Mosaico

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3 messaggi e una chiamata persa.

D'un tratto, mentre condivide distrattamente la propria posizione con lui, premendo con un gesto automatico il pollice sullo schermo, si ricorda delle iniziali sul foglietto. F.L.

Perché F.L.? Lui ha detto di chiamarsi Filippo De Biasi... e per quale ragione non mi ha risposto quando gliel'ho chiesto? Devo capirci qualcosa.

Digita velocemente un messaggio "raggiungimi".

Mentre si infila in un bar qualunque, per aspettare Filippo, con la testa pesante e la schiena indolenzita, insensato, un flash le aggroviglia un nodo in gola.


Una luce bianca fredda illumina una sala d'ospedale. Il silenzio, di ghiaccio, è rotto soltanto dal suono metallico di un macchinario. Segna il battito del suo cuore, regolare.

È così familiare...

Ho vissuto davvero questa situazione?

Il suono continua, incessante. Bip. Bip. Bip. Le entra prepotentemente nella testa: bip, bip, bip.

Basta, è insopportabile. Bip, bip, bip.

Sul comodino bianco c'è un orologio strano, dorato, sembra un orologio da taschino, ticchetta a ritmo del rumore in sottofondo. Bip, bip, bip.

Si ricorda perfettamente la sensazione di non vederci molto bene.

Sbatte le palpebre, una, due, più volte mentre il suono metallico continua a vibrarle nelle orecchie, fastidioso. Bip, bip, bip. Finalmente mette a fuoco un ragazzo in piedi, proprio di fronte a lei.

Oh cazzo.

È il facchino dell'hotel.


"Signorina sta bene?" La voce del barista interrompe bruscamente il flusso di pensieri della ragazza.

"M-mi sento... okay, sto bene. Potrei avere un calice di chardonnay?"

"È sicura di stare bene? Ha una faccia..."

"Ehm sì, sono solo stanca, un po' di vino aiuterà" sorride lei

"Arriva"

Ho già visto quel facchino in un ospedale? Ma cosa cazzo?

Aspetta e quell'orologio? È identico all'orologio che è caduto alla signora nell'hotel a Parigi.

Dio, non capisco più niente.

Ogni ricordo è una tessera di un mosaico ancora acerbo, che le disegna sulla faccia un'espressione confusa e persa, mentre si stropiccia nervosamente gli occhi con le mani arrotolate in due goffi pugni.

Sono un disastro.

"Mi scusi? La toilette?" Chiede al barista, quasi sbuffando.

Nauseabondo, l'odore le infrange le narici violentandole. Ha gli urti di vomito.

Oh Cristo - sospira guardandosi allo specchio. Il suo riflesso è un fedele ritratto del peso che si porta dentro e lei non può permetterlo.

È un loop inevitabile, non appena qualcosa le attorciglia lo stomaco o le si impiglia al cuore, lei sente il bisogno di strofinarlo via insieme al trucco sbavato, per poi ricoprirlo accuratamente, appannandolo di fondotinta e falsità.

In fondo un po' le piace indossare una maschera, far finta di sorridere mentre nessuno si accorge che è solo una finzione. Però, mentre il petto le brucia al punto da soffocarla, spesso si chiede se esista al mondo qualcuno che ha ancora voglia di guardare oltre.

Che immagine banale...

La ragazza che esce dal bagno è più leggera, almeno all'apparenza. Un velo di rossetto rosso ingrandisce le sue labbra morbide mentre un ciuffo di capelli scivola fuori dall'elastico nero con cui li ha raccolti in uno chignon.

Cammina a passo svelto e deciso fino al bancone, sospirando fuori un soffio di ansia e, mentre accavalla le gambe lunghe su uno sgabello nero, afferra il bicchiere e butta giù un corposo sorso di vino.

"Dannazione ragazzina, ci vai giù pesante!" sghignazza il barista, mentre i baffi scuri gli solleticano le labbra.

C'è qualcosa di inspiegabilmente attraente in un paio di baffi curati.

Amelia si limita a sorridere.

"Hey, ma si può sapere che fine avevi fatto? Sei un'alcolizzata o qualcosa del genere?" 

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