Capitolo 36

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Can
Non è il momento giusto per parlare di noi, del nostro rapporto, ciononostante, quello che è successo non può essere minimizzato da questo silenzio.

«Ti preparo un tè?» chiedo osservandola, lei nega con un cenno della testa ticchettando le dita sul bancone dell'isola della cucina meccanicamente.

«Hai fame?» ritento e ancora una volta la sua risposta è negativa.

Mi arrendo sul divano, riavviandomi i capelli ancora umidi dal bagno, non ha più proferito parola da quando siamo usciti dalla vasca, come se avesse perso la capacità di interloquire improvvisamente.

Mi alzo e mi siedo nello sgabello accanto, le poggio una mano sulla schiena facendo su e giù, non voglio forzarla, non oggi, non adesso che sta così male, ma voglio starle accanto e ricordarle di noi, ricordarle il motivo che l'ha portata ad amarmi per tanti anni nell'ombra.

«Voglio organizzare il suo funerale» mormora d'un tratto. «Deve essere una festa, lei odiava le persone tristi, voglio che ci siano colori, palloncini, peluche e perfino lo zucchero filato» la sua voce trema mentre spiega la sua idea.

«Sono sicura che le piacerà molto» sorrido cercando di rassicurarla, lei annuisce e mi stringe una mano giocando con le mie dita.

«Parla, so che vuoi farlo» fissa i suoi occhi velati di lacrime nei miei incintandomi a parlare.

«Pensavo di avere tante cose dirti ma...» mi blocco per un momento riflettendo sulle parole da usare. «Quello che è successo in bagno è sufficiente per farti capire che cosa siamo, per farti capire cosa c'è tra di noi» aggiungo.

Lei sorride, un sorriso quasi impercettibile, sta per dire qualcosa quando il campanello inizia a suonare.

Mi alzo e apro la porta pensando di trovarmi Adil davanti ma mi sbagliavo di grosso.

«Che ci fai qua?» chiedo infervorato.

«Ti ho cercato dappertutto, sono venuto a casa e non c'eri, sono corso sul set e Omar mi ha detto che non sapeva dove tu fossi» Ceyden allarga le braccia arrabbiato, che diritto ha di arrabbiarsi in questo momento?

«Alla fine mi sono lasciato trasportare da un tuo gruppo di fan che ha postato delle foto di te in ospedale su un social e ho capito» conclude, non chiede il permesso di entrare, semplicemente entra.

«Cosa diamine vuoi?» esplodo nervoso.

«Mancava poco meno di una settimana alla fine delle riprese, non potevate attendere questa vostra romantica riconciliazione?» cammina avanti e indietro con le mani sui capelli.

«Ma ti rendi conto di ciò che dici?» sibilo a denti stretti. «Ti rendi conto che una persona non c'è più, una persona che per lei era importante» indico Zaira che guarda un punto fisso davanti a sé come se non percepisse affatto la nostra presenza.

«Questo non ti giustifica a stare qua» ribadisce il suo punto di vista ed io sono davvero al limite della sopportazione, tutto ciò è ridicolo, avrei dovuto capirlo prima e invece mi sono lasciato ammanettare dai fili invisibili delle loro volontà omettendo perfino i miei stessi sentimenti.

«Vattene!» ringhio, i pugni serrati, gli occhi ridotti a due fessure di fuoco.

«Me ne vado se tu vieni con me» insiste.

«Vattene ora» è l'ultimo avvertimento, dopo non risponderò più delle mie azioni.

«Restare non ti porterà a niente, ci sono già una marea di paparazzi qua sotto, Zaira è nel mirino di una tragedia e facendo così ci finirai anche tu» cerca di convincermi ma ciò che ottiene è la mia furia, le mie mani si posano sulla sua giacca, lo spingo facendolo sbattere contro la porta d'ingresso ancora aperta.

«Sono stato al tuo dannato gioco per mesi, ho messo in pausa la mia vita ma ora basta, hai superato ogni limite, perfino umano» sbraito senza riuscire a contenermi. «Sei diventato una macchina mangiasoldi dimenticando cosa vuol dire essere una persona con sentimenti, esci da questa porta e considerati disoccupato Ceyden, non voglio più averti tra le palle» concludo il mio discorso spingendolo via e chiudendomi la porta alle spalle.

Non è giusto il modo in cui mi si è rivolto ma, soprattutto, non è giusto l'essere stato così dannatamente meschino nei confronti di Zaira.

«Dovevi andare Can, non ne valeva la pena» il suo tono di voce è basso, pacato.

«Davvero lo pensi?» chiedo esausto, sono così stanco.

«Davvero pensi che per noi non ne valga la pena?» fisso lo sguardo sul suo vuoto, mi sembra di avere davanti un automa.

«Non so più per cosa valga la pena, il giorno prima fai progetti e il giorno dopo diventi sabbia» fa spallucce, poi chiude gli occhi.

«Proprio per questo, Zaira, dobbiamo goderci ogni giorno che ci viene donato. Lei è andata via, non c'è più e non possiamo fare nulla per rimediare a questo ma possiamo apprendere tanto da questo episodio» le afferro una mano e me la porto alla bocca baciandone il dorso.

«Abbiamo perso tanto tempo, Zay, siamo stati due stupidi, io per primo» ammetto i miei sbagli con una mano sul cuore per accentuare il mio senso di colpa.

«Ma possiamo smetterla di fingere adesso, i soldi sono soldi, la fama è solo fama, tutto ciò è effimero e se ci pensi lo siamo anche noi e, prima di che io diventi solo un ammasso di ossa, voglio vivere, voglio viverti» la faccio alzare con un movimento delle braccia e le prendo il viso tra le mani.

«Hai fatto un discorso da oscar» commenta nascondendo il viso sotto al mio braccio.

«Quindi ho vinto?» chiedo con un mezzo sorriso, lei alza il viso e mi guarda, poi si alza sulle punte e mi concede un piccolo bacio all'angolo delle labbra.

«Ti amo Zay» la prendo in braccio facendola sedere sul bancone della cucina e mi metto in mezzo alle sue gambe, le sposto i capelli dalla faccia e la guardo, la guardo soltanto come non ho potuto fare in questi mesi.

Recitare al suo fianco è stata la cosa più difficile che io abbia mai fatto, perché ogni bacio, ogni carezza, ogni sguardo io li desideravo davvero, erano fuoco ed io ero la paglia che bruciava inerme.

Scordarmi Chi EroDove le storie prendono vita. Scoprilo ora