Perdersi

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L'orologio del telefono segna le 16, in Italia sono le 22. Il sonno arretrato disegna sotto gli occhi di Am due lune scure.

Cristo, devo darmi una sistemata.

Può succedere qualsiasi cosa, lei deve sempre essere perfetta, mentre l'insicurezza dona note amare ai suoi occhi allegri.

Amelia è una melodia incantevole, tra i capelli le si intrecciano suoni delicati, leggeri, ambrati ma, come la musica di una vecchia chitarra scordata, ogni tanto emette vibrazioni stonate, ma fastidiosamente intriganti.

Filippo ancora non è rientrato, non ha la minima idea del fatto che, nonostante il jet-leg, nonostante la stanchezza, nonostante tutto, lei non riesce a dormire di giorno.

"Vado a Central Park. Se hai bisogno di chiamarmi questo è il mio numero" Am scarabocchia le cifre su un blocco di fogli bianchi, posato sul tavolo di fronte al letto disfatto.

Che ansia - esce di corsa. Indossa dei jeans larghi a vita alta, dentro ai quali ha infilato accuratamente un golf bianco; le scarpe da ginnastica riprendono il colore del maglioncino e non è certo un caso.

Cazzo. La porta sbatte alle sue spalle, mentre rovista nelle tasche del piumino leggero.

Sono una deficiente, ho lasciato la chiave dentro. Ha con sé soltanto il telefono e qualche banconota.

Pazienza, busserò al mio rientro.

Mentre chiama l'ascensore si concentra sul battito del suo cuore, le sembra di sentirlo. È un tuono che rimbomba a intervalli regolari nella sua testa. Le preme sulle tempie imperlandole la fronte di sudore.

Si sta strofinando via una lacrima dal viso quando nota che un facchino la sta fissando.

Perché mi sta guardando? Aspetta ma...

Anche il volto di quel ragazzo le è familiare.

Mi sembra di impazzire!

Il suono dell'ascensore interrompe quell'insensato scambio di sguardi, mentre sul volto di lei si dipinge un'espressione confusa, disorientata, persa, che continua a farle compagnia anche quando esce in strada e un caos di colori e di luci le annebbia leggermente la vista.

Times Square è esattamente come aveva sempre immaginato, ma più grande. La avvolge, ubriacandola di colori.

Ok concentriamoci.

Sospira dando uno sguardo alla cartina portata via dalla reception una manciata di secondi prima.

Cristo, senza Google Maps è davvero dura. Maledetto senso dell'orientamento di un pulcino drogato!

Per una ragazza distratta come lei, è davvero difficile mettere un piede di fronte all'altro con sicurezza, senza perdersi.

Sono malata - una fitta le attraversa il petto impetuosa.

In aereo c'era il mio medico - un groppo alla gola le affanna il respiro prepotentemente.

Non devo piangere. Cristo santo- le lacrime ormai le appannano gli occhi.

Ma chi diavolo era quel facchino? Dove l'ho già visto? Non torna niente.

I pensieri la fanno sbandare, barcollare. Le gira la testa e le viene voglia di vomitare mentre New York la inghiotte, come un enorme buco nero.

Sfinita, decide di chiamare un taxi.

Eccolo lì, finalmente ci siamo, rabbrividisce. Hotel The Mark. È Maestoso. Quattro bandiere incorniciano l'entrata dorata.

Che classe. Da quando abbiamo tutti questi soldi?

Appena entrata, le grosse e simmetriche linee bianche e nere del pavimento compongono un quadro che la ipnotizza, dandole la sensazione di precipitare nel vuoto.

Se la mia testa non smette di girare si staccherà.

Lo stile è moderno, elegante, solenne.

"Posso fare qualcosa per lei?" Un uomo coi capelli cenere le sorride da dietro un bancone lucido nero. Dietro di lui stona una parete di un arancione orrendo.

Cazzo, quanto parla veloce.

"Sto cercando i signori Martini" dice incerta, e aggiunge "sono la figlia" porgendogli un documento.

Lui la scruta perplesso, giudicandola con lo sguardo per la pessima pronuncia e inizia a sbattere le grossa dita sul computer.

"Nessun Martini alloggia qui signorina"

Cosa? Non è possibile. Il numero proveniva da questo hotel.

"Può provare con... Soldini? È il cognome di mia madre."

L'uomo fa un sospiro.

"Niente, nessun Soldini. Mi dispiace."

Cazzo. E ora?

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