CAPITOLO 20

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«Non ho intenzione di lasciar perdere. Chiunque sia che ci sta minacciando non mi fa paura ed è un codardo».
«Baby, lo capisci che questo non è un film poliziesco in TV, ma la vita vera?».
«Lo so che è la vita vera Niccolò! Ed è per questo che non lascio perdere! Non mi faccio spaventare!».
«Io e tuo padre non possiamo proteggerti per sempre!».
«E allora non lo fate! Non proteggetemi! O meglio, mio padre lo farà, tu non farlo!».
«Sei seria?».
«Certo che sono seria!».
«Va bene allora, perché tanto non avrei intenzione di proteggerti date le tue idee suicide!».
Così si era conclusa quella conversazione. Niccolò ora cammina per il corridoio con i pugni chiusi. Avevano finito di fare sesso e per un attimo aveva letto negli occhi di Baby una scintilla, uno sguardo caldo che sembrava dire altro e si era spaventato. Non poteva nascere niente tra loro. Non sarebbe durato. E poi Niccolò di quello era sicuro: con il lavoro che faceva non poteva garantire la sicurezza a nessuno, per questo si accontentava di semplice sesso. Già, non era stato in grado di proteggere le persone a lui vicine, come poteva proteggere una ragazza che non voleva arrendersi nemmeno davanti ad una minaccia? Involontariamente passa due dita sulla cicatrice e un dolore al petto lo fa bloccare in mezzo al corridoio. Nuovamente tutti i ricordi prendono il sopravvento e Niccolò sente in poco tempo la testa esplodere. Stringe nuovamente i pugni e strizza gli occhi, per scacciare via i ricordi. Da qualche giorno a questa parte gli sembrava che tutti gli sforzi fatti per chiudere quei ricordi in fondo alla mente fossero stati vani. Tornavano spesso a fargli visita e Niccolò faceva sempre più fatica a scacciarli. Non voleva ammetterlo, ma da quando aveva conosciuto Baby stava mettendo in discussione molti aspetti di sé e sentiva le difese crollare. Lei lo rendeva più... umano. Niccolò non sapeva se fosse un bene un male, ma non sopportava non poter controllare i propri pensieri e le emozioni come aveva sempre fatto. E poi quella mattina suo fratello era lì e vederlo gli aveva fatto mancare la terra sotto i piedi e la rabbia era cresciuta. Aveva visto negli occhi di Valerio quell'odio che da anni risiedeva in quegli occhi scuri. E allora Niccolò si era arrabbiato nel vederlo là, ma quella rabbia non aveva senso. Se tra lui e suo fratello c'era solo astio, era unicamente colpa di Niccolò e lo sapeva benissimo.
«Basta!» mormora a sé stesso, riaprendo gli occhi e cercando di fare respiri profondi. Era lì per lavorare, non per perdersi in ricordi dolorosi.
Così scuote la testa e punta lo sguardo fisso davanti a sé, iniziando a calmarsi. Passa davanti alla classe di Baby e la porta è chiusa. Dopo quella discussione post sesso lei non gli aveva detto cosa avesse scoperto; gli aveva solo detto che la professoressa era la probabile assassina di Stefano. Niccolò sapeva che avrebbe dovuto parlare nuovamente con Baby, ma d'altra parte voleva cercare di tenerla lontana perché sapeva che l'avrebbe protetta anche se lei non avesse voluto.
In quel momento passa la bidella e Niccolò le chiede dove fosse l'aula professori. Quest'ultima gliela indica e Niccolò la ringrazia, vedendola correre velocemente a portare delle fotocopie in una delle classi al piano di sopra.
Se Baby aveva detto che la professoressa poteva essere  la probabile assassina, doveva aver trovato delle prove, giusto? Così, nel corridoio silenzioso rimbomba solo il ticchettio dei tacchi delle scarpe di Niccolò che raggiunge in pochi passi l'aula professori e si affaccia. È vuota. Così inspira ed entra velocemente, andando dritto verso gli armadietti. Guarda sul cellulare la lista dei sospettati e ricerca il file con la foto della professoressa di cui Baby gli stava palesando e legge al di sotto il nome e cognome, cercando lo stesso sugli armadietti. Lo trova immediatamente e vede che è aperto. Così inserisce il telefono nella tasca interna della giacca, si sistema il cappello e apre lo sportello dell'armadietto. Sobbalza quando cade a terra qualcosa e Niccolò, infilando i guanti di plastica, lo raccoglie. Sgrana gli occhi: è un fil di ferro, come quello con cui era stato strangolato Stefano. Se lo rigira tra le mani e nota che in un punto c'è qualcosa di secco. Lo avvicina allo sguardo e lo riconosce subito: è sangue. Ecco perché Baby ha pensato che la professoressa possa essere l'assassina. Ha l'arma del delitto nell'armadietto! Ma perché dovrebbe lasciare l'armadietto aperto? E perché dovrebbe portarlo a scuola dove tutti potrebbero vederlo? È troppo facile e troppo strano, però è una prova. Così dà un'ultima occhiata al contenuto dell'armadietto, ma non c'è nulla di particolare. Così lo richiude e infila il fil di ferro in una busta per le prove che teneva sempre nel taschino della divisa, uscendo di corsa per andare da Adriano.
Esce fuori in giardino dove gli agenti ancora stanno lavorando sulle prove mentre il corpo viene caricato proprio in quel momento su un camion dell'FBI. Niccolò lo vede e sgrana gli occhi, aumentando il passo e andando verso i suoi agenti, gridando contro i due uomini che stanno caricando il corpo.
«Ehi! Che cazzo fate? Dovete caricarlo sul camion della polizia!» grida Niccolò a passo svelto, ma a fermarlo è Adriano che gli si para davanti. Niccolò si ferma di getto e per poco il fil di ferro non cade a terra. Guarda spaesato Adriano mentre «Che cazzo stanno facendo? Perché lo sta prendendo l'FBI?».
«L'ha ordinato l'agente Moriconi. Ha detto che il governo inglese vuole che l'autopsia sia condotta dall'FBI» spiega Adriano dispiaciuto e agitato nel vedere Niccolò in fermento.
Quest'ultimo sgrana gli occhi e apre la bocca, cercando di contenente la rabbia.
«Quel bastardo di mio fratello l'ha già detto al governo inglese! Cazzo!» esclama, senza riuscire a contenere la voce e attirando l'attenzione di qualche agente lì intorno. Poco gli importa però, sopratutto quando vede una massa di giornalisti avvicinarsi alla scena e intervistare i due agenti addetti al carico del cadavere.
«Il Commissario è lì e sta cercando di farsi spiegare la situazione» cerca di calmarlo Adriano, informandolo, ma Niccolò mette su un sorriso derisorio e adirato.
«Con mio fratello non c'è niente da spiegare. Fa quello che cazzo gli pare a lui e pur di mandarmi in fallimento farebbe di tutto!» sbotta nuovamente Niccolò, sbattendo a terra il piede, nervosamente. Adriano non lo aveva mai visto così arrabbiato, ma immagina che tra i due fratelli ci sia più astio di quanto si veda. Ma perché? Niccolò si guarda intorno e vede suo fratello che conversa con il Commissario Gervasi. Lo fulmina con lo sguardo ed è già pronto ad andargli contro, ma proprio in quel momento vede il Commissario terminare di parlare con Valerio Moriconi e puntare con lo sguardo Niccolò. In pochi passi lo raggiunge e Niccolò può vedere lo sconforto negli occhi del Commissario che, infatti, porta una mano sugli occhi, con fare stanco per poi puntarli in quelli dell'Ispettore.
«Ci stanno togliendo il caso» confessa il Commissario, lasciando a bocca aperta Niccolò e Adriano. Quest'ultimo deglutisce stupito e rimane in silenzio mentre Niccolò non ci vede più dalla rabbia. Suo fratello sta parlando con i giornalisti, con un sorrisino divertito, senza neanche guardarlo. Gli sta togliendo il lavoro e Niccolò non riesce a stare in silenzio.
«Cosa?! Non possono farlo!».
Il Commissario annuisce sconfitto.
«Purtoppo possono. Il caso è stato affidato a noi perché la collana è stata rubata a Roma, ma le redini le tiene il governo inglese e dati gli ultimi avvenimenti e la paura che la collana possa essere già stata rivenduta, il governo ha chiesto che partecipi anche l'FBI».
«Partecipi!» sottolinea Niccolò con la gola che brucia per la voce graffiante mossa dalla rabbia, «Non che si prenda il caso!».
«Purtroppo tuo fratello ha diretto contatto con l'Intelligence Britannica e ha chiesto che l'autopsia venga fatta nella loro sede qui a Roma,» spiega il Commissario con tono arrendevole e Niccolò lo sguardo sconcertato, pronta a parlare, ma il Commissario continua, «E ci è stato vietato l'accesso. Non possiamo entrare».
A quelle parole Niccolò vede tutto nero per la rabbia.
«Che cazzo ha fatto mio fratello? Non possiamo nemmeno entrare nella sede e consultare anche noi l'autopsia?!» sbotta adirato e sente le unghie conficcate nei palmi, il volto rosso dalla rabbia.
Non poteva crederci. O meglio, capiva tutta questa cattiveria da parte del fratello, ma davvero la meritava?
«E noi che dovremmo fare?» domanda allora Adriano e il Commissario sospira.
«Hanno mandato degli agenti nella nostra centrale a ritirare tutti i fascicoli che riguardano questo caso. Ci stanno togliendo tutto, non abbiamo più niente» risponde desolato, ma Niccolò non ha intenzione di mollare. Non è nel suo stile.
«Non proprio tutto» afferma lui alzando davanti agli occhi dei due presenti la busta prove con dentro il fil di ferro. Il Commissario spalanca gli occhi e sembra riprendersi d'animo. Adriano anche sgrana gli occhi capendo di cosa si tratti.
Infatti, «È il fil di ferro con cui-».
«È stato ucciso Stefano Matteucci. Era nell'armadietto di Teodora Moretti» spiega Niccolò, concludendo le parole di Adriano. Al sentire quel nome il Commissario guarda Niccolò con terrore.
«Teodora Moretti? Ma è la professoressa di italiano di mia figlia!» esclama portando su di sé lo sguardo incredulo di Adriano e quello consapevole di Niccolò.
Quest'ultimo infatti annuisce e «Sì e in questo esatto momento sta finendo la sua lezione».
Il Commissario inizia a muoversi nervosamente sul posto, portando le mani sulla testa.
«Mia figlia è chiusa in una stanza con un'assassina!».
«Dobbiamo andare a prelevarla?» domanda apprensivo Adriano e il Commissario si volta di scatto verso di lui.
«No! Non voglio che i ragazzi si insospettiscano. Aspettiamo che suoni la campanella di fine lezione» ordina il Commissario e Adriano annuisce. Proprio in quel momento Cassio viene chiamato da Gabriele che gli chiede di aiutarlo a tenere a bada i giornalisti e, con il permesso dei due uomini, Adriano raggiunge Gabriele. Niccolò guarda il camion dell'FBI con il cadavere dentro partire e suo fratello siede alla guida. Non lo degna neanche di uno sguardo e Niccolò sente la rabbia montare nuovamente. Intorno a loro Elisa e Tiziano stanno recintando l'area dove il cadavere si trovava fino a pochi minuti prima, dichiarandola zona di indagine.
Si riscuote alle parole del Commissario Gervasi che «Ispettore, la prego di aiutarmi a fare il punto della situazione perché penso di star per impazzire» sbotta sconfitto, sospirando e cercando di ritrovare la lucidità. Niccolò scuote la testa e annuisce, schiarendosi la gola e cercando di lasciar andare i pensieri su suo fratello e su tutto quel putiferio per fare il punto della situazione.
«Okay,» inspira e comincia, «sappiamo che la collana che gli agenti hanno tolto prima dalla teca è finta e si trova fra gli indizi. Abbiamo ipotizzato che Stefano Matteucci possa aver rubato la vera collana e che Brandini abbia poi dato a Stefano quella falsa da sostituire. Stefano però è morto probabilmente nelle vicinanze di casa di Bella Lombardi, quartiere Prati e deve aver cercato di fuggire per chiedere aiuto alla stessa Bella Lombardi, con la quale si stava frequentando, ma è morto nel suo cortile prima di poter fare qualsiasi cosa. Sappiamo che è stato strangolato con un fil di ferro che probabilmente è quello che abbiamo trovato nell'armadietto della professoressa Teodora Moretti,» - e solleva nuovamente il fil di ferro nella busta prove. Il Commissario annuisce e guarda a terra, una mano sotto il mento e lo sguardo serio mentre riflette. Niccolò allora continua, «Ora: la professoressa potrebbe aver cercato di uccidere Matteucci, ma senza accorgersi di non averlo fatto dato che Stefano è riuscito a raggiungere il cortile di casa di Bella Lombardi. Però, perché il fil di ferro è nel suo armadietto? L'armadietto era aperto. Se la donna ha ucciso Matteucci, perché lasciare le prove in bella vista?».
«Forse voleva che che lo trovassimo».
«O forse anche lei è stata incastrata da qualcuno».
«Dobbiamo interrogarla e farcelo dire. Nel frattempo sappiamo che Brandini è scappato proprio quando il cadavere di Matteucci è stato rubato. Il gioielliere lo abbiamo rilasciato dato che non sapeva nulla. Abbiamo scoperto che la chiamata dell'anonimo proviene da una cabina di Latina. Ho messo due agenti a piantonare quella cabina telefonica, ma nessuno si è più presentato. Stiamo cercando Brandini, stiamo cercando il luogo dove Matteucci potrebbe essere stato ucciso ed oggi abbiamo trovato il cadavere di Stefano qui a scuola, completamente aperto in due. Perché? Perché rubare un cadavere e poi ridurlo in quello stato? E chi potrebbe averlo fatto?» - sono queste le domande incessanti che il  Commissario pone a sé stesso e a Niccolò e quest'ultimo sospira. Sono talmente tante informazioni che per un attimo vorrebbe staccare dalla realtà. Però non può farlo perché alla fine questo è il suo lavoro, la sua passione. E tutto sarebbe più facile se l'FBI non si fosse intromessa nelle indagini. Ora hanno un problema in più.
Così Niccolò sospira e guarda il Commissario che ha le labbra corrucciate e gli occhi intenti a riflettere, ma sempre stanchi e preoccupati.
Così l'Ispettore inspira e guarda il Commissario.
«Ragioniamo passo per passo. Non appena gli agenti avranno trovato Brandini ci informeranno, così come ci informeranno se alla cabina telefonica si dovesse presentare qualcuno. Per quanto riguarda il luogo dove potrebbe essere stato quasi ucciso Stefano, lo chiederemo alla professoressa Teodora Moretti dato che pensiamo che sia stata lei ad ucciderlo».
«Ed è stata anche lei a squartarlo?» domanda di getto il Commissario.
Nicolò inspira e scuote la testa.
«Non lo so».
Il Commissario guarda Niccolò.
«Il medico legale ha detto che il cadavere si trovava qui già da parecchie ore, quattro o cinque, quindi deve essere stato portato nella notte».
«Io credo che se la donna abbia squartato Matteucci, abbia avuto bisogno di aiuto. Stefano era un ragazzo possente e per sollevarlo c'era bisogno di qualcuno e questo qualcuno deve per forza essere coinvolto nel caso».
«Un uomo quindi?».
Niccolò annuisce, «Penso proprio di sì» - e in quel momento gli torna in mente l'uomo delle pulizie che la sera prima lo aveva scrutato, quello che aveva visto parlare con Elsa, la moglie del Commissario. Il Commissario guarda Niccolò negli occhi e sembra notare questa sua espressione contrariata perché «Pensi a qualcuno in particolare?» gli domanda curioso.
Niccolò inspira e lo guarda dubbioso mentre «In realtà sì, ma non vorrei essere troppo affrettato».
Il Commissario scuote la testa e «Per la situazione in cui siamo più ci affrettano a chi sia, meglio è».
Niccolò muove la testa in segno di assenso e si passa una mano sul mento, poi «Si ricorda l'uomo delle pulizie? Aveva detto di aver pulito l'obitorio dove era contenuto il cadavere di Stefano Matteucci e di aver staccato cinque minuti prima che il cadavere fosse stato rubato».
«Va bene, ti seguo» afferma il Commissario, annuendo concentrato. Niccolò guarda il capo e non sa se dirgli di aver visto l'uomo parlare con sua moglie, ma decide di eliminare quell'informazione perché non sembrava importante in quel momento.
«Okay, l'uomo ha detto di aver terminato il turno cinque minuti prima e lei ha detto che l'alibi era confermato, ma confermato da chi?».
Il Commissario fa spallucce, «Dalle telecamere della sicurezza. Così c'era scritto nel fascicolo degli alibi».
«Ed è qui che ci sbagliamo!» esclama Niccolò facendo stranire il Commissario mentre Niccolò continua nella sua spiegazione, «Ci ho riflettuto ieri sera e non è possibile che le telecamere potessero confermare. Così ho chiamato Adriano, ancora in centrale e gli ho fatto controllare la memoria delle telecamere. Le telecamere hanno registrato fino alla dieci e un quarto di sera. Allora gli ho fatto controllare i turni di lavoro e l'uomo in questione terminava di lavorare alle dieci e venticinque».
«Quindi dieci minuti dopo che le telecamere sono state disattivate» riflette ad alta voce il Commissario e Niccolò annuisce.
«Esatto! Quindi le telecamere erano disattivate già da prima che l'uomo finisse il suo turno».
«E tu pensi che possa essere stato lui?».
Niccolò lo guarda negli occhi, «Penso che sia stato aiutato da qualcuno. Se davvero hanno rubato il cadavere dall'interno, qualcuno deve aver disattivato le telecamere e lui potrebbe aver rubato il cadavere. Altrimenti non avrebbe avuto motivo di mentire» spiega Niccolò con serietà, unendo i vari pezzi, sotto i diversi assensi del Commissario.
«Va bene, ma allora come è possibili che Adriano non si sia accorto di nulla?».
«Perché come ci ha detto sua moglie, in quel momento Adriano la stava aiutando a parcheggiare la macchina».
«Quindi i ladri devono aver approfittato della distrazione di Adriano per disattivare le telecamere e mettere in atto il piano».
Niccolò annuisce per l'ennesima volta ed entrambi fanno silenzio per qualche minuto. Niccolò ha ancora una cosa da chiarire: i braccialetti. Però decide di non dirlo al Commissario perché vuole capire di cosa si tratti da solo, per evitare di aumentare la mole di preoccupazione. Così come decide di non dirgli della minaccia arrivatagli. Forse dovrebbe, anzi: sa che dovrebbe farlo perché è stata minacciata anche la figlia, ma quando posa nuovamente lo sguardo  in quello del Commissario e vede la stanchezza e la preoccupazione, Niccolò non ha cuore di aggiungere altri dispiaceri. Proteggerà Baby e tutti gli altri da solo. Può farcela.
«L'unica cosa che non mi è chiara è il rapporto che c'è tra la professoressa di mia figlia e l'uomo delle pulizie della centrale».
«Non lo so Commissario, ma li andiamo a prendere e ce lo faremo dire da loro» afferma Niccolò con sicurezza.
Proprio in quel momento suona la campanella e sia Niccolò che il Commissario scattano sull'attenti. I giornalisti si stano diradando e il Commissario guarda Niccolò.
«Va bene Ispettore. Io torno in centrale con il fil di ferro e lo faccio analizzare e vedo se gli agenti di pattuglia hanno scoperto qualcosa. Lei mandi una pattuglia a prelevare l'uomo delle pulizie e due agenti a prelevare la professoressa Teodora Moretti. La campanella è appena suonata e dovrebbe essere in giro per la scuola a raggiungere la prossima classe,» ordina l'uomo con tono serio, sotto lo sguardo attento di Niccolò. Poi dà una pacca paternale sulla spalla di Niccolò, cercando di alleggerire la situazione mentre «Teniamoci in contatto. E non si colpevolizzi Ispettore se l'FBI sta cercando di toglierci il caso, troveremo un modo per riprendercelo. Non deve sentirsi in colpa solo perché suo fratello è al comando di tutto» cerca di rincuorarlo il Commissario Gervasi, con tono sincero. Niccolò inspira, cercando di scacciare la desolazione per poi fissare a terra e «Dopo tutto ciò che sta succedendo non so nemmeno se posso ancora chiamarlo fratello» commenta a bassa voce, ma il Commissario lo sente e gli stringe la spalla. Niccolò allora lo guarda e il Commissario riesce a sorridergli.
«Si ricordi Ispettore che come lei mi ha ascoltato quando le ho parlato di Baby,» - e a quelle parole Niccolò vede gli occhi del Commissario intristirsi, ma è solo un attimo, «allo stesso modo anche io ci sono per lei quando vuole parlare».
Niccolò annuisce e, anche se non parla, lo sta ringraziando con gli occhi.
«Ho fatto cose talmente brutte che non so se riuscirò mai a liberarne del tutto» confessa Niccolò con un sospiro. Il Commissario ispira e continua a guardarlo mentre «Magari ci vorrà tanto tempo, ma se non comincia a parlarne non penso lo saprà mai» - e detto questo dà Niccolò un'altra pacca amichevole sulla spalla. Niccolò annuisce e lo guarda riconoscente. Quell'uomo è davvero buono e gli dispiace vederlo sommerso da tutte quelle preoccupazioni. Lui però è lì per aiutarlo e risolveranno il caso insieme.
«Bene,» - Niccolò si raddrizza e assume nuovamente la postura decisa e la voce seria che lo contraddistingue nell'ambiente lavorativo, «Agenti ascoltatemi! Cassio e Rama andate in centrale e chiedere le generalità dell'uomo che ieri sera si occupava delle pulizie dell'obitorio. Trovatelo!» ordina e Adriano e Tiziano ubbidiscono senza esitazione, raggiungendo la macchina dato che i giornalisti erano ormai andati tutti via, nuovamente privati della scoop del giorno.
Poi lo sguardo di Niccolò si posa su Gabriele ed alza un sopracciglio e «Coccoli, dov'è Elisa?» domanda non vedendola da nessuna parte.
«Si è allontanata un attimo per fare una chiamata urgente» spiega subito Gabriele e Niccolò annuisce. Non gli piace il fatto che Elisa si sia allontanata senza avvertirlo, non era da lei, ma se la chiamata era urgente magari non aveva fatto in tempo ad avvertirlo. Così lascia correre e guarda Gabriele mentre «Coccoli, tu vieni con me, andiamo a prelevare una persona. Gabriele annuisce e si avvia a Niccolò e al Commissario che era già pronto a tornare in centrale. Proprio in quel momento torna Elisa che ha uno sguardo serio in volto ed evita gli occhi di Niccolò mentre «Scusi Ispettore se mi sono allontanata e non l'ho avvertita» mormora a voce bassa. Niccolò la sente e la guarda di sbieco. Elisa non era mai stata così scostante, di solito era sfacciata e sempre a testa alta. Niccolò però non ha né tempo né voglia di soffermarsi sui cambi d'umore della ragazza - visto che era abituato ai cambi d'umore di un'altra ragazza. In quell'esatto momento «Papà!» esclama una voce che fa voltare tutti verso Baby che sta infatti venendo a passo svelto verso di loro. Il Commissario le si avvicina e la ragazza lo abbraccia velocemente.
Niccolò la guarda e, anche se sono nel bel mezzo di un caso di omicidio e furto, la trova bellissima con la gonna che le lascia scoperte le gambe toniche e ancora un po' abbronzate. Per un attimo nella mente si affollano le immagini dei baci e delle carezze che aveva lasciato su quelle gambe ambrate e, nonostante avessero discusso l'ora prima, Niccolò avrebbe volentieri fatto nuovamente sesso con Baby perché di quella ragazza sembrava non averne mai abbastanza.
Torna a concentrarsi sul presente quando percepisce la voce del Commissario che «Amore perché sei qui? Hai il compito di matematica ora no?» domanda alla figlia.
Niccolò guarda Baby e la vede agitata. Quest'ultima non lo guarda, ma al contrario tiene gli occhi fissi sul padre mentre mormora una frase che lascia tutti spiazzati.
«La professoressa di italiano è scappata via! Stavamo finendo di parlare del terzo articolo della Costituzione Italiana quando ha ricevuto una chiamata ed è corsa subito via dalla classe, terrorizzata. Ramina, la bidella, l'ha vita uscire dal retro della scuola e correre via. Papà, ma che sta succedendo?».



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