Disinganno

39 6 0
                                    

Lei corre verso la camera, due scalini alla volta. Ha il cuore che continua a battere, le mani informicolate dall'ansia. Non riesce a smettere di pensare a quel bacio.

Intorno a lei, i contorni degli oggetti perdono nitidezza. È così distratta che urta una signora anziana, dai capelli bianchi raccolti in una treccia ordinata. L'urto fa cadere dalle mani della donna un orologio dorato, di quelli vecchi, "da taschino"... è così strano che persino Amelia lo nota. Quindi, lo raccoglie e lo porge alla signora, scusandosi.

Arrivata, striscia frettolosamente la tessera della sua stanza ma è solo dopo svariati tentativi che capisce di aver cercato di aprire la porta sbagliata, rendendosi conto che il numero della chiave non corrisponde al numero della porta. Tipico.

Finalmente riesce a entrare nella stanza giusta e si abbandona, con un enorme sospiro, sul letto, lasciandosi cadere nel vuoto.

La stanchezza le frizza negli occhi, ha l'impulso di stropicciarseli. 

I pensieri che, non si sa come, arrivano fino al petto, le impediscono comunque di addormentarsi, così alza la testa affaticata, afferra il telefono posato sul comodino - nessun messaggio - e si sente sola, ancora una volta. Imposta la sveglia a un'ora e mezzo dopo.

Che collegamento c'è tra testa e petto? Qual è il meccanismo che fa arrivare i pensieri a diventare pesi che premono per uscire dalle costole? Qual è il tragitto che dalla mente arriva in gola, annodandosi in un groviglio e poi, senza srotolarsi, scende giù e vi rimane?

Smettere di pensare è qualcosa di davvero remoto, quella notte (o meglio in quell'ora restante), l'alternanza delle immagini di quanto accaduto poco prima e quelle della relazione precedente, diventa odiosa al punto da desiderare che la sveglia suoni. E suona.

Sente la testa pulsare forte e un cattivo presentimento.

Prima di uscire dalla stanza controlla, almeno una decina di volte, di aver preso tutto. Dopodiché, raccolti i capelli in una treccia laterale e sistemato il viso ("solo" un filo di correttore, blush, eye-liner, mascara e una linea di matita labbra), esce, liberando un grande sospiro.

C'è qualcosa di cui nessuno riesce a liberarsi, per quanto lo voglia. Si tratta delle aspettative. Si insediano in noi, crescono come radici, ma alla velocità della luce. È come se fossimo lì, sulla riva del mare, e velocemente costruissimo dei castelli altissimi, fatti di mille dettagli, ornati da piccole conchiglie. La luce del sole li fa quasi brillare. Ci sentiamo così felici che pensiamo di poterli persino abitare, quei castelli. Poi, mentre siamo intenti a curare gli ultimi particolari e abbiamo la testa colma di progetti per quello che abbiamo costruito, arriva l'onda e, di quell'enorme castello, non rimane che un cumulo di sabbia, sfatto, orrendo. La volta successiva, allora, decidiamo di costruirlo più lontano dalla riva, il castello. Prendiamo tutte le "precauzioni" possibili, stiamo attenti. Ma la realtà arriva, sempre, soprattutto se speriamo il contrario.

Così, Amelia quella mattina aveva il petto colmo di aspettative e già aveva fantasticato mille e più volte di vivere una favola con quel ragazzo conosciuto per caso,  in una città di cui non sapeva assolutamente niente, nel cuore di una notte come le altre ma che, per qualche ragione, sembrava così diversa. Aveva immaginato che lui, quella mattina, la guardasse incantato, che la tenesse per mano, che si sedesse vicino a lei in aereo, chiedendo gentilmente a qualche passeggero di spostarsi. Si sarebbero sfiorati la mano, facendo finta di niente, nascondendo, con tutte le forze, il loro imbarazzo e le loro sensazioni. E poi, all'arrivo, si immaginava di mettere il suo piedone (Amelia portava il 40) per la prima volta in America, sotto il braccio di un ragazzo moro. Si era persino immaginata i dialoghi che sarebbero avvenuti tra di loro e, mentre ci pensava, continuava a urlarsi nella testa "resta coi piedi per terra",  frase più inutile che dar fiamma a un accendino contro vento.

Scende le scale molto lentamente, come se camminare piano la aiutasse a ridimensionare le sue aspettative, come per incarnare il detto "andarci piano". Quando ci pensa ride da sola, ma ride per finta, non una risata di gusto, una risata forzata, si prende in giro.

È incredibile quando più facile sia credere nei propri difetti piuttosto che essere convinti dei propri pregi, almeno per Amelia.

Le sembra di vederlo già da metà scale, indossa una larga felpa felpa grigia e pantaloni della tuta neri. Del sole, in quella giornata, non c'è neanche l'ombra, eppure lui porta in testa un paio di occhiali tamarri con le lenti scure. È così distratta che non si accorge dell'ultimo gradino e si sente sprofondare nel vuoto. È una strana sensazione. Per un attimo le gira tutto intorno, poi torna in sé.

Non sa come comportarsi, non ne ha idea, avvampa mentre sente lo sguardo di lui finirle addosso. La paura le chiude la gola. Comincia a urlarsi nella testa, di nuovo, come sempre. 'Sei una maledetta insicura, devi andare in giro a testa alta e non permettere a tutti questi pesi di buttarti così dannatamente in basso'. La cosa più buffa è che spesso le persone non si rendono conto della sua insicurezza, riesce a nasconderla e, a volte, è così brava a recitare la parte della ragazza forte e di carattere che ci crede persino lei. Altre volte, però, come questa, proprio non le esce la voce dalle labbra, rimane intrappolata in gola. Sente le guance bruciare di calore e spera con tutta se stessa che lui non se ne accorga.

"Buongiorno" mai in tutta la sua vita aveva compreso, bene come in quell'istante, il significato della parola farfugliare. Il suono della sua voce riecheggia, ridicolo, dentro la sua testa.

Lui le sorride. Se si è accorto di tutto quell'imbarazzo allora è certamente bravo a nasconderlo.

Quello era il momento in cui Amelia si aspettava che lui la avrebbe baciata su una guancia e le avrebbe sussurrato "è fatta, partiamo insieme".

Niente di tutto ciò. 

Lui neanche risponde.

SeteDove le storie prendono vita. Scoprilo ora