𝐜𝐚𝐩𝐢𝐭𝐨𝐥𝐨 𝐗𝐗𝐗𝐈𝐈𝐈

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Dopo aver allontanato la bocca dal pasto bestiale, 'l dannato s'accinse a raccontar la fine sua. Sape'a che narrar la storia sua 'li avrebbe procurato molto dolor, ma era certo che la sofferenza sua sarebbe stata compensata dall'infamia procurata a lo traditore di cui stava rodendo 'l cranio. Si trattava del conte Ugolino della Gherardesca, lo qual, pe' 'li intrighi dell'arcivescovo Ruggieri, ora vittima sua, fu rinchiuso nella torre dei Gualandi, in Pisa, co' due figli e due giovani nipoti. Vi rimase prigioniero alcuni mesi pe' poi esser condannato a morir de fame.

La disperazione di dover assistere a la tragica fine de li suoi ragazzi lo impietrì dal dolore. Il triste evento si consumò tra il quarto e il sesto giorno; e a l'ottavo anch'egli morì. Dante allora proruppe 'n un'invettiva contro Pisa, macchiandosi anch'essa d'un delitto così feroce.

Giunse successivamente co' Virgilio, nella Tolomea, dove i traditori degli ospiti eran puniti. Questi, supini e fasciati dal ghiaccio, eran impediti dal piangere perché le lacrime divenivan vere e proprie bende ghiacciate. Uno di loro dimandò a Dante di liberar'li gli occhi da lo ghiaccio pe' consentir'li di piangere un poco. 'l poeta promise l'aiuto suo, purché 'l dannato dicesse lo nome proprio.

Se trattava de Alberigo Manfredi, protagonista d'una spietata vendetta consumata durante un banchetto. Egli rivelò che le anime de li dannati giungessero nella Tolomea appena si macchiassero d'omicidio. Nel frattempo il loro corpo, posseduto da un demonio, continuava a vivere sulla terra, come era accaduto al genovese Branca Doria, anima del quale giaceva da parecchio tempo ne lo gelo, nonostante il suo corpo fosse ancora in vita.

Fu allora che Dante inveì contro li genovesi, gente aliena da ogni buona costumanza e piena di vizi. 

𝑬 𝑻'𝑨𝒎𝒆𝒓𝒐̀ 𝑷𝒆' 𝑺𝒆𝒎𝒑𝒓𝒆 || 𝓭𝓪𝓷𝓽𝓲𝓵𝓲𝓸Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora