Capitolo 32

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Zaira
Credevo di non poter fingere davanti a Can.

Credevo di non riuscire a controllare i miei battiti quando le scene ci hanno costretti vicini, molto vicini.

Credevo che alla fine avrei mollato e ci ho seriamente pensato qualche volta, volevo mettere fine a questa messa in scena che era diventata la mia vita, ormai le telecamere non si limitavano al set.

I giornalisti, i fotografi, ogni giorno una battaglia per riuscire a tornare nella a casa o per fare le cose basilari come la spesa.

Mi sono resa conto presto che c'è ben più di un lavoro nel fare l'attrice. Il conto in banca si gonfiava ogni mese di più ma la mia libertà era nulla. Avevo dovuto assumere un agente che si occupasse delle svariate mail e richieste, la fama era arrivata d'improvviso, ed ero stata furba nello scegliere la mia migliore amica per questo incarico, Nilù ormai gestiva la mia vita.

Avevamo preso in affitto un bel loft all'ultimo piano di un imponente palazzo di vetro, la luce filtrava per tutte le senza e non c'era odore di muffa come nella vecchia casa eppure io non ero soddisfatta.

I flirt che affibiavano a Can di continuo stavano scavando un tunnel sempre più profondo dentro di me, non mi era concesso di sapere cosa ci fosse di vero in quelle dichiarazioni e non ci davano il tempo di confrontarci quando lavoravamo fianco a fianco, non che io avessi cercato il confronto in realtà.

Quel giorno avevo capito che non c'era niente che potessi fare per rendere le cose migliori, per la nostra storia s'intende, eravamo due pedine e Omar aveva fatto scacco matto giocando sporco.

Mi telefonava spesso nel primo periodo ma io non rispondevo mai, avevo bisogno di lasciarmi alle spalle tutti gli anni passati a soffrire per lui.

Adil mi confortava, era un buon amico ma sapevo che sperava in qualcosa di più che non potevo concedergli per questo quando Nilù mi aveva accennato di una proposta all'estero, che mi avrebbe tenuta lontana da Istanbul per un anno, avevo accettato con voracità.

Quella città, quei volti, quella gente mi stava soffocando ed io ne avevo abbastanza.

Non sentivo più un legame con quella terra, non c'era più niente che mi trattenesse in quel luogo, nemmeno Can.

Avvisai la compagnia per la quale avrei lavorato, mancava solo un mese alla fine del contratto con Omar, dopodiché sarei stata libera e disponibile per il loro progetto.

Nilù sarebbe venuta con me, Nilù e nessun'altro.

Mi guardo allo specchio, il rossetto rosso scintilla sulle mie labbra, i capelli in perfetto ordine sulle mie spalle e un tubino nero ed elegante ad ammorbidire le mie forme.

Qualche mese avrei odiato questa immagine di me, e forse la odio ancora, eppure è questa la facciata della me donna, è questo il risultato di chi ha sofferto e ha capito che deve tirarsi su da sola.

Non c'è uomo che possa scalfire il mio sorriso, i miei denti bianchi che mostro ogni giorno con orgoglio davanti alle macchine fotografiche, sto bene, mi dico, sto bene.

La macchina si ferma davanti a me, tutti quei soldi hanno dato i suoi frutti, non vado più in giro a mendicare un passaggio, no, adesso ho un autista che pende dalle mie labbra e mi accompagna ovunque io desideri.

«Buongiorno Ismail, andiamo sul set» lo saluto con gentilezza, mi sono concessa dei privilegi, ciononostante credo che ogni essere umano debba essere trattato con la giusta importanza.

Ismail mi sorride e avvia il motore dell'auto senza indugiare oltre.

La mia mente vortica nei pensieri, sto per rivedere Can, come ogni mattina, il mio cuore ha un sussulto ma trattengo il respiro impendendogli di battere più del dovuto a causa sua.

I sentimenti, quelli reali, non passano; semplicemente si impara a fingere che sia così.

Ismail parcheggia davanti all'entrata, gli regalo il solito cioccolatino al caffè che adora e scendo augurandogli una buona giornata mentre le mie scarpe nere dal tacco 12 toccano l'asfalto.

Sollevo il mento con orgoglio ed entro salutando tutti prima di rifugiarmi nel mio camerino, le truccatrici sono sempre lì ad arrendermi per trasformarmi nel personaggio che interpreto: una giovane musicista innamorata del cattivo ragazzo.

«Siamo pronti» Omar urla al megafono facendosi sentire ed io esco dal mio camerino immediatamente, sentirlo urlare non è mai piacevole.

Can è seduto accanto ad uno degli operatori e sta riguardando una delle scene degli ultimi giorni finché non si accorge della mia presenza, si alza e semplicemente raggiunge la scena.

Due sconosciuti.

Omar ci intima di iniziare, io mi avvicino a passo felpato, ho imparato a memoria il copione.

Prendo la mano di Can e lo faccio voltare verso di me.

«Non andare via» recito con convinzione.

Sarò io a scappare stavolta.

«Non posso restare, Pinar, finirò per distruggerti» risponde.

Mi hai già distrutto.

«Resta» è Pinar a supplicarlo, io mi limito a darle voce.

Il cattivo ragazzo mi guarda, sorride e mi prende il viso tra le mani, i baci di scena sono ancora difficili per me ma ho imparato a nascondere bene i miei limiti, soprattutto avendo davanti il re della finzione.

Le sue labbra si posano sulle mie, calde, umide, familiari.

Il sapore del cioccolato si deposita sulla mia bocca amara di caffè rendendola dolce, quanto gli piace la cioccolata.

«Stop» la voce di Omar è una saetta.

Con un gesto brusco ci allontaniamo, senza guardarci, senza dire niente.

Due sconosciuti.

«Perfetta» si complimenta con un sorriso, ho pensato spesso che la causa di tutto fosse Omar ma lui è stato solo l'accendino che ha accesso la bomba che noi stessi avevamo piazzato.

La giornata continua così, una scena dopo l'altra, qualche risata coi colleghi e il ghiaccio tra me e Can che si scioglie solo quando indossiamo i panni di Pinar e Nehir.

Quando torno a casa trovo Adil ad aspettarmi davanti alla porta con una busta di cibo giapponese in una mano e una bottiglia di vino nell'altra, decisamente un buon amico.

Ultimamente credo di aver dimenticato spesso di cenare, credo di aver dimenticato pure di esistere in qualche momento.

Scendo dai tacchi e tiro un sospiro di sollievo quando i miei piedi nudi toccano il pavimento, sono belli e ormai ho imparato a conviverci per esigenza ma credo ancora, e fermamente, che siano uno strumento di tortura.

«Manca sempre meno alla tua partenza» mi ricorda Adil addentando un uramaki.

«Ventidue giorni» preciso asciugandomi la bocca con un tovagliolo.

«Stai tenendo il conto?» chiede ma non sembra sorpreso.

«Ho bisogno di cambiare aria» ammetto.

«Non posso biasimarti» risponde comprensivo.

Can
Per lei non esisto, non più.

Mi guarda e non mi vede davvero, è come se fossi solo una proiezione che può attraversare senza scrupolo.

La guardo salire sull'auto nera e sparire oltre il vetro scuro ogni sera e l'istinto mi dice di seguirla ma poi, mi accorgo di Ceyden alle mie spalle e sono costretto a fare dietrofront e tornare a casa, da solo.

Ho provato a mettermi in contatto con lei diverse volte telefonicamente ma non ho ottenuto nulla di più della voce metallica della sua segreteria.

Ci credevo, credevo in noi, potevamo superare senza problemi questa situazione e invece ci siamo lasciati andare come sabbia tra le dita.

Scordarmi Chi EroDove le storie prendono vita. Scoprilo ora