Rumore

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Nel frattempo l'ascensore è arrivato, ma loro stanno già correndo verso le scale.

L'adrenalina scorre lungo ogni centimetro del loro corpo e  Amelia vorrebbe gridare. Ma si trattiene. "Dove andiamo con così tanta fretta?" gli chiede, mentre prova a stargli dietro, due scalini alla volta, un po' goffa.

"A cena" sorride lui, poi la guarda e nota che ha i capelli bagnati. "Prenderai freddo" aggiunge "Cos'è? Il tuo Phon era rotto?"

Lei vorrebbe dire troppe cose, tutte in quel momento. I pensieri le si affollano nella testa.

Spesso non si sente a suo agio, una forza le preme in mezzo al petto e le blocca la voce, dissolvendo le parole in mille frammenti appuntiti, dolorosi.

Non questa volta, questa volta le viene da ridere. La forza preme ancora ma adesso non blocca un bel niente. "Non avevo voglia di asciugarli, odio asciugare i capelli. E poi sono brava a resistere al freddo." Brava a resistere al freddo? Cosa sono? un'eschimese? 

Lui sembra non rendersi conto delle sue parole, continua a essere affascinato dalla sua pelle, radiosa, dalla gobbetta del suo naso, quella che lei aveva sempre odiato, dalle sue labbra, più carnose nella parte inferiore.

"Allora dove andiamo? Devo pensare che sei un killer o qualcosa del genere?" Adesso Amelia si sente perfettamente a suo agio, non ha paura di niente. 

"Nossignore." 

Nossignore? Chi usa più quest'espressione? Pensa Amelia, divertita.

"Niente killer, sono solo un imbecille che non conosce questa città e non ha la più pallida idea di dove sta andando" dice lui, chiamando un taxi con un gesto naturale.

 Lei ride, di gusto, fin troppo.

"Sono Filippo" aggiunge.

"Amelia" sorride scandendo ogni lettera. Un sussurro e un battito di labbra prima che la lingua le sfiori il palato. 

Quando arrivano, la notte li avvolge, intorno a loro la città, ancora viva, freme, borbotta e si prende cura di loro. Camminano e parlano del niente, scambiandosi battute su come il caffè sia buono amaro "niente zucchero, sennò si perde l'aroma", di quanto lei sia "una da dolci, potrei vivere di soli dolci, credo che a volte non si abbia bisogno di niente, solo di un gelato al pistacchio".

Ridono e parlano finché non si rendono conto di aver camminato senza nemmeno guardarsi intorno, perdendo la cognizione del tempo e della fame.

"Non è il massimo" sospira lui "Ma pare che di aperto sia rimasto soltanto questo" Indica un piccolo locale, con l'insegna verde, proprio a fianco a una boulangerie, con le sedie nere ripiegate, sopra i tavoli in legno. 

Sembra un bar vegetariano, all'interno si notano, dal vetro, dei tavolini bianchi.

"È carinissimo!" Esclama lei con un entusiasmo decisamente eccessivo. Il bar non è nulla di che. È piccolo. stretto. scomodo. Ma è lì - un'occasione per sedersi, guardarsi negli occhi e rabbrividire.

I capelli non le si sono ancora asciugati del tutto e, a dirla tutta, non è vero che è "brava a sopportare il freddo", sta letteralmente gelando.

"Hai le labbra viola, sarà meglio entrare"

"Sto bene" non lo ammetterebbe mai.

Che cazzo di freddo

Si avvicinano al bancone per ordinare. Entrambi prendono un panino con insalata e salmone,  rendendosi conto che no, il bar non è vegetariano.

Amelia mangia di gusto, sforzandosi di apparire composta. E mentre si sfiora, con il dito medio, l'angolo destro della bocca, lui sembra stupito di come tanta semplicità possa attrarlo così violentemente.

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