CAPITOLO 14

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Avete mai provato la sensazione di inadeguatezza? È così che mi sento adesso, come se non appartenessi a questo mondo, come se la camera da letto in cui mi trovo non fosse mia, ma estranea. Mi guardo attorno come un bambino appena nato che cerca di capire dove si trova. Osservo i vestiti appoggiati sul letto, la lampada accesa sul comodino, il telefono che tengo in mano, i tacchi appena tolti, lanciati per la stanza, il bicchiere appoggiato sul davanzale e le lenzuola disfatte; è tutto veramente mio, o queste stoffe che ho addosso e che mi coprono la notte, quei cristalli che mi danno la possibilità di bere diversi alcolici, quella luce artificiale che mi permette di lavorare anche quando è buio, sono nelle mie mani solo grazie a Noah? La discussione avuta con Amirah continua a perseguitarmi, le sue parole mi turbano. Decidendo di averne avuto abbastanza, prendo un asciugamano andando a farmi la doccia, cercando in qualche modo di rilassare i muscoli tesi.

***

Seduta sul divano ad aspettare Amirah, osservo lo gocce di acqua appoggiarsi con un tonfo sulle finestre, per poi scendere con delicatezza, fino ad unirsi tutte assieme e formare un rivolo trasparente. Il campanello che suona mi fa spostare l'attenzione dal liquido appena caduto per terra. Mi alzo dal divano, andando ad aprire la porta, trovandomi davanti una donna completamente diversa da quella che sarebbe la mia socia. "Prego, entra. Vado a prendere il cappotto e poi possiamo uscire". La ospito dentro casa, facendola sedere sul divano dove mi trovavo poco fa. La guardo camminare da dietro, beandomi del suo corpo formoso fasciato da dei pantaloni grigi, un top nero che lascia in mostra il suo addome delineato da un accenno di addominali e le sue spalle coperte da una giacca del medesimo colore dei pantaloni. Salgo le scale, sentendo solo l'eco dei tacchi che sbattono sul marmo e il mio respiro regolare. Arrivo in camera mia, prendo il cappotto lasciato sopra le coperte e afferro anche il telefono, che si illumina qualche secondo dopo. Un messaggio da parte dell'investigatore, mi fa fermare.
Il singnor Barton si trova sempre allo stesso bar. Credo sia con la solita donna.
Non ho il tempo di rispondere che il telefono viene sfilato via da Amirah "Signorina..." le sue mani si appoggiano sui miei fianchi non facendomi finire e stringendo <Non iniziare> sussurra all'orecchio prima di morderlo. Mi sposta i capelli, lasciando una scia di baci sul collo. "Dobbiamo andare a cena" alle mie parole, mugola una risposta, per poi continuare con le sue che carezze. "Amirah" Si ferma, sfregando il naso sulla mia spalla scoperta e lasciandovi un morso. <Abbiamo tempo> Mi volto verso di lei, facendo scontrare i nostri seni e i nostri respiri. Sento il cuore sbattere incontrollato contro la mia gabbia toracica. Allaccio le braccia dietro al suo collo, baciandola avidamente. Le nostre lingue si scontrano, entrambe cerchiamo incessantemente di prendere il controllo, fino a quando decido di arrendermi sotto la sua prepotenza. Il suo muscolo caldo invade la mia bocca, giocando con la mia lingua che rimane inerme, per poi staccarsi, lasciando il gusto delle sue labbra sulle mie. Le tolgo la giacca dalle spalle, conficcando le unghie sulla sua pelle ormai scoperta, lasciandovi il segno. <Mi eccita vederti così, con le labbra gonfie, le guance rosse, il corpo accaldato e quegli occhi scuri che mi guardano famelici> mentre parla, mi sfiora con le dita le braccia, salendo fino alle spalle, e spostando gli spallini del vestito. Prima quello destro, lasciando un bacio sulla clavicola e poi quello sinistro. Si sofferma a guardare la cicatrice, ma fortunatamente non fa domande, limitandosi solo a sfiorarlo e poi baciarlo cautamente. La guardo, aspettando la sua prossima mossa, che non tarda ad arrivare. Fa passare l'indice sul mio petto parzialmente scoperto, scendendo sempre più giù fino al mio addome, per poi risalire. Lascia la mano poco sotto il mio seno sinistro, contemplando il da farsi. Le sue insicurezze vanno sfumando appena sussurro il suo nome vogliosa, in maniera quasi supplichevole. Sfiora con il pollice, da sopra il vestito, il capezzolo turgido, facendomi rabbrividire. La mia pelle si riempie di piccoli puntini, segni di ciò che la sua mano ha suscitato in me. Vi appoggia l'intero palmo, stringendo, portandomi a gemere dal piacere. La sua mano sinistra fa la stessa cosa con l'altro seno, causando un fremito in tutto il mio corpo. Mi bacia un'altra volta, infilando una mano tra i miei capelli e lasciando l'altra in mezzo ai miei seni a stringe il vestito che ancora mi copre. Ci stacchiamo affannate e noto subito l'incertezza nei suoi occhi "Che c'è?" Deglutisce prima di azzardare una risposta <Non sono mai stata con una donna> Alla sua riposta sincera sorrido, afferrando la mano che si trova tra di noi, abbassandola, portando giù insieme ad essa il vestito che stringeva ancora tra le sue dita, scoprendo il seno. "Puoi toccarmi Amirah... Ti sto dando il permesso" Tremante mi afferra per i fianchi, iniziando a baciare la mia clavicola sporgente, il mio petto nudo, per poi inchinare il capo e prendere in bocca un mio capezzolo, succhiando bramosamente passandoci poi la lingua, concludendo con un morso. Gemo in preda all'eccitazione, tirandole i capelli con forza. Il campanello che suona ci fa fermare. Sbuffo infastidita, prima di spingere via Amirah, che mi osserva con le guance arrossate "Devo andare a rispondere..." Cerco di alzarmi il vestito incamminandomi verso la porta della camere, quando vengo afferrata per il gomito <Ferma, dove credi di andare conciata così?> Mi fermo bruscamente, incenerendola con lo sguardo "Faccio quello che mi pare Amirah, non dirmi come posso o non posso vestirmi" rispondo aggressivamente. La vedo strabuzzare gli occhi e scuotere la testa in sento di negazione <N-no, non intendevo questo. Puoi fare quello che vuoi, s-olo che non voglio che qualcuno ti veda rispondere alla porta con le labbra gonfie, le guance arrossate e lo sguardo... ecco> Inclino il capo con un sorrisetto, capendo di cosa sta parlando "Lo sguardo? Cosa c'è che non va con il mio sguardo?" Si copre il volto con le mani, non rispondendo "Intendi dire che non vuoi che guardi qualcuno con gli occhi pieni di eccitazione? Non vuoi che guardi altre persone con lo sguardo di una che vuole essere scopata?" Si incammina verso di me con i pugni stretti e la mandibola contratta <Si Miray, è proprio questo quello che non voglio> Mi allontano da lei, sistemando il vestito, dedicandole un occhiolino "Sei fortunata Aceveds, in questo momento voglio solo te" Scendo le scale in fretta, passando una mano tra i capelli, cercando di rendermi presentabili, rispondendo alla porta. Mi ritrovo davanti il signor Barton, che mi scruta attentamente. "Cosa ci fa lei qui?" Non risponde, guardando attorno per qualche minuto <Non me ricordavo così la casa di Noah> Sbuffo già stufa di questa conversazione "Si è forse dimenticato che lui non vive in questa casa da anni?" indifferente, continua a spostare gli occhi per ogni angolo della casa, fissando gli occhi su qualcosa, o meglio, qualcuno <Signorina Aceveds, è un piacere vederla. Pensavo di trovare solo la signora Tanner, chiedo scusa per il disturbo> fa un mezzo inchino, non togliendo gli occhi da Amirah, scendendo i pochi gradini che portano alla mia porta senza dire altro, entrando in auto per poi sfrecciare via. <Tieni. Il tuo cappotto e il tuo telefono> afferro entrambi gli oggetti che mi vengono porti, chiedendole di aspettarmi in macchina. Appena chiude la porta alle sue spalle, faccio una telefonata "Lo hai perso un'altra volta?" chiedo indignata. L'uomo dall'altra parte balbetta qualcosa di incomprensibile, facendomi innervosire ancora di più "Si è presentato sotto casa mia, come se niente fosse!" <Le chiedo scusa signora, trenta minuti dopo averle mandato il messaggio è uscito correndo, sembrava agitato. Della donna invece nessuna traccia> digrigno i denti, stringendo il telefono "Mi stai dicendo che non riesci a stare dietro a due persone! Che cazzo di diploma hai preso?! Sei un incompetente" lo senti muovere dei fogli agitato, cercando qualcosa <Sono riuscito a mettere una chip nella macchina del signor Barton. Nei prossimi giorni avrò qualcosa. Ogni sua conversazione verrà registrata> sbuffo, sfregandomi il naso, sentendo le speranze sparire piano piano "Lo spero per te. Appena hai qualcosa fammi sapere" Spengo la chiamata, uscendo di casa, raggiungendo Amirah "Possiamo andare"
***
Sta piovendo, come spesso accade a New York. Siamo ferme al semaforo, aspettando che da rosso passi a verde. Con un gomito adagiato alla portiera, vedo l'acqua scorrere per le strade e raggiungere I tombini ai lati, per poi lasciarsi andare nel vuoto oscuro, molto probabilmente per raggiungere il pavimento sottostante con un rumore sordo. Anche se non visibile ai miei occhi, l'acqua molto sicuramente si ferma momentaneamente nel punto di impatto, per poi riprendere il suo percorso in direzioni diverse. Amirah alla guida tiene lo sguardo puntato sulla macchina di fronte a noi, tamburellando le dita sul volante. <Siamo quasi arrivate> Ripartiamo poco dopo la sua affermazione, in rigoroso silenzio. Dopo una ventina di minuti, l'auto rallenta per poi fermarsi davanti ad un ristorante in centro. I grattacieli si innalzano tutto attorno, diverse auto sfrecciano accanto a noi, ancora sedute a guardarci <Usciamo?> annuisco sorridendo leggermente, aprendo la portiera. Amirah lascia cadere le chiavi nella tasca del suo cappotto, aprendo la porta del ristorante e facendomi entrare per prima. Veniamo fatte accomodare in un tavolo in disparte, una di fronte all'altra.
- Salve signorine, vi posso portare qualcosa da bere? - Il cameriere che si avvicina al nostro tavolo, spezza il silenzio che si era venuto a creare tra di noi <Portateci una bottiglia di vino rosso...il più caro> Aspetto che il ragazzo che ci sta servendo se ne vada, per parlare "Da dove dovremmo iniziare?" ci sarebbero tante cose da raccontare, tanti segreti da svelare, forse troppi. <Dall'inizio direi> Sorrido, leggermente intenerita dalla sua brama di verità. <Non mi dirai tutto quello che voglio sapere, vero?> Bevo un sorso dal mio bicchiere annuendo "Almeno non subito. Ti ricordo che non siamo niente più che semplici socie in affari" <Socie in affari che quasi fanno sesso insieme? Direi che siamo molto intime allora> Mi strofino le labbra con un dito, non potendo negare ciò che ha appena detto "Hai ragione" mi guarda con sguardo soddisfatto, alzando impertinente un sopracciglio <Quindi puoi raccontarmi qualcosa?> "Potrei, però vorrei prima darti la possibilità di poter mangiare senza doverti sentir male, è il minimo che possa fare> Ci vengono consegnati i piatti ordinati con il vino e iniziamo a mangiare con calma, accompagnate dalla leggera musica del ristorante "5 Febbraio 2015..." Alza gli occhi dal piatto e dopo aver deglutito l'ultimo boccone, appoggia la forchetta sul tavolo, dandomi tutta la sua attenzione <Aspetta, mi hai detto un'altra data, ma non mi hai raccontato cosa volesse dire> Sussurro un flebile sì, pulendomi il lati della bocca "OK, iniziamo da lì. Il 13 Dicembre 2014, il giorno che è morto Noah. Non starò qui a dire che mi ricordo tutto come se fosse ieri, l'unica sensazione che mi ricordo di aver provato, fu paura. Quando mi chiamarono al telefono per dirmi che era successo qualcosa, ma che non si sapeva ancora niente, sentì una sensazione di vuoto puro. Ero a casa che aspettavo, non capivo come fosse stato possibile, aspettai ore e ore, sperando in qualcosa, in qualche notizia, ma niente. Venne dato per scomparso e poi la questione venne chiusa lì, semplice" <Dove era andando quel giorno?> "A quanto pare un viaggio d'affari... oppure un viaggio d'amore, quello è più probabile. Comunque devo dire di non aver provato chissà che dolore, ero solo spaesata. Non lo amavo più da un po' di tempo ormai" Mi osserva con sguardo indecifrabile, indifferente, per poi accigliarsi <Non capisco, hai condiviso molti anni insieme a lui, come fai a dire una cosa del genere? Non hai assolutamente rimorso per quello che hai appena detto?> "SÌ, è vero, sono stata con lui molto a lungo, ma questo non cambia come mi sono sentita quel giorno, e anzi, se vuoi sapere di più, in quelle ore provai un sentimento simile alla libertà una volta nella mia vita, dopo tanto tempo, quindi no, non mi pento di quello che sto dicendo" I suoi occhi si muovo da una parte all'altra studiando il mio volto in cerca di qualcosa, forse pensa che stia mentendo, oppure spera che dentro di me, ci sia qualche sentimento di dolore o addirittura speranza, speranza che Noah possa essere ancora vivo e tornare da me. <Adesso capisco perché molti ti stanno alla larga...e capisco anche perché qualcuno possa pensare che tu abbia qualcosa a che fare con la sua morte> Sbuffo arrogantemente prima di risponderle "Già, sono in molti a pensare che sia stato io ad ucciderlo e ci sono davvero molte teorie riguardo a questo. Alcuni dicono che l'abbia ucciso per prendermi la sua azienda, altri perché ero accecata dalla gelosia e non potevo accettare che lui avesse amanti, altri ancora invece presuppongono che l'abbia fatto fuori perché mi maltrattava, perciò vedi tu" La sua risata rimbomba nel ristorante, tanto che alcune persone si girano a guardarci <SÌ, lui ti maltrattava, ok, questa è proprio bella. Venivi sempre trattata con rispetto da lui, ad ogni festa ti teneva la mano e non ti lasciava andare, ti seguiva con lo sguardo quando ti allontanavi a prendere qualcosa da bere e non appena qualche uomo si avvicinava a te per importunati lui correva in tuo aiuto, quindi mi dispiace ma posso credere che lui a abusasse di te> non appena finisce di asciugarsi qualche lacrima che le era scesa dal ridere, le rivolgo la parola "Come fai a sapere tutte queste cose?" <Ero presente in alcune feste. Anche se la mia azienda era piccola e lo è tuttora, questo non vuol dire che io non abbia degli agganci. Sono riuscita a farmi invitare ad alcune di quelle> Annuisco lasciando momentaneamente perdere l'argomento ponendole un'altra domanda "Come mai non credi a quella ipotesi?" <È tu come mai non l'hai mai smentita? Vuoi mostrarti davanti ai giornalisti e al mondo intero come la vedova maltrattata che nonostante tutto è riuscita a rialzarsi?> controbatte senza muovere un muscolo "Mhm, quindi non credi mai alla vittima? Dai il beneficio del dubbio a chiunque?" <Fortunatamente o sfortunatamente sì, aspetto prima di giudicare qualcuno> Sorrido sardonica alle sue parole "Davvero? Perché a me sembra che tu in questo momento mi stia giudicando, dicendo che sto approfittando della situazione per risultare agli occhi degli altri come quella innocente" Si blocca momentaneamente, giocherellando con il tovaglioli appoggiato sul tavolo <Hai ragione... sono stata incoerente> pronuncia quelle parole con fatica. Sospiro alzandomi dalla sedia, facendole cenno di seguirmi "Non credere mai solo a quello che vedi, può essere un inganno, ricordatelo. Adesso andiamo, è meglio se ognuna torna a casa sua, domani abbiamo molto lavoro da fare. Stavolta guido io" Usciamo fuori e mi faccio dare le chiavi dell'auto. In religioso silenzio entriamo nel veicolo e rimaniamo così finché non decido di rivolgerle la parola "5 Febbraio 2015" <Come scusa?> tenendo lo sguardo fisso sulla strada le rispondo "Era il 5 febbraio, quasi due mesi dopo la morte di Noah, quando l'azienda divenne mia. La prima cosa che decisi di fare fu rendere Melissa la mia segretaria personale. Non lo sai, ma lei prima era una delle domestiche a casa Strandford, l'unica che mi rivolgeva la parola come se fossi sua amica. Decisi di averla accanto a me proprio il giorno che mi venne comunicato che tutti gli averi di Noah sarebbero passati a me. Non avevo nessuno tranne che lei" Dopo quella frase, entrambe decidiamo di rimanere in silenzio. Troppe cose erano state rivelate.
Durante il tragitto verso casa, passato per la maggior parte del tempo senza parlare, intravedo una figura famigliare camminare sul lato della strada. La guardo per qualche secondo, volendomi assicurare che sia proprio lei. Non appena ho la conferma dei miei dubbi, freno bruscamente, facendo scivolare le gomme sull'asfalto bagnato. Scendo dall'auto senza proferire parola, correndo sotto la pioggia incessante. Taglio la strada, non facendo caso alle macchine che suonano il clacson al mio passaggio. Guardo la bambina con ancora addosso il cappotto che le ho dato la prima volta che l'ho vista, muoversi per il marciapiede guardando dentro ai diversi negozi a cui passa accanto. Le lunghe maniche gocciolano per terra, i suoi occhi azzurri coperti dai capelli bagnati e schiacciati sulla sua fronte, si guardano attorno in cerca di qualcosa. Mi avvicino di fretta prendendola per le spalle e girandola verso di me "Cosa ci fai qui fuori? Sei completamente bagnata" mi osserva sorpresa per poi abbassare lo sguardo sulle sue scarpe, torturandosi le mani
- Non ho un posto dove andare - mi blocco, guardandola addolorata "Vieni con me" La proposta esce dalle mie labbra senza che io possa pensarci. Guardarla lì, che cammina avanti e indietro in cerca di un riparo, mi fa ricordare me stessa da piccola, sola e indifesa. Aspetto che mi dica qualcosa, ma prima che possa rispondere veniamo raggiunte da un'Amirah affannato <Perché hai frenato in quel modo e sei corsa via?> appena si accorge della bambina, smette di parlare bruscamente. Non facendo caso alla ragazza accanto a me, mi rivolgo un'altra volta alla bambina
"Vieni con me" le ripeto quasi implorandola. - Non vorrei disturbarla... - Cerco di sorridere in maniera rassicurante, negando con il capo "No, non disturbi" allungo la mano verso di lei aspettando che la afferri. La sua fredda e piccola mano si appoggia tremolante ed esitante sulla mia. Gliela stringo cercando di darle un senso di sicurezza, indicandole il veicolo fermo dall'altra parte della strada. Cammino con Amirah alla mia destra e la piccola alla mia sinistra che tiene lo sguardo per terra. Giunte all'auto la prendo in braccio, facendola sedere sui sedili posteriori e allacciandole la cintura "Adesso andiamo. Hai mangiato qualcosa?" alla mia domanda sussurra un flebile no. Chiudo in fretta la portiera salendo a mia volta in macchina "Forza Amirah, andiamo"
Mi fermo davanti al cancello di casa, chiamando Jeffrey "Apri, sono fuori e chiedi ad Arisa di preparare qualcosa da mangiare, fai in modo che sia abbondante" spengo la chiamata e dopo qualche secondo il cancello si apre, permettendoci di entrare in giardino. Lo sguardo stupito della bambina mi intenerisce, tanto che non posso fare a meno di non sorridere. "Ti piacciono?" Spengo il motore nello stesso momento in cui mi giunge una risposta, girando le chiavi, togliendole dal cruscotto e facendo un cenno con la mano a Jeffrey, che si trova in piedi sul portico, di avvicinarsi. "Vai dentro con quel signore piccola, domattina ti farò fare un giro così potrai vedere cosa c'è qui fuori" Annuisce ed esitante si avvicina a lui, guardando prima verso di me e poi verso Amirah "Va tutto bene, noi ti raggiungiamo subito" La sprono con una leggera spinta sulla schiena di andare avanti, per poi girarmi verso la ragazza dagli occhi verdi, non appena i due varcano la porta di casa. <Credo sia meglio che io vada> Esitante e insicura della sua reazione, decido comunque di farmi avanti e di chiederle di rimanere "Potresti passare la notte qui, con me, ci sono molte stanze per gli ospiti..." <N-non credo sia opportuno> Il telefono che squilla e le nuvole nere che si aggirano sopra di noi, pronte a rilasciare tutta l'acqua che tengono in grembo, mi fanno tirare indietro. La saluto con un cenno veloce, lasciandola sola in mezzo al giardino. Appena entrata in casa, decido di controllare dove sia finita la bambina, ed è solo grazie alla sua risata e a quella di Jeffrey che capisco dove si trovino. Giungo in cucina trovando Jeffrey seduto su una delle sedie che guarda la bambina con un sorriso ma anche con uno sguardo apprensivo. Il suono dei miei passi attira la sua attenzione, infatti appena si accorge della mia presenza si alza in piedi - Rebeka era molto affamata, quindi l'ho fatta mangiare subito senza farla aspettare - "Rebeka?" chiedo confusa <È il mio nome, che ovviamente non sai perché non me lo hai mai chiesto" Uno sbuffo simile ad una risata scappa dalle mie labbra per la maniera sfacciata in cui ha risposto "Hai ragione, non ho pensato a chiedertelo. La prossima volta starò più attenta, promesso, però intanto finisci di mangiare che poi vai a dormire, Jeffrey ti mostrerà la tua stanza. Buonanotte"
Salgo le scale che mi separano dal piano superiore e dalla mia camera con calma, ripensando a quello che è successo pochi minuti fa con Amirah, pentendomi subito di essermi esposta così tanto con lei e di averle data così tanta fiducia, tanto da raccontarle una parte della mia vita. Sbuffo infastidita dal mio stesso comportamento, buttando il telefono sul letto e togliendomi con rabbia i vestiti di dosso e lanciandoli distrattamente in un angolo della stanza buia. Proprio nel momento in cui scosto le coperte per poter finalmente dormire e lasciarmi la giornata alle spalle, un bussare alla porta rovina i miei piani. "Chiunque tu sia è meglio se non entri in questo istante, a meno che tu non voglia vedermi in intimo, ma visto che gli unici in questa casa a vivere con me sono Jeffrey, Arisa e per il momento Rebeka, vi conviene rimanere lì" Come se non avessi appena detto niente, la porta viene aperta e poi richiusa all'istante. Un brivido si propaga per tutto il mio corpo, il respiro accelera e i palmi iniziano a sudare. Rimanendo sempre con le spalle rivolte verso la persona appena entrata, scatto verso il comodino posizionato accanto al mio letto, tirando fuori una pistola. Mi giro cautamente, decidendo di non fare più movimenti azzardati, ma a trovarmi davanti non sono gli occhi di qualcuno che vuole uccidermi, anzi, trovo il volto leggermente spaventato di Amirah, che mi guarda da dietro la canna della pistola. Rimango ferma, incerta sul da farsi, ancora confusa da tutta la situazione che si è creata. "Adesso crederai ancora di più che sono un assassina" <Se continui a puntarmi l'arma, potrei anche pensare che tu mi voglia uccidere> Nonostante le sue parole e il velato sarcasmo utilizzato, tengo il braccio teso verso di lei, non mollando la presa dall'oggetto che ho in mano. "Cosa ci fai qui?" Muove qualche passo verso la mia direzione, avvicinandosi sempre di più ogni secondo che passa <Inizialmente quando mi hai chiesto di rimanere qui, ho subito pensato fosse una pessima idea accettare, poi quando sei letteralmente scappata, come se il giardino stesse andando a fuoco sotto ai tuoi piedi, ho provato un leggero fastidio> Abbasso il braccio guardandola accigliata non capendo dove voglia arrivare "Tu ti sei infastidita dalla mia domanda?" avvicinandosi sempre di più risponde <SÌ, perché nel profondo speravo in una proposta più azzardata da parte tua, da parte della donna che non si fa intimidire da nessuno> L'arma mi viene sfilata dalle mani con delicatezza <E soprattutto, mi dà fastidio che tu ti ostini a cercare di allontanarmi> Con un braccio mi cinge il fianco scoperto, avvicinandomi a lei, e questa volta sono io quella che si trova un'arma puntata contro <Non è bello, vero?> domanda retoricamente. La canna della pistola preme momentaneamente sulla mia gola, impedendomi quasi di deglutire, per poi scendere verso il centro del mio petto e sempre più in basso. L'unica cosa che posso fare è osservarla mentre si diverte ad avermi davanti a sé, immobile e senza controllo. Con un movimento repentino rimuove il caricatore, appoggiandolo ai piedi del letto, senza mai staccare gli occhi dai miei. "Che cosa stai facendo?" chiedo, e come risposta ricevo un sorriso pieno di sé <Quello che tu non sei riuscita a fare...azzardo> Continuando a muoversi, arriva poco sopra l'intimo, e al contatto tra la mia pelle calda e il metallo freddo, sibilo sommessamente. Si muove, arrivando a spostare lateralmente il tessuto, sfiorando il clitoride. Non posso fare a meno di mordermi il labbro inferiore, in attesa che faccia altro.
Lascia andare l'arma per terra, slacciandomi il reggiseno e facendomi stendere sul letto alle mie spalle. Ci siamo baciate poche volte da quando ci conosciamo, ma in questo momento, nonostante la parte razionale che mi urla di fermarmi, non posso fare a meno di avere le sue labbra appoggiate sulle mie. Siamo uscite poche volte insieme, la maggior parte delle quali organizzate per motivi di lavoro, ma il desiderio che provo nei suoi confronti, anche se so che è sbagliato, persiste.
La tiro verso di me, infilando una mano sotto al suo vestito toccandole la coscia fredda e scoperta, avvicinando la sua bocca alla mia. La assaporo lentamente, cercando di godermi il momento fino all'ultimo, sapendo già che domani tutto questo sarà finito. Sospiro sotto al suo tocco delicato, onesto e anche insicuro, molto diverso da quello di Noah e di altri uomini. Stesa sul letto ricoperto da lenzuola nere, sfilo lentamente il vestito che ricopre il suo fisico. Unendo i nostri corpi accaldati, la bacio un'ultima volta, capovolgendo la situazione. Con le ginocchia che sprofondando sotto al mio peso, e il corpo sdraiato di Amirah sotto di me, la osservo ammagliata, tuttavia vengo interrotta subito dalla sua voce. <Toccami> il suo sussurro arriva alle mie orecchie come una dolce supplica. Con il cuore che batte impazzito dentro di me, la accontento, toccandole i fianchi, salendo senza mai staccare i miei occhi da suoi, fino al gancio del suo reggiseno "Va bene così?" Ricordandomi di quando mi disse di non essere mai stata con una ragazza, mi assicuro che non si senta a disagio. Alla mia domanda, annuisce chiudendo gli occhi <SÌ> Appena le slaccio il reggiseno, mi avvicino al suo petto, mordendole un capezzolo. Un verso strozzato fuoriesce dalla sua bocca schiusa. Mi soffermo a guardare le sue guance rosse e calde, le labbra gonfie e sicuramente pulsanti come le mie, il seno bagnato dovuto ai miei baci, le mani lungo i fianchi che le tremano e gli occhi, quei dannati occhi che non riesco a non guardare nonostante ci provi con tutta me stessa. Distogliendo lo sguardo dal suo volto, scendo con il capo, afferrando entrambe le sue mani e stringendo, volendo che si senta al sicuro. Mi muovo piano, cercando di non sopraffarla con i miei movimenti e la mia bramosia, scendendo sempre più giù, lasciando una scia di baci al mio passaggio. Le tolgo l'ultimo pezzo di tessuto che la ricopre, posizionandomi tra le sue gambe divaricate, ma senza avvicinarmi più del dovuto al suo sesso scoperto. Rimango ferma, volendo ricevere una conferma da parte di Amirah per poter continuare, una conferma che non tarda ad arrivare <Miray, per favore, toccarmi> La sua voce affannata mi costringere ad alzare gli occhi per guardarla. Una vena, dovuto allo sforzo per tentare di trattenere qualsiasi suono dal fuoriuscire dalla sua bocca, si intravede sul collo esposto, mentre il petto si alza e si abbassa velocemente a ritmo del suo respiro appesantito. Questa volta sono io a sfiorarle il clitoride gonfio dall'eccitazione, con le labbra bagnate, per poi avvolgerlo completamente. Una delle due mani che erano appoggiate sul letto, si sposta, afferrando i miei capelli e tenendomi ferma. <N-non ti fer-!> la frase le si blocca in gola nello stesso momento in cui avvicino le dita al suo sesso, entrandovi. "Non sforzarti a parlare inutilmente, piuttosto baciami" Nello stesso momento in cui unisco le nostre labbra in un bacio famelico, appoggio la mano che si trova tra le sue gambe, sulla mia coscia, aiutandomi con i movimenti del bacino per andare più affondo. Aumento la velocità dei movimenti, capendo che da un momento all'altro si lascerà andare al piacere che sta provando "Non trattenerti Amirah..." Un espressione quasi di dolore e pentimento si dipinge sul suo volto, che però svanisce non appena raggiunge l'apice. <Smettila...> Cautamente allontano le mie mani dal suo corpo fermo immobile sul letto. Confusa da quello che sta accadendo, la osservo mentre con le palpebre chiuse, si gira su un fianco, senza rivolgermi la parola, rannicchiandosi in posizione fatale, con le braccia che avvolgono il suo corpo, come se volesse proteggersi. Sconcertata dalle sue azioni, rimango ferma, seduta il più lontano possibile da lei. Ormai in preda al disgusto verso me stessa, mi alzo in fretta, allontanandomi dalla figura distrutta, distesa sul mio letto. I suoi singhiozzi mi seguono fuori dalla porta, fino alla fine del corridoio, per poi cessare non appena mi rinchiudo in una delle stanze degli ospiti. Cercando di fermare i conati di vomito, appoggio il dorso della mano sulle mie labbra, prima di alzarmi e raggiungere il bagno, dove in maniera frenetica lavo le mani, le stesse mani che l'hanno toccata e forse anche violata. "Che cosa ho fatto?" Domando a me stessa guardandomi allo specchio. Strofino gli occhi, cercando di rimuovere dalla mia memoria il suo corpo rannicchiato e i suoi singhiozzi. Mi stendo sul letto, facendo scivolare la coperta sulle mie spalle, cercando di dormire, ma invano. Le immagini di ciò che è successo poco fa, continuano a girare nella mia testa, un tormento infinito, una condanna spregevole.

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