CAPITOLO 14

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Nonostante non mangiasse da colazione, quel tramezzino al prosciutto e formaggio lo aveva solo smangiucchiato mentre tornava velocemente alla centrale. Lo aveva richiuso nella carta e messo via, nel caso quel pomeriggio avesse voluto finirlo. Non riusciva a smettere di pensare a ciò che aveva sentito e per un attimo pensava addirittura di essersi immaginato tutto. Non poteva essere così però. Ricorda perfettamente l'immagine della donna che tiene la mano del Commissario e che pronuncia quelle fatidiche parole: Baby deve sapere che non sei i sui vero papà, Diego. Niccolò sente un vuoto nel petto quando ripensa a quelle parole e poi al volto di Baby. Ripensa alle fotografie che il Commissario ha appese nell'ufficio, la maggior parte con sua figlia - o meglio, quella che tutti credono essere sua figlia. Fotografie di Baby e il Commissario in montagna, al mare, sorridenti mentre mangiano un bel gelato. E Niccolò poteva percepire l'amore e il legame che univa Baby e il Commissario. Ed ora a Baby sarebbe crollato tutto il mondo addosso se fosse venuta a sapere una cosa del genere. Niccolò si sentiva scosso, nonostante fosse qualcosa anche non lo riguardasse. Lo faceva stare male il solo pensiero della sofferenza che avrebbe abbracciato Baby dopo aver saputo tutta la verità. Sempre se i due avessero voluto dirgliela. La donna sembrava davvero intenta a rivelare tutto a Baby, ma il Commissario invece sembrava terrorizzato. E poi, cos'erano gli accordi di cui aveva parlato il Commissario? Niccolò sente il cervello scoppiare per le troppe domande. Lui in fin dei conti non centra niente, ma in parte si sente chiamato in causa perché ha sentito la conversazione ed ora sa tutto. Come dovrebbe comportarsi? Fare finta di nulla o dire tutto quanto a Baby?
Si porta una mano a sfregare gli occhi e scuote la testa. Non può dire nulla, non è una cosa che lo riguarda e sopratutto non spetta a lui rivelare la verità ed intromettersi in questioni famigliari che sembrano molto più complicate di quello che sembrano. Afferra la bottiglietta d'acqua frizzante e beve un sorso, sperando di mandare via tutti quei pensieri che lo stanno facendo impazzire. Da quando è così sensibile alle questioni altrui? Sopratutto, alle questioni che riguardano una ragazzina? Peccato che quella ragazzina sia la stessa che poco tempo prima lo aveva trascinato in un mare di emozioni indecifrabile. Niccolò era stato a letto con molte donne e per tutte aveva funzionato allo stesso modo: uno sguardo leggermente più provocante degli altri ed ecco che finivano insieme sotto le coperte. Con Baby invece è completamente diverso e questo lo destabilizza. Con lei è un gioco di sguardi, di tocchi, di parole che lo tengono sempre sulle spine, lasciandolo sul più bello e facendolo uscire fuori di testa. Sa perfettamente che anche quella ragazza è attratta da lui, ma sa anche che entrambi stanno giocando a stuzzicarsi, senza mai però arrivare alla conclusione che tutti e due desiderano e quando stanno per concludere qualcosa, ecco che vengono interrotti. E, parlando proprio di interruzioni, qualcuno bussa alla porta proprio in quel momento. Niccolò cerca di sistemare i capelli che aveva completamente scompigliato a forza di passarvi le mani dentro - vizio che aveva quando era particolarmente nervoso - e infila una Vigorsol in bocca mentre «Avanti!» esclama per la terza volta quella giornata e pensa che ogni tanto potrebbe pure evitare di rispondere e far finta di non esserci, giusto per godersi un po' di pace chiuso nel suo ufficio.
A fare la sua entrata è il Commissario, con il volto completamente sconvolto e Niccolò sente il cuore accelerare quando lo vede mentre il suo cervello gli ripropone le scene di quella mattina. Cerca di darsi un contegno e «Salve Commissario» saluta con tono più neutro possibile.
«Buongiorno a lei Ispettore Moriconi» ricambia il Commissario, chiudendo la porta e schiarendosi la voce. Niccolò nota che ha in mano un braccialetto giallo con un cuore dello stesso colore che pende da esso. Non ha il tempo di guardarlo meglio però, perché il Commissario lo infila velocemente nella tasca della giacca e si sfrega le mani tra loro.
«Allora, aggiornamenti?» domanda subito, accomodandosi sulla sedia. Niccolò non ha idea del perché sia rimasto a bocca asciutta e deve bere un altro sorso d'acqua per poter riprendere a parlare. Non riesce a dimenticare ciò che ha sentito e si arrabbia con sé stesso perché si sta facendo distrarre da qualcosa che nemmeno lo riguarda.
Così tossicchia e raddrizza la schiena, sedendosi meglio sulla sedia. Il Commissario è seduto davanti a lui, la schiena appoggiata sulla sedia, ma gli occhi completamente persi da tutt'altra parte. Niccolò inzia ad aggiornarlo su tutto ciò avevano scoperto, ma nota come il Commissario faccia fatica a concentrarsi sulle sue parole, distratto da tutt'altro - e Niccolò sa perfettamente da cosa, dato che anche lui non può fare a meno di pensarci.
Dopo qualche minuto il silenzio cala nella stanza dato che Niccolò ha terminato la spiegazione. Il Commissario batte l'indice sulla scrivania di Niccolò che, inevitabilmente, fa cadere lo sguardo lì dove il dito batte e subito la sua mente gli ricorda che quello era lo stesso posto dove Baby si trovava seduta poche ore prima. Per un attimo dentro di sé ridacchia perché il Commissario non imaginerebbe mai che sua figlia era lì a farsi baciare dall'Ispettore, completamente presa dalla passione. Poi però subentra il senso di colpa perché in effetti sta mentendo al Commissario che crede che lui e Baby neanche si conoscano. È questo quello che prova il Comissario nel mentire a Baby? Questo si domanda Niccolò, perché si rende conto di quanto sia brutto mentire ed essere pervaso dal senso di colpa. Ora però non è il momento di pensarci e preferisce concentrarsi sulle parole del Commissario che, tornato un attimo in sé, «Quindi stiamo cercando Stefano Matteucci mentre Brandini e il gioielliere sono tenuti in centrale, giusto?».
Niccolò annuisce e mastica la gomma che gli aveva riempito la bocca del sapore di menta.
«Per i numeri di telefono abbiamo capito chi è che ha chiamato?».
Niccolò guarda il Commissario ed intreccia le mani sulla scrivania mentre «Non sappiamo ancora chi sia il mittente, Coccoli e Cassio ci stanno lavorando, ma sappiamo che chi ha chiamato Matteucci e Brandini è la stessa persona, ci è stato confermato poco fa» afferma Niccolò allungando al commissario la ricevuta che confermava che si trattasse della stessa persona ad aver chiamato i due uomini. Il Commissario annuisce e di nuovo c'è silenzio.
Poi d'un tratto, «Se non sbaglio sapevamo che Stefani Matteucci aveva la madre malata in ospedale. È stata interrogata? Potrebbe darci una pista su dove possa essere finito suo figlio» - ma Niccolò scuote la testa e «Abbiamo chiamato in ospedale questa mattina ed è stata dichiarata la morte cerebrale della donna purtroppo» spiega Niccolò e anche quella piccola fiammella di speranza negli occhi del Commissario si spegne. Così annuisce affranto mente «Va bene. Allora mi unirò alle pattuglie di ricerca di Stefano Matteucci e dì agli agenti di tenere libero il canale radio nel caso Stefano si facesse vivo» ordina il Commissario e Niccolò annuisce. Per un attimo si meraviglia che il Commissario voglia andare in prima persona a pattugliare il territorio alla ricerca del fuggitivo, ma poi capisce perfettamente cosa sta cercando di fare: buttarsi sul lavoro per non pensare ai problemi quotidiani ed è una cosa che anche Niccolò è solito fare.
Il Commissario si alza e stiracchia la schiena, guardando Niccolò con occhi vitrei e spenti. A quest'ultimo dispiace vedere il suo capo in queste condizioni e sente di dover fare qualcosa. Alla fine il Commissario Gervasi era stato quello colui che gli aveva insegnato il lavoro che faceva ora. Avevano affrontato tante missioni sul campo: sparatorie, inseguimenti, coperture ed ora il suo capo gli sembra talmente solo da fargli tenerezza. Non era un sentimento che Niccolò provava spesso, ma quell'uomo era stato davvero come un padre, quasi, per lui e vederlo così abbattuto dai suoi problemi personali gli faceva chiudere lo stomaco. E poi non riusciva a togliersi dalla testa quella conversazione che aveva origliato e sentiva ormai di esserci dentro, così voleva almeno dei chiarimenti per cercare di districare la matassa di pensieri e ritrovare la lucidità per tornare concentrato su quel caso.
Così si alza in piedi e guarda il Commissario che in silenzio si sta avviando verso la porta.
«Non si preoccupi capo, si risolverà tutto» sono le parole di Niccolò nel tentativo, forse anche superfluo, di consolarlo. Il Commissario si volta con un sorriso un po' confuso, ma pieno di gratitudine e «Ispettore Moriconi, non ho dubbi che lei riuscirà a portare alla luce anche questo complicato caso» lo loda il Commissario, ma Niccolò si morde un labbro e guarda prima a terra, poi inspira e pioggia di nuovo gli occhi sull'uomo che sta per aprire la porta, «Io non mi riferivo al caso Commissario. Mi riferivo ad altro» - e bastano quelle semplici parole di Niccolò perché il Commissario si pietrifichi e tolga la mano dalla maniglia della porta, voltandosi verso Niccolò e guardandolo con la paura e la vergogna negli occhi. Niccolò per un attimo si dà del cretino. Era necessario commentare in questo modo? Ora il Commissario gli avrebbe sicuramente detto di farsi gli affari suoi ed avrebbe avuto tutte le ragioni! Invece, a differenza di cioè che il suo cervello stava elaborando, lo sguardo del Commissario Gervasi cambia in pochi secondi da spaventato ad afflitto, la testa incavata nelle spalle e gli occhi lucidi. Niccolò assiste in silenzio a tutto ciò mentre vede il Commissario guardarlo dritto negli occhi e «Hai sentito tutto?» domandare con una voce talmente atona e spenta da far percepire a Niccolò una stretta allo stomaco. Quest'ultimo si schiarisce la gola e si passa una mano sulla barba e poi tra i capelli, cercando di tenere a bada il nervosismo. Poi annuisce e «Stavo camminando per raggiungere un tavolino e vi ho visti. Mi dispiace, all'inizio volevo andarmene, ma poi-».
«La tentazione è stata troppa,» tenta di scherzare il Commissario, mettendo su un sorriso triste e Niccolò nuovamente sente il senso di colpa diramarsi, ma poi «Non preoccuparti, non è colpa tua e non te ne faccio una colpa se hai sentito tutto. Sono disperato» confessa poi il Commissario gettandosi a sedere scompostamente sulla sedia, le mani tra i capelli e il volto preoccupato. Quando alza lo sguardo per fissare Niccolò, a quest'ultimo sembra che l'uomo sia invecchiato di dieci anni in un minuto.
Così sospira e «Vuole, ehm-,» - non è mai stato bravo con le parole, ma almeno è bravo ed ascoltare, così «Vuole parlarne?» ritenta, stavolta riuscendo a formulare bene la domanda.
All'inizio l'uomo sembra tentennante e non risponde subito. Lascia passare qualche secondo di silenzio prima di «Non voglio coinvolgerti in questa follia» confessa poi mestamente.
Niccolò a quella frase ridacchia in modo amaro e «Ci sono dentro dal momento in cui ho sentito tutto. Quindi, se ha bisogno di parlare magari posso darle una mano» riprova nuovamente e sente il cuore saltare un battito quando gli occhi del Commissario si fissano nei suoi perché sono occhi pieni di gratitudine. Di certo non può risolvere il problema, ma almeno può ascoltarlo, giusto?
Il Commissario sfoggia un leggero sorriso, accompagnato da una risatina e «Non ti facevo così empatico Ispettore. Da quando sei diventato così sentimentale?» lo sbeffeggia bonariamente il Commissario, per alleggerire l'atmosfera e quelle parole fanno comparire un piccolo sorriso anche sul volto di Niccolò. Già, se lo stava chiedono anche lui in quei giorni: da quando era diventato così? Così diverso? Così poco freddo? Ma sapeva perfettamente che era stata proprio la ragazza di cui avrebbero parlato ad aver dissepolto una piccola parte di quel carattere nascosto dietro tanta rigidità.
Non può non sorridere nel ripensare alla sfacciataggine di Baby di poco tempo prima, ma decide subito di fermarsi per impedire al suo cervello di riproporgli le immagini bollenti di poche ore prima. Già al solo guardare la scrivania deve impegnarsi per non immaginarsi Baby seduta sopra con le gambe allacciate al suo bacino.
«La donna seduta al tavolo con me era la mamma di Baby,» confessa il Commissario, lasciandosi andare ad un sospiro, come se avesse appena spostato un macigno dal proprio petto e stesse scavando nel passato. Niccolò annuisce in silenzio, lasciando che il Commissario parli mentre guarda con occhi assenti fuori dalla finestra. Così l'uomo riprende e «Io e la mamma di Baby ci siamo sposati quando Baby era già nata. Eravamo davvero felici. Festeggiavamo i nostri anniversari, i compleanni di Baby, andavamo in vacanza insieme. Purtroppo però non era tutto rose e fiori come pensavo fosse. Una sera, cinque anni dopo esserci sposati, ho scoperto che Elsa, mia moglie, aveva avuto una relazione con un uomo prima ancora che nascesse Baby. Non ho mai voluto sapere chi fosse quest'uomo, le ho chiesto solo una cosa: se Baby fosse mia figlia,» - a quelle parole Niccolò inspira e vede il Commissario stringere le mani in due pugni e gli occhi riempirsi di lacrime che però cerca di trattenere, ingoiando il groppo in gola e proseguendo, «Elsa all'inizio mi disse di sì, ma non era davvero sicura e ogni volta, più guardavo Baby, più mi accorgevo che non assimigliava per niente a me. Fisicamente intendo perché caratterialmente aveva ripreso tutto da me,» - e in queste ultime parole
Niccolò può scorgere tanto orgoglio da parte del Commissario. Orgoglio misto a desolazione. In effetti mentre guarda il Commissario, Niccolò nota che non ha nulla di simile a Baby. Ripensa a poche ore prima, quando aveva osservato che gli occhi della donna al tavolo con il Commissario fossero uguali a quelli di Baby mentre con il Commissario, ora che ci pensa, non nota alcuna somiglianza fisica, ma solo caratteriale - come aveva osservato più volte. L'uomo fa un respiro e riprende, perso del tutto nei suoi pensieri, «Allora decisi di voler fare il test del DNA, per essere più sicuro. I risultati arrivarono e scoprii che Baby non era mia figlia. Mi crollò il mondo addosso. Non volli mai sapere chi fosse il suo vero padre perché,» - il Commissario singhiozza e fissa Niccolò negli occhi. Quest'ultimo sobbalza nel vedere quegli occhi pieni di dolore e delle lacrime volare sulle guance, ma continua a fissare il suo capo che, con le mani strette a pugni e la voce rotta, «Perché anche se il test del DNA diceva che Baby non era mia figlia, per me lo era eccome e non me ne fregava un cazzo di uno stupido test del DNA. Ho amato Baby sin da quando è nata e dopo quel test del DNA i mie sentimenti nei suoi confronti non sono mai cambiati, l'ho sempre amata come fosse stata mia figlia perché lei è mia figlia! Quell'uomo non è mai venuto a reclamarla, probabilmente non sa nemmeno di avere una figlia ed io non ho mai pensato, neanche per un attimo, di lasciarla andare perché Baby è tutto il mio mondo,» - un singhiozzo potente interrompe le parole del Commissario e Niccolò vede le lacrime scendere sul collo dell'uomo, così gli passa un fazzoletto, trovandosi spiazzato. L'uomo lo ringrazia e lo guarda con gratitudine, poi ritorna al suo racconto, «Le ho insegnato io ad andare in bicicletta, ad allacciarsi le scarpe, l'ho aiutata con i compiti quando aveva bisogno, le ho insegnato a non farsi mettere i piedi in testa, ma anche a trattare tutti sempre con rispetto ed educazione. Quella ragazza là fuori, la ragazza che è Baby oggi, è mia figlia e io non ho intenzione di privarmene solo perché non ha il mio stesso sangue,» - sospira e Niccolò lo vede calmare il respiro affannato.
«E sua moglie vuole dire a Baby tutto questo?» domanda Niccolò a bassa voce, sperando di non essere invasivo. Vorrebbe anche sapere che cosa sono quegli accordi di cui il Commissario aveva parlato alla moglie, ma non se la sente di intromettersi in maniera così invasiva. Il Commissario si soffia il naso e sembra sprofondare di nuovo nello sconforto perché, «Sì. Vuole tornare a far parte della famiglia. Io le ho detto che può rientrare tranquillamente, ma lei vuole che Baby sappia la verità» - la voce dell'uomo si spezza sulle ultime parole e Niccolò si meraviglia quando vede il Commissario scoppiare a piangere, la testa poggiata sulle mani e le spalle che si sollevano e si abbassando in modo convulsivo. Niccolò sente il cuore stringersi e senza neanche pensarci si alza, fa il giro della scrivania e poggia una mano sulla spalla del Commissario, stringendola.
«Vuole portarmela via!» singhiozza il Commissario Gervasi, continuando a piangere. Niccolò allora si piega sull'uomo che gli fa una tenerezza immensa e lo abbraccia. Non può immaginare il dolore e la paura che sta provando in questo momento, ma si sente davvero vicino a lui, emotivamente e decide di abbracciarlo, d'istinto.
«Sono sicuro che riuscirà a trovare una soluzione» sospira Niccolò sentendo l'uomo iniziare lentamente a calmarsi.
«Se Baby verrà a sapere tutto, mi odierà ed io la perderò. Non posso perdere mia figlia! È il mio mondo, il mio mondo» singhiozza nuovamente e Niccolò gli accarezza la schiena mentre «Non la perderà Commissario. Sua figlia la ama e la ammira. Anche se lei non è il padre biologico, è comunque la persona che l'ha cresciuta, che l'ha resa quella che è ora e che, nonostante avesse scoperto la verità, è sempre rimasto al suo fianco. Sua figlia non potrebbe mai odiarla o allontanarla» afferma Niccolò e crede veramente in quello che dice. Certo, non sarebbe stato facile per Baby accettare la verità, ma Niccolò era sicuro che prima o poi avrebbe perdonato i genitori per questo. In seguito a quelle parole, il Commissario sembra essersi calmato. Il pianto si è interrotto e Niccolò si rimette in piedi, mantenendo comunque la propria mano sulla spalla dell'uomo. Quest'ultimo solleva il volto e poggia i suoi occhi rossi di pianto in quelli comprensivi di Niccolò.
«Lo credi veramente?» domanda allora e Niccolò annuisce senza esitazione.
Il Commissario allora poggia la propria mano su quella di Niccolò e «Sono veramente orgoglioso di averti in squadra Niccolò. Orgoglioso» - e quelle parole, accompagnate da un sorriso grato, scaldano il cuore di Niccolò che non può non sorridere riconoscente. Per la prima volta si sentiva chiamare col suo nome dal proprio capo.
«Grazie Commissario».
«Vorrei solo che per ora rimasse tra noi. Ho bisogno di tempo».
Niccolò annuisce e «Da me non uscirà una parola» lo rassicura Niccolò, accompagnando quell'affermazione con un sorriso. Non aveva mai visto il suo capo così debole e si meraviglia di come anche le persone che mai ci sospettiamo possano soffrire così tanto o aprirsi con gli altri, sono quelle che lo fanno con più facilità.
Il Commissario sospira, posandosi una mano sugli occhi e «Spero solo di essere stato e di poter essere ancora un buon padre per la mia bambina» borbotta tra sé e sé, riflettendo ad alta voce. Niccolò vorrebbe dirgli che é un buon padre perché sua figlia ha davvero un bel caratterino: sa ciò che vuole, sa come ottenerlo e sa farsi rispettare. Certo, a volte è insopportabile, ma se c'è una cosa di cui Niccolò non ha mai dubito è il coraggio di quella ragazza e ammira il modo in cui cerchi di farsi in quattro per aiutare le persone a cui vuole bene, anche a costo di mettere in pericolo la sua vita. E questo è dovuto agli insegnamenti di un buon padre. Perché, Niccolò dentro di sé lo sa, che se è arrivato là è anche e sopratutto grazie agli insegnamenti del Commissario Gervasi che l'ha preso sotto la sua ala ed è stato per Niccolò, come un padre.


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