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Partendo dal presupposto che in quel quartiere non avevo messo mai nemmeno la punta del naso, quando il taxista mi lasciò davanti ad una splendida villa a Pacific Heights rimasi senza parole fin dal principio.

Era enorme e senza dubbio davvero molto, ma molto, costosa, ma avrei dovuto capirlo appena entrata in quel quartiere. 

Le pareti bianche e gli enormi finestroni che davano sulla strada e sul retro della casa erano illuminati dalla luce accecante del sole di quella mattina. 

L'intera struttura si sviluppava su due piani, circondata da rigogliose piante verdi. 

Attraversai il grande cancello già aperto e salii i tre modesti gradini all'ingresso. Sentendomi all'improvviso una poveraccia, suonai il campanello. 

Un signore anziano nella villa di fronte mi lanciò uno sguardo perplesso, probabilmente chiedendosi cosa ci facessi lì. 

Me lo chiesi anche io. La porta d'entrata si aprì rivelando una donna sulla quarantina. 

-Buongiorno, è qui per il signor Hale?- I suoi capelli scuri a caschetto erano impeccabilmente pettinati con la riga in mezzo, gli occhi azzurri sorridevano insieme alle labbra sottili. 

Risposi con un cenno e lei si fece da parte per farmi passare. 

La stanza in cui entrammo si apriva su altre stanze, con una parete interamente di vetro che dava sul giardino sul retro, dove una splendida piscina scintillava sotto il sole. 

La signora mi accompagnò verso la stanza di sinistra, il salotto. 

Appena feci il mio ingresso alcune teste si voltarono nella mia direzione, erano quasi tutti uomini o donne molto più grandi di me.

Il tempo passò lentissimo, ma forse era l'effetto dell'ansia. 

Se non avessi ottenuto il posto avrei dovuto seriamente pensare di trovarmi un lavoro differente, che non mi piacesse. 

Passò un'ora, poi due, e tutti gli altri candidati vennero chiamati prima di me. 

Quando rimasi l'unica nella stanza, l'ansia si fece sentire davvero. 

Anche solo sentire le altre persone parlare mi calmava, ma ora in quel silenzio opprimente tutte le mie insicurezze venivano a galla. 

Si sentirono dei passi rimbombare in tutta la casa e un uomo uscì dalla stanza dove venivano chiamati tutti per parlare col signor Hale. 

Era il mio turno, mi alzai incerta.

Aprii la grande porta di vetro opaco ed entrai nella stanza.

Su un ampio divano di pelle chiara era seduto un giovane ragazzo, non ancora trentenne, con un paio di occhiali scuri che gli nascondevano gli occhi. 

I capelli scuri e setosi erano ben sistemati, le labbra rosee non lasciavano trasparire alcun sorriso rassicurante. 

Su quest'ultime notai subito una grande cicatrice, segno del passato, e la mia mente tornò immediatamente alle parole di Leda riguardo all'incidente che lo aveva reso cieco. 

Forse se l'era fatta in quel momento.

Ad entrambi i lobi erano appesi dei pendenti d'oro bianco e aveva degli splendidi anelli d'argento sulla maggior parte delle dita.

-Buongiorno.- Mi salutò allegramente la stessa donna che mi aveva accolto all'ingresso, seduta al fianco del ragazzo teneva in mano molti documenti.

-Buongiorno, sono Amber Hooper. Sono qui per... -

-Sappiamo perché sei qui.- Mi interruppe il ragazzo, la sua voce fredda e tagliente. 

Serrai le labbra, mentre la signora accanto sobbalzò alle sue parole sgarbate. 

Posò una mano gentile sulla spalla del ragazzo. 

-Siediti pure, Amber.- Disse dolce e io mi accomodai su un divano gemello di fronte a loro. 

-Scusalo.- Mormorò impercettibilmente lei. 

-Sono cieco, non sordo, signora Holland.- Il tono di Jake era supponente, non sembrava lo stesso ragazzo descritto dalla signora Black. 

La donna abbassò lo sguardo, ritirando la sua mano dalla spalla del ragazzo. 

Lo osservai con una nota di disprezzo, infastidita dalla sua arroganza e presunzione. 

Si fece passare dei documenti che a prima vista sembrarono dei semplici fogli bianchi, ma guardando attentamente notai che erano scritti in braille. 

Lui li alzò in modo che potessi vederli. 

-È il tuo curriculum.- Mi informò. 

Alzai un sopracciglio sorpresa mentre lui cominciò a passare l'indice della mano destra sopra il primo foglio. 

Le sue sopracciglia si incresparono e per la prima volta notai un sorriso sulle sue labbra, ma era tutto tranne che sincero. 

-Sei coraggiosa a presentarti qui, mocciosa.- Mi schiarii la gola visibilmente frustrata. 

-Come scusi?-
-Prima di tutto sei solo una ragazzina.- 

Lo fissai a lungo, cercando di capire se stesse scherzando. 

Ma il suo volto rimase imperturbabile. 

-Pensavo cercasse un'assistente, non una guardia del corpo.- Dissi tra i denti, notando un sorriso sottile spuntare sulle labbra della signora Holland. 

-Il tuo curriculum è quasi vuoto, hai lavorato come aiutante segretaria in una clinica privata e dopo nemmeno due mesi dall'assunzione sei stata licenziata. Attualmente sei disoccupata.- Lesse passando con l'indice su tutto il foglio. 

Il ragazzo sbuffò, sorridendo arrogante mentre scuoteva la testa.
-Cosa ti fa pensare che ti assumerò?- 

Rimasi in silenzio cercando di tenere a freno la lingua per evitare di dire cose di cui mi sarei potuta pentire in seguito.

-Allora?-

-Niente mi da la certezza di ottenere il lavoro.- Cominciai dopo un attimo di esitazione.

 -Ma... mi reputo all'altezza di questo incarico. Ho sempre lavorato aiutando le persone e ora vorrei aiutare lei.- Dissi e lui si fece silenzioso. 

-E per la cronaca: sono stata licenziata dalla clinica perché era entrata in crisi, non perché non fossi all'altezza di quel posto di lavoro.- Dissi tutto d'un fiato e con un tono autorevole e serio. 

La signora annuì, Jake inclinò la testa di lato, verso di lei. 

Si piegò in avanti appoggiando i gomiti sulle ginocchia e incrociando le dita snelle. 

Giocherellò per qualche secondo con i suoi pollici, poi lentamente si sfilò gli occhiali. 

Due iridi bianche e vuote al centro di due occhi leggermente a mandorla comparvero e si misero a fissare un punto indefinito dietro di me. 

Rabbrividii. 

La cicatrice delle labbra non era l'unica ferita ormai rimarginata che possedeva: un'altra, infatti, era situata vicino, davvero troppo vicino, al suo occhio sinistro.

-Geraldine.- Voltò la testa verso la donna, ma senza mai veramente guardarla. 

-Porti il contratto.- Sentendo le sue parole sussultai quasi cadendo dal divano. 

-Grazie! Oddio grazie mille, Signor Hale.- Dissi cercando di trattenere l'eccitazione fallendo miseramente. 

La donna si alzò e ammiccò nella mia direzione, fu un sollievo sapere che almeno a lei stavo simpatica.

La LucciolaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora