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Luci.
Nebbia.
Mani che mi tirano fuori dalla macchina.

Sono lì, stesa sull'asfalto. La testa che pulsa, la vista sfocata.
Quella che credo sia la figura di uomo mi viene incontro, il passo lento, come se si stesse godendo questa scena macabra.
Quando si piega sulle ginocchia ed inclina il capo di lato per guardarmi, li vedo.
Due occhi neri come la pece. Li riconoscerei ovunque.

Voglio urlare, ma non ci riesco. Non riesco a muovere un solo muscolo.

Poi la vedo, la lama.

Ma lui non c'era, perché è qui? Non è andata così, è tutto sbagliato.

Lo vedo allontanarsi per poi avvicinarsi di nuovo e, a quel punto, sento le gambe bruciarmi. Capisco così che la tortura è ricominciata.

Capisco così che è uno dei soliti sogni.

D'improvviso vedo tutta la scena da lontano.

Ci sono io, distesa a terra mentre lui, la persona più orribile al mondo, continua a tagliarmi sulle gambe, per poi passare alle braccia. 

Urlo a me stessa di svegliarmi, che è un sogno, e di aprire quei cazzo di occhi ma... è tutto inutile. Nessuno mi sente. Nessuno fa niente.
Vedo la macchina ribaltata, i miei fratelli trasportati via dall'ambulanza, medici e poliziotti che corrono ovunque, ma nessuno sembra vedere ciò che mi sta facendo quel mostro.

Poi lo sento. Quel bruciore orribile al petto.

Di colpo mi sveglio, dando una testata alla mensola troppo bassa che si trova sul mio letto.
In questa casa è tutto così sbagliato.
Mi metto a sedere e mi guardo intorno. 

Questa camera mi mancherà. Non è grandissima ma mi basta.
Il letto leggermente piccolo per me in legno scuro, le mensole che partono troppo in basso e si estendono fino al soffitto, piene di tutti i libri che mia nonna mi ha sempre letto durante i pomeriggi passati sulle coperte in giardino, la finestra di fronte al letto che dà proprio su quest'ultimo e la cassettiera che non è mai riuscita a contenere tutti i miei vestiti, sormontata da tutte le foto di quand'ero piccola.
Foto che ho rigorosamente girato verso il basso non riuscendo a guardare il viso puro che avevo.

Faccio sempre lo stesso sogno, ma stavolta è stato diverso, sbagliato.
Cerco di scacciare quell'immagine e concentrarmi su quella giornata.

È il momento di tornare al college.
Mi alzo dal letto, tolgo il pigiama, mettendolo nello zaino che ho lasciato in camera, e metto i vestiti che ho scelto per partire: una felpa grigia con la scritta Seattle, dei jeans chiari e le mie amatissime converse verdi. 

Raccolgo anche le ultime cose che ho lasciato fuori, metto lo zaino in spalla ed esco dalla porta. Mi fermo un attimo indecisa su se guardare un'ultima volta quella camera ma... scuoto la testa e decido di scendere al piano di sotto a fare colazione.

Ho passato i momenti peggiori lì dentro, cercando di affrontare tutte le mie paure e i miei incubi. Come l'anno scorso, devo partire ed è meglio lasciare tutte quelle cose alle mie spalle, ed iniziare il nuovo anno provando a dimenticare, anche se so già che non ci riuscirò.

Devo iniziare il mio secondo anno all'università di Yale; ebbene si avete capito proprio bene.
Ora penserete che sono un'altra di tutte quelle figlie di papà che devono andare per forza in un'università privata o potrebbero morire di infarto, ma no. 

Io e i miei due fratelli abbiamo ricevuto delle borse di studio. Un parente lontano che le finanziava le concesse a noi.
Non ho mai capito chi fosse, nonostante la nonna abbia provato a spiegarmelo più volte.
Dal canto nostro, noi tre ci siamo sempre impegnati nello studio, coscienti che in un futuro sia l'unico modo per fare qualcosa.

DIFFICULT: help me dreamDove le storie prendono vita. Scoprilo ora