Illusione

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Apre e richiude gli occhi spaesato, quindi attrae Amelia a sé con la mano che era ancora intrecciata alla sua.  A quel punto sono così vicini che le loro labbra convergono come calamite. Morbide. Un torpore si diffonde dal petto alle mani, informicolate, come punte da un milione di spilli. Il viso in fiamme. Nella testa il vuoto.

All'improvviso una coltre di pensieri le invade le tempie 

Non posso stare zitta, devo dire qualcosa. Non deve capire che mi è piaciuto così tanto.

Per qualche misteriosa ragione esistono delle leggi psicologiche, di cui ormai siamo tutti a conoscenza, tali per cui il grado di interesse dell'uno aumenta al diminuire della manifestazione dell'interesse dell'altro. O almeno, nella maggior parte dei casi.

Amelia allora banalizza. "Ho appena baciato uno sconosciuto"

Lui coglie la palla al balzo "E non ti ho neppure offerto delle caramelle"

"Mi hai convinta con una torta"

Sentono il bisogno irrefrenabile di scherzarci su. Come se la profondità di quel gesto li terrorizzasse, come se non volessero correre il rischio di essere trascinati dentro un buco nero di emozioni.

Amelia ha lo stomaco accartocciato ma trova "il coraggio" di riderci su e - Santo Cielo- sembra davvero spensierata. Ma la verità è che raramente si sente libera, raramente non pensa a niente.

Si parla sempre di quanto sia bello sognare, fare mille progetti, vivere nell'illusione che le favole, architettate da mille congetture del cervello, prima o poi diventeranno realtà; troppo poco spesso si parla di quanto faccia male constatare che la fantasia è una dimensione remota e intangibile. E così, anno dopo anno, Amelia aveva capito che quello che sognava non si sarebbe mai avverato ma il tarlo dell'illusione continuava ad annidarsi e a diffondersi, senza che lei lo volesse, senza fermarsi, come una malattia. E spesso, troppo spesso, faceva male.

Am era una ragazza solare, scherzosa, spesso allegra ma lunatica. Bastava poco per far calare le tenebre sul suo volto. Era questa, forse, la sua più grande debolezza. L'emotività. Una parola detta male, un sorriso non ricambiato, una spinta, una battutina sospirata tra i denti le provocava dolore. E se bastava questo per cagionarle una fitta al cuore, è quasi impossibile descrivere cosa provava quando qualcuno le faceva del male davvero. Col tempo aveva iniziato a conviverci. A convivere con quella morsa che le stringeva il petto ogni volta che veniva ferita. E  aveva costruito un muro, mattone dopo mattone. Un muro pesantissimo. Aveva chiuso ogni porta, ogni fessura, per evitare che chiunque potesse guardarle dentro. Lei stessa non voleva guardarsi, voleva vivere nell'illusione di essere superficiale, di non essere altro che sorrisi e spensieratezza. La profondità fa male. E fa male come le mani di un gigante strette attorno al collo, un martello che da dentro spinge un chiodo nella gola, un pugno in mezzo alla pancia. Lascia senza respiro. Insomma aveva dovuto proteggersi. E proprio quando l'opera era completata e il muro costruito, un ragazzo con gli occhi grandi e lo sguardo di un bambino l'aveva supplicata di aprirsi. Lei non si fidava e continuava a dire di no, che niente l'avrebbe fatta cambiare idea. Ma il ragazzo la guardava con la sincerità che gli esplodeva da ogni poro, la prendeva per mano, la faceva sentire la prima ballerina al teatro della Scala, appena entrata sul palco, la sera della prima. Le sussurrava che era una stella, gliela mostrava persino, nel cielo, gliela faceva vedere: "Tu sei quella là, la vedi? È la stella più luminosa". E, piano piano, dentro di lei, si faceva strada l'idea che allora, davvero, i sogni si avverano, che le favole non sono solo favole, che l'amore esiste. Come nei film. Come in una fiaba. Una principessa. E i mattoni venivano giù, senza che lei lo potesse controllare, e quel muro cadeva e si dissolveva in una polvere di errori e falsità. Non c'era più niente che la separasse da quel ragazzo; Amelia, quel suo cuore gigante, lo teneva praticamente in mano. Ma non appena il muro venne giù, lui scomparve, assieme ad esso, nella polvere di errori e lei venne trafitta. Di nuovo. Ma questa volta faceva più male.

Ma per non dilungarsi eccessivamente - e azzarderei un "non sono questi i veri problemi"- tornerei al presente, a quel bacio dato un po' a caso ma che avrebbe cambiato molte cose.

Comprendere a pieno i meccanismi che ci portano a essere completamente dominati da un pensiero è qualcosa di impossibile. Ci sono persone che, solo con il tempo e con il ripetersi costante di piccoli gesti, ti entrano dentro ma ce ne sono altre che, con il potere di un solo contatto - e vi dirò di più, mi voglio sbilanciare, anche solo visivo- in un attimo si introducono nella tua mente. 

Nel momento stesso in cui proviamo qualcosa, quel "qualcosa" si immagazzina nei nostri ricordi sotto forma di "sensazione" e quella "sensazione" riaffiora ogni qual volta ci imbattiamo in un oggetto che ci riporta mentalmente a quel momento, generando, spesso, la nostalgia.

Più sono le sensazioni e  le emozioni che una persona ci fa provare, maggiori sono le possibilità di imbatterci negli oggetti che possono ricordarcele e più quella persona ci è "entrata dentro".

Il bacio in questione aveva generato una sensazione di cui difficilmente entrambi avrebbero potuto sbarazzarsi. 

Ma ciò che si prova nei sogni ci entra dentro con la stessa forza di ciò che abita la dimensione reale?

Corro troppo. Torniamo all'imbarazzo che ha seguito quel bacio.

Dovrebbero separarsi ma nessuno dei due ne ha voglia. Cercano, quindi, mille stupidi argomenti, che sono solo pretesti per guardarsi ancora un po' negli occhi.

"Sarà meglio che vada ad avvisare mio padre" azzarda finalmente lui

"Sei davvero sicuro?" Prende il coraggio di dire Am  "Io davvero non so se ne vale la pena, non ci conosciamo neanche"

Lui sorride "E' vero, non ci conosciamo. Io non conosco te, tu non hai idea di chi io sia. È possibile che tra due giorni tu non mi sopporti, che inizi a pensare che io abbia un modo di camminare poco elegante, oppure che io mastichi in modo rumoroso, o persino che abbia un orecchio più grande dell'altro" - Amelia fa per guardargli le orecchie e lui la ammonisce con gli occhi, come a spiegarle che è solo un modo di dire. Sorridono.

"Oppure è anche possibile che io perda interesse nei tuoi confronti principessina, immagino tu non sia perfetta. Domani potrei trovare insopportabile questa tua passione per i dolci, che adesso mi fa sorridere come uno scemo o potrei smettere di trovare irresistibile quella fossetta che ti si forma tra naso e bocca quando ridi". A questo punto Amelia arrossisce e si porta una mano in prossimità delle labbra, come per coprire, impulsivamente, quella fossetta, nel caso in cui le venisse da ridere. Lui lo nota.

"Ma non ti montare la testa. È per dire che non mi interessa molto quello che succederà. Ho deciso di accompagnare mio padre proprio perché ero stanco, mi annoiavo. A me questa sembra solo un'occasione per vivere qualcosa di diverso. A questo punto spero solo non sia tu la serial killer di cui parlavi prima"

Amelia ride di gusto. "Va bene ascolta, mancano poche ore, parlane con tuo padre e fai come ti senti. Ci vediamo domani" si avvicina e gli stampa un bacio sulle labbra, non sa proprio da dove venga tutto questo coraggio.

Lui, un po' stordito, balbetta "vuoi dire... ci vediamo tra poco" e sorride.

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