CAPITOLO 1

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 "Tesoro mi dispiace tantissimo, so che te lo avevo promesso, ma abbiamo avuto dei problemi con alcuni scatti e devo fermarmi in studio. Non aspettarmi alzata, farò tardi! Ti prometto che mi farò perdonare..."

Sanem sentì dal tono della voce che Can era sinceramente dispiaciuto, così si sforzò di mascherare la delusione che minacciava di serrarle la gola, ricacciò indietro le lacrime e, controllando il tremito della voce, disse: "Non ti preoccupare, ci saranno altre occasioni per stare insieme..."

"Sei sicura?"

Sanem, suo malgrado, sorrise "Certo, so bene che non è colpa tua... Ti amo", aggiunse quasi in un sussurro.

"Anch'io, non dubitarne mai!"

Terminata la telefonata Sanem si guardò intorno sconsolata. Aveva davvero sperato di trascorrere con Can quella serata, loro due soli, senza i ragazzi. Era da tanto che non riuscivano a ritagliarsi un momento tutto per loro e ne avvertiva il bisogno.

Aveva la necessità di ritrovare quell'intimità nei gesti, negli sguardi, quella complicità che erano state caratterizzanti del loro rapporto, molto spesso invidiate e che negli anni avevano accantonato, quasi dimenticato, per dedicarsi ai figli, al lavoro, alla casa...

Lo avevano fatto con entusiasmo, investendo in quel progetto di famiglia, che avevano sempre condiviso e nel quale avevano creduto fermamente, tutte le loro energie. E i loro sforzi erano stati ampiamente ripagati: Efe, Babu e Amina erano diventati tre splendidi giovani, di solidi principi, molto legati tra di loro e desiderosi di trovare il proprio posto nel mondo, di lasciare una traccia del loro passaggio. Si illudevano di poter cambiare le cose semplicemente facendo sentire la propria voce, opponendosi a ciò che non andava, con quell'atteggiamento di onnipotenza e leggera arroganza tipico della loro età. Ma, almeno, lo facevano con gli strumenti giusti: lo studio e la dialettica senza mai lasciarsi trascinare dall'impulsività e dalla volgarità che troppo spesso scaldano gli animi, per poi sfociare in violenza gratuita e ingiustificata.

Efe voleva fare il medico e, al momento, si trovava a Londra dove stava frequentando un corso di perfezionamento della lingua inglese prima d'iscriversi all'università.

Babu, invece, pur essendo assai brillante, si era distinto più per le sue doti atletiche. Era diventato un ragazzone piuttosto alto, ben piantato e, a detta del suo allenatore, aveva buone possibilità di essere scelto per entrare a far parte della nazionale giovanile di basket.

Infine c'era Amina, che ancora frequentava il liceo. Dietro un aspetto angelico, quasi etereo, si nascondeva un carattere forte e determinato. Pur essendo di qualche anno più piccola dei fratelli aveva già le idee ben chiare di quello che voleva fare "da grande". Si sarebbe iscritta all'università, in relazioni internazionali, perché il suo sogno era quello di tornare in Congo, la sua terra d'origine, e fare qualcosa di concreto per la sua gente. Amava profondamente Can e Sanem ed era loro grata per quanto avevano fatto per lei, ma il suo cuore apparteneva all'Africa e là voleva mettere radici.

Con un sospiro Sanem andò in camera a cambiarsi. Per quella serata si era e aveva preparato tutto nei minimi dettagli.

Voleva che Can rimanesse colpito, lo voleva affascinare, voleva fare un salto indietro nel tempo, a quando i loro appuntamenti erano preceduti da una trepida attesa e da un incontrollabile sfarfallio nello stomaco. In realtà, quello, lei lo provava ancora, soprattutto, quando si perdeva a osservarlo a sua insaputa. Si era tagliato i capelli e aveva preso l'abitudine di lasciare la barba di tre giorni. Aveva abbandonato molti dei suoi accessori, che riteneva ormai troppo giovanili per la sua età, ma non aveva rinunciato al suo stile casual. Era invecchiato bene: grazia alla pratica costante dello sport, soprattutto corsa e palestra, il suo fisico era rimasto forte e prestante e le poche rughe che gli contornavano gli occhi rendevano il suo sguardo ancora più intenso e penetrante. Le donne, anche quelle più giovani, non si lasciavano sfuggire occasione per attirare la sua attenzione, ma lui, con un leggero sorriso, per non apparire scortese, era sempre sfuggito a ogni tentativo di seduzione.

Dopo aver indossato degli abiti più comodi, Sanem tornò in cucina, spense le candele che aveva posto al centro del tavolo per creare un'atmosfera romantica, ripose il proprio coperto, si preparò una tazza di tè e si diresse nel suo studio per lavorare un po'.

Erano anni, ormai, che lavorava per Metin, occupandosi di adozioni e affidi. Il suo compito era quello di valutare le domande che giungevano dal Tribunale dei Minori e inoltrarle poi ai servizi sociali o alle associazioni di pertinenza, che le riesaminavano una seconda volta valutandone l'idoneità.

Se non c'erano problemi lo studio di Metin veniva ricontatto per fissare un primo incontro.

Il caso sul quale stava lavorando ora, era un caso di affido di una bambina di sei anni che era stata portata via ai suoi genitori entrambi alcolizzati e quindi incapaci di prendersene cura.

Sanem lesse attentamente il rapporto e si soffermò a lungo sulle fotografie che lo completavano e che testimoniavano come la bambina vivesse nel degrado, abbandonata quasi a se stessa.

Inevitabilmente il suo pensiero andò a Babu e Amina e ai primi anni che avevano trascorso insieme. Erano stati anni difficili, di grande sofferenza, durante i quali più di una volta aveva temuto di non farcela, ma l'amore suo, di Can e di Efe, alla fine, aveva avuto la meglio e insieme erano riusciti a costruire una famiglia di cui andava fiera.

Soffocando uno sbadiglio guardò l'ora: si era fatta mezzanotte e Can non era ancora rientrato. Pensò di chiamarlo, ma poi accantonò l'idea. Non voleva sembrare insistente o, peggio, dare l'impressione di volerlo controllare, così spense la luce e andò in camera.

Com'era prevedibile non riuscì a prendere sonno, ma scivolò in una sorte di dormiveglia finché sentì aprirsi il portone d'ingresso. Diede un'occhiata alla sveglia, posta sul comodino lì accanto, e vide che erano le due passate: possibile che avesse lavorato fino a quell'ora?

Avrebbe voluto alzarsi per andare a salutarlo e accertarsi che stesse bene, ma una specie di risentimento, che sapeva essere irrazionale, la fece desistere e così rimase immobile, nel letto, in vigile attesa.

RITROVARSIDove le storie prendono vita. Scoprilo ora