Fiamme

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Quando arrivano la stanchezza le infiamma gli occhi e le stringe le gambe.

Una signora piuttosto corpulenta con il naso arricciato e le guance arrossate e visibilmente irritate gesticola in maniera decisamente poco educata, sbraitando contro le hostess come se fossero responsabili dell'atterraggio anticipato. Il pianto di un bambino stride e le entra violentemente nelle orecchie. È a disagio. 

Perché diavolo ne mettono al mondo così tanti?

Si rivolge alla ragazza che le sedeva accanto in aereo. "E adesso?"

Questa, leggermente agitata, la guarda confusa: "Pare che ci sistemeranno in un hotel per la notte e domattina ci piazzeranno sul primo volo per New York. Bello." Amelia non sa che rispondere, sul suo volto si mescolano delusione e imbarazzo e dalle sue labbra esce solo un timido "Ah, bene".  

"Marti che facciamo? Ci prendiamo un panino?" Le raggiunge la compagna di viaggio della ragazza, appoggiandole amichevolmente una mano sul braccio.

Okay... che ci incastro con queste due?

"Vado a chiedere informazioni" sorride Amelia, per togliersi dall'imbarazzo.

Mentre si allontana, si sente un po' persa. Si fa spazio tra la gente, che la infastidisce da morire. C'è confusione, c'è chi siede per terra, chi sopra la propria valigia, chi maleducatamente e senza alcun rispetto per gli altri, si è tolto le scarpe, rendendosi protagonista di uno spettacolo a dir poco imbarazzante. 

Che schifo.

Poi un annuncio cancella il disgusto dall'espressione di Amelia, trasformandolo in perplessità.

La compagnia offre il pernottamento in un hotel poco distante dall'aeroporto e il volo per New York del mattino seguente.

A quel punto una ragazza bionda, molto giovane, dice di chiamarsi Hellen e cerca di radunare tutti i passeggeri. E' in difficoltà, probabilmente è stata assunta da poco. La voce delle persone supera di gran lunga quella di Hellen, che parla un inglese impacciato e insicuro. 

Sentiamo che ha da dire questa timidona.

Con la fronte imperlata di sudore, la biondina muove le mani verso di sé, come per far cenno di essere seguita, e a passo svelto si dirige verso l'esterno dell'edificio.

Amelia è troppo stanca per notare i dettagli, si sente più sola che mai, ogni tanto si limita a gettare qualche occhiata a quello sconosciuto dall'aria indifferente che inspiegabilmente attira così tanto la sua attenzione. Non appena i loro sguardi si intrecciano uno dei due si volta repentinamente, come per nascondere all'altro che c'è qualcosa che lo spinge a guardare.

"Per i bagagli" farfuglia Hellen "dovrete aspettare. Verranno spostati sul vostro volo di domani." Poco importa, Amelia ha solo il suo grosso zaino blu. Nessuna valigia in stiva. 

 "La compagnia offre anche un servizio navetta che vi porterà direttamente all'hotel" prosegue la giovane donna.

"Offre anche" ripete un signore, probabilmente il padre del ragazzo misterioso, "come se ci offrissero chissà che. Hanno fatto un bel disastro e ora cercano di rimediare". Amelia annuisce "e mi sembra il minimo".

Qualche volta stare in mezzo alla gente la mette a disagio, si sente sempre un po' sotto esame, come se ogni suo gesto fosse importante, come se la spontaneità non le appartenesse.

La convinzione di dover sempre piacere a tutti le preme in fondo alla gola.

Lascia passare avanti la maggior parte dei passeggeri. 

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