Buon pomeriggiooo! Eccomi qui con un nuovo aggiornamento, ci sto prendendo gusto!
Come al solito, lasciate una stellina, che mi piacciono tanto, sia in questo che nei capitolo precedenti, e commentate cosa ne pensate! Buona lettura ❤️
————————Canzone per il capitolo: The Winner Takes It All, by ABBA. (I'm old fashioned, I apologize.)
"Ti voglio bene."
Tre semplicissime parole, ma con un immenso potere. Molte volte può sembrare una frase scontata...altre, invece, è l'unica cosa che abbiamo bisogno di sentirci dire. Un semplice 'ti voglio bene' è in grado di salvare la vita di una persona, di migliorarle la giornata, di farla sentire speciale...quante volte ci priviamo di dare voce alle nostre emozioni per paura di risultare ridicoli o incompresi? Ma che senso ha l'amore se non viene espresso? Che senso ha la vita di per sè se non viene vissuta attraverso ciò che di più prezioso possediamo?
I nostri sentimenti.
Quella mattina di giugno, Gilbert e Jem Blythe si trovavano sulla vecchia barca che il riccio aveva comprato molti anni prima, navigando al largo, beandosi del canto dei gabbiani e del rumore delle onde...erano ormai lontani dalla riva, il porto era sparito all'orizzonte, e i due erano distesi sul legno del pavimento permettendo ai raggi del sole di illuminare i loro visi ormai abbronzati.
Stavano in silenzio...e poi, tutto d'un tratto, ecco che Jem aveva parlato.
Suo padre si girò istintivamente a quella frase, sorridendo senza accorgersene, e si sollevò su un gomito osservandolo meglio. "Sicuro non sia colpa di un'insolazione?"
"É così strano sentirti dire che ti voglio bene?" scoppiò a ridere il ragazzo "Mi fai sembrare anaffettivo, così!"
"Non sei anaffettivo, semplicemente pensavo non lo avresti più detto ad alta voce. Insomma, voi ragazzi di oggi avete quasi paura delle emozioni."
"Non ho paura delle emozioni, solo di rimanere ferito da esse. Ma nel tuo caso non credo di rischiare..." sorrise abbracciandolo "Mi dispiace che tu non sia fiero di me come vorresti...e mi dispiace per la lite di ieri sera. Non avrei dovuto alzare la voce in quel modo, sono stato un idiota. Sapevo quanto tu ci tenessi e-"
"L'unica cosa a cui tengo, James, è che tu sia felice della tua vita. Non sono nessuno per importi cosa fare o cosa no. Soltanto tu puoi decidere cosa o chi volere essere, tu e nessun altro."
"Ma sei mio padre..."
"Padre e padrone, per quanto simili, non sono la stessa parola. Se non vuoi diventare medico, lo accetto. Effettivamente non ti vedo un granché chiuso in uno studio a scrivere ricette e certificati. Sei troppo iperattivo, troppo dinamico...tale e quale a tua madre." sorrise
Quella gita in barca non era stata una loro idea, infatti. Era stata la stessa Anna ad obbligarli, nella speranza chiarissero una volta per tutte dopo quella litigata. Per loro era normale discutere...e tutte le volte in cui si ritrovavano d'accordo su qualcosa c'era da temere che il mondo stesse per finire sul serio. James Blythe era praticamente Anna elevata alla quinta, e tra i due, Gilbert non sapeva chi temere di più.
A cena aveva chiesto ancora una volta a suo figlio che intenzioni avesse dopo il liceo, ed ecco che lui gli aveva detto in faccia di non voler nemmeno lontanamente fare il medico. Odiava quel lavoro, odiava vedere suo padre continuamente stressato o in colpa per non essere riuscito a salvare qualcuno...chi era lui per assumersi simili responsabilità? Jem viveva di avventure, a volte anche pericolose; viveva di amicizia, di risate, di spensieratezza...voleva svolgere una professione in grado di farlo sentire libero, non un uccello in gabbia.
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Chiamatemi Anna [SETTIMA STAGIONE]
Fanfiction[COMPLETA] In seguito alla nascita del piccolo Jem, la famiglia Blythe decide di trasferirsi nella bellissima Ingleside insieme alla loro balia, Susan. Gli anni passano, e presto Anna e Gilbert si ritrovano circondati dai loro bellissimi bambini: Je...