43 -Ripensare il passato

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Can

Primo mese  - Passato

E' trascorso un mese da quando ho lasciato Istanbul e  non è stato facile per me, fisicamente e mentalmente, affrontare questo viaggio attraverso il mondo e attraverso  me stesso.

In primo luogo mi sono reso conto di aver sopravvalutato il mio recupero fisico  dopo l'incidente, quel mese di immobilità ha fiaccato la mia resistenza allo sforzo fisico, il mio corpo ha perso in pochissimo tempo molta della muscolatura faticosamente conquistata in anni di duro allenamento.
Una volta arrivato a Caracas ho raggiunto i luoghi che sono oggetto del più grande esodo della storia del continente americano attraverso percorsi non controllati dal Venezuela verso la Colombia.
Sono stato accompagnato da alcune guide locali proprio attraverso quei passi montani, abbiamo dovuto lasciare spesso le piste battute per arrampicarci lungo pendii scoscesi seguendo le centinaia di persone, uomini, donne e bambini che percorrono chilometri ogni giorno alla ricerca di una speranza di vita.

Per poter testimoniare devo vedere con i miei occhi,  vivere in prima persona con loro i disagi di una fuga disperata scalando montagne e attraversando fiumi in piena.
Non è stato facile ma pian piano ho recupero forza e resistenza per  riuscire a fare quello che ho fatto da sempre con il mio lavoro, far vivere attraverso le mie foto la vita terribile di chi soffre enormemente nel disinteresse più totale del mondo civile.

Se le fatiche fisiche sono diventate via via meno gravose altra cosa sono i tormenti interiori che ho vissuto ogni giorno ed ogni notte da quanto sono partito. Questo viaggio lento e cadenzato dalla fatica e dal dolore che mi circonda è diventato un viaggio interiore che mi sta portando a scavare profondamente nel mio cuore e nella mia mente.

Le lunghe ore di cammino sono occasione per meditare sulla vita che ho vissuto fino a due anni fa, fino a quando i miei ricordi mi permettono di arrivare, per metterla a confronto con quello che Sanem, mio padre, Emre e Metin mi hanno raccontato dei miei due anni mancanti.

Anche l'incontro con Polen è servito a capire che, fino a conoscere Sanem, non avevo mai preso un impegno serio, non mi ero preoccupato di conoscere a fondo quella che ho chiamato  la mia ragazza per diverso tempo ma che mi bastava incontrare due, tre volte l'anno. I miei rapporti con le donne e con gli altri erano superficiali, privi di qualsiasi responsabilità o impegno. Ora mi rendo conto che non si trattava di voglia di vivere o spensieratezza, era paura, vera e propria paura di amare ed essere abbandonato come era successo con mia madre da bambino.

Non avevo avuto una famiglia: non avevo un fratello che potessi chiamare tale a causa dei tanti anni vissuti lontani, mio padre aveva cercato di fare del suo meglio ma era un uomo con delle grandi responsabilità ed il lavoro lo portava spesso lontano costringendolo a lasciarmi in collegio o con le baby- sitter. Mia madre mi aveva abbandonato e per anni era stata un biglietto e un regalo, che odiavo visceralmente, che arrivavano puntuali a Natale e al mio compleanno. Come potevo pensare di amare e che esistesse l'amore vero con questi presupposti?

Attraverso quello che mi aveva raccontato e dalla lettura del suo libro avevo potuto constatare che anche nel rapporto con Sanem, che riconoscevo essere molto importante per me, ad ogni difficoltà avevo innalzato muri invalicabili, avevo imposto tagli netti e chiusure categoriche perchè avevo paura, paura di amare ed essere deluso e abbandonato ancora una volta.

Guardarmi intorno nei campi improvvisati dai rifugiati, vedere l'amore negli occhi dei genitori angosciati per il futuro dei loro bambini che stavano trascinando in un viaggio della disperazione e della speranza,  erano un esempio di un amore che non avevo mai vissuto.

Osservare le coppie di sposi tenersi per mano, aiutarsi e sostenersi nelle difficoltà di quei terribili momenti anche solo con un sorriso, una carezza di conforto, un bacio di speranza mi faceva capire che io non ricordo di aver mai vissuto qualcosa di così profondo e vero almeno finchè  ho conosciuto Sanem.

L'ho lasciata un anno intero e l'ho fatta soffrire per paura, paura di non essere abbastanza, di non meritare tutto l'amore che provava per me, paura di soffrire. Ho abbandonato tutto e tutti, non ho idea di cosa sia successo in quell'anno, ma sento di essere andato alla ricerca di me stesso, proprio come sto facendo adesso, per capire se potevo essere degno di tanto amore e devozione, per chiedermi se potevo vivere senza di lei e, a quanto pare, la risposta è stata no.

Devo essere tornato per questo motivo, ho fatto di tutto per riconquistare nuovamente il suo cuore, così mi hanno detto sia Metin che Emre, perchè evidentemente mi ero reso conto di non poter fare a meno di lei.

Cosa mi dice questo? Non potevo farlo allora ma posso farlo adesso?

Ho trascorso notti intere,  sotto un cielo di milioni di stelle che solo in luoghi così remoti del mondo possono essere ammirate,  a guardare le foto sul mio telefono.
Ci sono le foto del me che ricordo e le foto di noi che vedo come per la prima volta e non posso non notare la differenza, la scintilla nei miei occhi che brillava quando ero con lei non si era mai accesa prima.  Vedo un Can sconosciuto, felice e appagato, completo coma mai ero stato prima.

Ho vissuto sempre una vita solitaria e priva di affetti,  ma a quanto pare accanto a lei ho trovato calore e amore che  fatico ancora a credere che possano esistere.

Ora so che con lei è stato possibile, lo vedo nelle foto, l'ho letto nel suo libro, l'ho sentito nelle sue parole accorate, ora mi devo solo chiedere: quanto voglio che il passato continui ad influenzare il mio presente e il mio futuro?

Dalla risposta a questa domanda dipenderà qualcosa di essenziale ... dipenderà la mia felicità.

Sempre e per sempreDove le storie prendono vita. Scoprilo ora