo capisci?"

Katrina lo capiva eccome. Odiava quella sua incapacità che la incatenava alla solitudine, ma più provava a disfarsene e peggio era. Si era domandata per anni da cosa derivasse quella paura che la spingeva a evitare chiunque, ricordando con curiosità la sua infanzia più spensierata. All'epoca, lei e Dietrich erano soliti passare molto tempo insieme, giocare e divertirsi come bambini perfettamente normali nonostante vivessero in un laboratorio privo di luce naturale. Poi, col tempo, le cose erano cambiate: lui aveva iniziato a farsi ribelle e lei troppo disciplinata, lui aveva iniziato a sgattaiolare fuori e lei a tapparsi dentro. Cercavano entrambi la libertà, ma l'unico che sembrava aver fatto qualcosa di concreto per conquistarsela era Dietrich.

"Ci... ci pro-proverò," disse infine la ragazza in un soffio, costringendosi a essere coraggiosa. Dirlo non equivaleva a riuscirci, ma per Katrina era già un grande passo. Monika si rilassò a quelle parole e tese una mano verso la figlia, incitandola ad alzarsi e seguirla. Sapeva che non avrebbe preso quella mano, ma ci provò ugualmente.

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