𝐜𝐚𝐩𝐢𝐭𝐨𝐥𝐨 𝐗𝐕

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Al risveglio loro, 'n marcia tornaron, camminando su lo argine 'n pietra de lo ruscello di sangue. Ne lo settimo cerchio si inoltraron, donde li sodomiti, violenti contro natura risiedevan.

Uno di essi, co' gran stupore, lo poeta fiorentino riconobbe, richiamandone l'attenzione. Sorpreso fu di veder lo maestro suo, Brunetto Latini, uomo politico e intellettuale fiorentino. Entrambi felici furon di rivedersi, tant'è che Brunetto da la schiera de dannati s'allontanò, e Alighieri solo lasciò Virgilio pe' scambiar due parole. Quest'ultimo un po' male ci rimase, ma comprese che quell'uomo era lo vero maestro di Dante, e che dopo così tanto tempo chissà quante cose ave'an da raccontarsi.

In disparte si mise, lasciando li due alle cose loro. Ne lo frattempo l'occhi su la figura di Dante posò, senza mai distoglierli. Ogne dettaglio che poteva esser osservato, Virgilio lo osservò. Lievemente arrossì nel mentre lo viso sorridente del giovine guardava.

"È così bello" mormorò senza nemmeno rendersi conto d'averlo pensato.
Da li occhi, scese sul sorriso suo, passando poi lungo 'l corpo, che co' solo lo sguardo 'li divorò. Su lo posteriore poi si fermò, volontariamente o no, pe' quel che veder si poteva. Di più arrossì, fin quando un pensiero tutt'altro che casto la mente 'li attraversò.

Nel mentre Latini lodava 'l suo discepolo, e 'li preannunciava anch'egli che al ritorno suo ostilità tra li cittadini avrebbe trovato, lo poeta antico di quel pensiero appena avuto continuava a stupirsi, decidendo poi di scacciarlo una volta pe' tutte. Un attacco al comportamento morale et politico delle fiorentine fazioni lo maestro di Dante fece, esortando 'l suo discepolo a della cattiva sorte non curarsi, tanto l'onore era che le sue qualità gli riservavano. L'altri sodomiti poi indicò, anche loro intellettuali e illustri eran.

Poi s'allontanò 'l suo prefetto salutando pe' l'ultima volta, raggiungendo poi la schiera de dannati n'ovamente, ma no' prima di avergli affidato l'eredità morale della opera sua più significativa.

Alighieri fece ritorno, scusandosi pe' aver lasciato solo la guida sua:

<<No' preoccuparti>> sorrise Publio, <<Stai bene piuttosto?>>

<<Sì maestro>> rispose accostandolo, a una parete poggiandosi.

<<Sei forse stanco?>> chiese 'l poeta da li riccioli dorati fissandolo ed una gota carezzandogli.

<<Non molto in verità>> proferì alla ricerca d'un luogo isolato dove poter le energie recuperare, più in là trovandolo.

La mano gli afferrò, stringendola e conducendo 'l più grande verso quel luogo.

<<Maestro, s'accomodi per favore. Mi spiace averla fatta attendere così tanto tempo, in piedi addirittura>> lo supplicò Dante a sedersi invitandolo.

Publio rise lievemente, l'invito de lo allievo accogliendo. Era un piccolo angolo molto confortevole quello che lo fiorentino aveva adocchiato: sembrava una piccola grotta che al riparo da tutto teneva, e dove nessuno poteva vederti. Lo romano esortò 'l giovine ad accomodarsi, cenno di posizionarsi tra le gambe sue facendo'li. L'altro così fece, mirando poi Virgilio, e viceversa.

'l viso s'accarezzaron a vicenda, sempre più avvicinandosi: le loro fronti uniron. Era un gesto che ad entrambi piaceva e 'l cuor faceva battere all'impazzata. Ne li occhi si fissaron. Eran molto vicini, ma a loro no' importava se lo spazio loro personale veniva invaso. No' si stancavan mai l'un de l'altro.

Continuaron a guardarsi, carezze e sorrisi scambiarsi, arrossendo sempre più. Virgilio di più volle avvicinare 'l volto suo, lo respiro di Dante volendo sentire. In quella posizion rimasero pe' chissà quanto, indisturbati e felici, non curandosi nemmeno di capire il perché di quei gesti così intimi.

Ancora non lo sapevan, ma qualcosa stava sbocciando.

𝑬 𝑻'𝑨𝒎𝒆𝒓𝒐̀ 𝑷𝒆' 𝑺𝒆𝒎𝒑𝒓𝒆 || 𝓭𝓪𝓷𝓽𝓲𝓵𝓲𝓸Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora