Capitolo 34

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Zaira
Undici giorni alla mia partenza, non ho preparato nulla, forse non mi sono ancora abituata all'idea di andare via, di stare nella maestosa New York per qualche tempo.

Una cosa che mi ha sempre attirato è l'aria natalizia che si respira a dicembre, tutte quelle luci e l'albero gigante a Rockefeller Center, vivrò un Natale diverso ma ancorato alle tradizioni con la mia migliore amica.

Mi concedo un altro po' di ozio sul letto mentre passo distrattamente da un canale all'altro.

La domenica è la giornata della lentezza, dei passi strascicati sul pavimento, del caffè preso con la testa china su una rivista, almeno lo speravo.

«Buongiorno» Nilù e la sua voce squillante mi raggiungono rompendo la calma e il silenzio della mia camera da letto.

«Buongiorno» biascico tirandomi a sedere.

«C'è Adil, è arrivato pochi minuti fa» mi informa con un ghigno malizioso, confida ancora in una relazione tra me e lui.

«Non ho voglia di uscire oggi» brontolo seccata, schivare ogni paparazzo non è nei miei piani della giornata.

«Lo so» risponde comprensiva, la vedo fare un cenno con la mano e Adil si fa avanti entrando, ringrazio sempre i miei pigiami di pile che mi tengono calda e coperta rendendomi più o meno presentabile anche appena sveglia.

«Buongiorno» mi saluta quest'ultimo raggiungendomi, si siede sul letto e mi bacia una guancia.

«Io esco!» urla Nilù dall'altra stanza, sapevo che lo avrebbe fatto, ci lascia sempre da soli e in circostanze imbarazzanti.

Sento la porta chiudersi e in un attimo mi ritrovo a stringere le coperte tra le dita.

«Vogliamo vedere un film?» propone ed io annuisco in modo impercettibile, sarà meno imbarazzante se abbiamo qualcosa di cui parlare.

Adil è rimasto tutto il giorno, tutto sommato è stata una gradevole compagnia, mi ha preparato la cena e ha lavato pure i piatti senza che io gli avessi chiesto niente, è stato gentile da parte sua.

«È tardi» guardo l'ora irrequieta, Nilù dovrebbe essere già a casa.

«C'è qualcosa che non va» confido la mia preoccupazione ad Adil, seduto accanto a me.

«Stamattina mi ha accennato che aveva delle commissioni da fare per il viaggio» spiega lui ma nemmeno questo riesce a tranquillizzarmi, è una sensazione strana quella che sento crescere ogni secondo di più nel mio petto.

Il telefono suona, mi aspetto di vedere il suo viso sorridente sullo schermo e lei che, urlando infastidita, mi avvisa di essere rimasta imbottigliata nel traffico.

Il suo viso sorridente c'è ma la voce non è la sua.

«Salve, la sto chiamando dal dipartimento di polizia di Istanbul, abbiamo trovato il suo contatto tramite i numeri preferiti della signorina Nouhaila Yilmaz» la voce di un uomo, il gelo che mi scava le ossa.

«Mi dica» la mia voce trema.

«Ha avuto un grave incidente, è stata trasportata al Medicana International Istanbul» parole schiette e decise, un uomo abituato a dare notizie del genere ma che non ha la minima facoltà in umanità.

«Come sta?» chiedo, l'unica cosa che desidero sapere.

«È grave» il telefono mi cade, le mie dita sembrano diventate gelatina.

«Andiamo in ospedale!» esclama Adil, mi solleva dal divano come se fossi una bambola.

È grave. Continuo a risentire la risposta dell'agente come un eco.

Adil mi infila il cappotto come si fa ad una bambina e mi trasporta nella sua auto, il silenzio è assordante, sento la voce della mia migliore amica, la voce di mia sorella urlare nella mia testa ed io che non posso fare niente.

Can
Passo in rassegna i canali annoiato, l'essere attore mi impedisce di gustarmi le pellicole che girano sul web, il mio occhio professionale troppo critico.

Lascio distrattamente la tv accesa e riempio un bicchiere d'acqua quando un fatto di cronaca mi riempie le orecchie, non mostrano il viso del ferito ma riconosco la macchina rosa shock di Nilù, è stata proprio Zaira a regalargliela per quanto ne so, e le immagini di questa sono agghiaccianti.

«La vittima è stata proiettata fuori dal parabrezza per diversi metri, non si hanno ancora notizie delle condizioni in cui imperversa ma pare che siano gravi» il mio primo pensiero è Zaira, indosso una tuta qualsiasi ed esco di casa raggiungendo l'ospedale citato dal giornalista nel minor tempo possibile.

Chiedo informazioni ad alcune infermiere, non si premurano di nascondere alcuni risolini dati dalla mia presenza e dalla mia fama che mi precede, e dopo aver scattato qualche foto e aver ricevuto le loro indicazioni corro al reparto di rianimazione.

Zaira è seduta su una di quelle sedie di ferro, non parla, non piange, non fa niente.

«Ho sentito al telegiornale la notizia» spiego la mia presenza ad Adil che mi guarda interrogativo.

«Grazie» dice Adil con un mezzo sorriso.

«Non era necessaria la tua presenza» sputa Zaira con rabbia, solleva il suo sguardo su di me.

«Non ti sopportava, e di certo non inizierà da morta a farlo» ringhia alzandosi, mi fronteggia.

«Zaira va tutto bene» cerca di dire Adil poggiandogli le mani sulle spalle.

«Non è vero» mormora stringendo i pugni.

«Sono venuto per te» ammetto senza riserve, la verità è questa.

«Cosa ne è stato del patto con il capo?» domanda aspra. «Adesso puoi girarmi intorno senza che tirino il guinzaglio?» il suo tono è pungente, mi sta provocando.

«Non sono un cane» le ricordo. «Nessuno mi tiene al guinzaglio» aggiungo severo.

«Non è il momento né il luogo adatto per discuterne» interviene Adil cercando di calmare gli animi corrosi dalla rabbia.

Zaira guarda Adil, poi guarda me e infine torna a sedersi, vorrei abbracciarla, dirle che va tutto bene ma mi rendo conto che lei non è più la ragazza che conoscevo, è una donna diversa, piena di risentimento e frustrazione.

Passiamo l'intera notte ad attendere notizie, Zaira ancora seduta, Adil al suo fianco ed io di fronte seduto a terra con le spalle contro il muro e la testa tra le ginocchia.

Sento la bile scorrermi dentro, bruciarmi ogni organo con il veleno che sta passando attraverso i miei sensi, ci siamo amati, lei mi ha amato e adesso non riesce nemmeno ad incrociare il mio sguardo, o peggio, temo che non voglia farlo.

Un medico esce finalmente dal reparto, mi alzo ripulendomi i pantaloni dalla polvere del pavimento e rimango in attesa dietro Zaira.

«Non ce l'ha fatta» questa è la sua sentenza.

Vedo Zaira indietreggiare, sbatte contro il mio petto senza volerlo ed io ne approfitto, stringo le mani sulle sue braccia e la attacco a me, non ha la forza di reagire e questo mi permette di osare ancora di più.

Le bacio la testa mentre i singhiozzi la soffocano e le fanno quasi perdere l'equilibrio.

«Sono sola» mormora bagnandomi la giacca di lacrime tristi.

«Non dirlo mai» rispondo chiudendo gli occhi dolorosamente.

Scordarmi Chi EroDove le storie prendono vita. Scoprilo ora