CAPITOLO 33

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La giornata inizia diversamente dalle solite. A svegliarmi non è il quotidiano allarme che indica l'inizio di una nuova mattinata, ma le mani di Arisa che mi accarezzano con gentilezza, svegliandomi da un sonno fatto di incubi ma anche Amirah. Le tende che sono sempre chiuse quando apro gli occhi, ora sono aperte, permettendo ai raggi di sole di filtrare il vetro e le coperte del letto, che mi tengono al riparo dal vento che fischia, passando le fessure.
"Chiudi, inizia a fare freddo" brontolo rigirandomi nel letto, tenendo la sua mano nella mia, usandola come cuscino. Arisa ride, picchiettando con le dita la mia guancia gonfia, cagione l'avere dormito per ore, infastidendomi fino a farmi sbuffare. Scalcio grugnendo, la gola trema mentre produce quel suono gutturale. Le coperte mi vengono tolte con forza, venendo sopraffatta da una folata di freddo causata dal movimento improvviso. Tremo rannicchiandomi su me stessa, cercando di preservare quel poco calore che mi è rimasto addosso.
"La colazione è pronta. Io e Jeffrey ti aspettiamo giù" apro un occhio e la guardo, studiando i suoi movimenti. Piega le coperte che ha in mano, appoggiandole ai piedi del mio letto, per poi uscire dalla stanza. Una volta che è fuori, allungo le gambe e le braccia per tutta la lunghezza del materasso, stiracchiandomi fino a sentire i muscoli allungarsi e le ossa scrocchiare. I pantaloncini che mi coprono le cosce, si innalzano, sfiorando in continuazione il clitoride non protetto dall'intimo, portandomi ad ansimare mentre mi mordo il labbro inferiore, cercando di soffocare i versi che vorrebbero fuoriuscire. L'unico indumento presente sulle mie gambe, sfrega incessantemente ad ogni movimento inconsapevole del bacino, cercando di raggiungere l'orgasmo. La maglietta si alza a sua volta, scoprendomi la pancia ma continuando a stringere il seno privo di reggiseno. I capezzoli turgidi si notano nel bianco dell'indumento, sensibili e alla ricerca di contatto, di mani e labbra che ormai ha imparato a riconoscere, ma che non sono qui, costringendomi a chiudere gli occhi mentre mi tocco, immaginando che ci sia lei al posto mio. I miei movimenti aumentano, fino a quando non inizio a tremare, sentendo una sensazione di sollievo farsi spazio fra le mie gambe. La mano fredda sotto alla maglietta, stringe con forza il seno lasciato alla mercé delle mie dita, che unito al bacino che non smette di dimenarsi, mi fanno orgasmare. Mi appoggio su un lato, stringendo il cuscino in mezzo alle gambe, mentre aspetto che il mio corpo smetti di tremare per l'intensità.
Sospiro, prendendo il telefono lasciato in carica la sera prima sul comodino, controllando se mi dia arrivato qualche messaggio importante, ma stranamente lo schermo è sprovvisto di notifiche. Alzo le spalle disinteressata, appoggiando i piedi sul pavimento, spingendomi con il palmo delle mani dal letto coperto. La prima cosa che faccio una volta in piedi, è rimuovere la maglietta e i pantaloncini umidi, buttandoli nella cesta degli indumenti sporchi, per poi entrare a farmi una doccia veloce.
"Abbiamo ancora tempo" dico mentre scendo le scale di casa, sentendo Jeffrey lamentarsi di come faremo tardi al processo se non ci muoviamo. Mi siedo su una delle sedie in cucina, mangiucchiando qualche biscotto rimasto all'interno del pacchetto aperto, osservando come Arisa cerca di calmare l'uomo che pare per niente intenzionato a sedersi. Si muove da una parte all'altra della stanza, sistemando ogni minimo oggetto in disordine o fuori posto, affermando di non poterne fare a meno, in questo momento di stress e ansia che sta provando. Finisco di mangiare quel poco che riesco, pulendomi le mani piene di briciole, sporcano di conseguenza il legno su cui ho fatto colazione.
"Pulirò dopo" rassicuro, avendo già gli occhi di Arisa e Jeffrey addosso, che mi guardano con rimprovero. Indietreggio sotto ai loro sguardi, risalendo le scale senza inciampare una volta, ritornando in camera e prendendo il telefono e la borsa lasciati poco fa.
"Statemi accanto, mi raccomando" dico ai due mentre saliamo in auto. Jeffrey alma guida, Arisa accanto a lui mentre io sono seduta nei sedili posteriori, che messaggio con Kayden, cercando di calcolare i nostri corrispettivi arrivi in tribunale. Infilo il telefono nella tasca dei miei pantaloni, lasciandomi cullare dalla leggera musica che si è impossessata dell'abitacolo, canticchiando a bassa voce, ripetendo ogni parola del testo. Il traffico dilaga per ogni strada di Manhattan, impedendoci di prendere scorciatoie, visto che ovunque ci giriamo, troviamo auto ferme a causa dell'ingorgo che sembra non voler dissipare.
"Io ve l'ho detto che avremmo fatto tardi" borbotta a bassa voce Jeffrey, picchiettando con nervosismo le dita sul volante.
"Non è un problema...aspetteranno" affermo guardando fuori dal finestrino, scrutando con smerigliata attenzione ogni minimo movimento, dal più grande al più piccolo. Mi accorgo subito di come un bambino si ferma, tirando il papà per la manica, indicandogli un gattino nero sull'angolo della strada, che impaurito trema e cerca di nascondersi. Il piccolo si avvicina, costringendo l'uomo a seguirlo passo per passo, fino a piegarsi sulle ginocchia per essere allo stesso livello dell'animale. Una manina si allunga per accarezzare il manto nero e sporco del felino, venendo fermato da una mano più grande e callosa della sua. Il padre dice qualcosa, muovendo le labbra con frenesia come se lo stesse rimproverando, ma il bambino non si fa prendere dallo sconforto, tentando nuovamente di toccare il gatto, questa volta con successo, ignorando completamente il modo in cui suo padre sbuffa per niente contento. Tuttavia il sorriso che si fa largo sul volto del figlio, lo costringe ad addolcirsi, anche lui allungando la mano per accarezzare il felino poco più su rispetto al bambino, sciogliendosi visibilmente a contatto con il pelo morbido. Le spalle tese gli scendono, il braccio rigido si piega toccando il gatto con più entusiasmo, mentre quest'ultimo si lascia andare alle fusa, alzando il capo in cerca di maggiore contatto.
"Finalmente!" la piccola esultazione mi fa spostare lo sguardo da quella scena, lasciandola alle mie spalle non appena l'auto ricomincia a muoversi, avvicinandosi sempre di più alla nostra famigerata destinazione.
All'arrivo intravedo subito un'altra auto parcheggiare, un'auto che riconosco essere quella de giovane Forbes, che infatti galante come sempre, scende dalla macchina, camminando a passo veloce verso di noi, aprendo la portiera ad Arisa aiutandola ad uscire, per poi fare lo stesso con me, senza però lasciarmi andare la mano. Ci fermiamo di fronte alle possenti scalinate, aspettando che arrivino anche gli altri. Dalle porte dell'edificio esce Diana, piccola ed insignificante a confronto con le enormi colonne che tengono su una parte della costruzioni, che si avvicina a noi con passo lento, mentre stringe le palpebre cercando di non rimanere accecata dal sole che illumina su di noi con prepotenza.
"Abbiamo deciso che quando arriverà il momento, ci sposeremo due volte. Una seguendo la mia tradizione e l'altra seguendo la sua" mi sussurra all'orecchio la polinesiana, con un sorriso raggiante sul volto.
"Dov'è adesso?" chiedo non vedendola accanto a lei, accarezzandole il braccio per congratularmi con la loro decisione.
"Da quello che ho capito quando siamo entrate, ha dovuto seguire un suo collega per parlare con qualcuno... mi è parso dovessero darle dei fogli per un caso che sta seguendo" risponde camminando accanto a me, entrambe dirette verso le porte del grande edificio, non appena ci accorgiamo dell'ora. Mancano dieci minuti all'inizio.
Poco prima che possiamo entrare, Melissa ci raggiunge affannosamente, correndo su per le scale pericolosamente, poiché ha ai piedi dei tacchi, cercando di non perdere l'equilibrio. Kayden preoccupato si allontana con un fulmine da me, andando a soccorrere la sua ragazza, inconsapevolmente mostrando troppo affetto nei suoi confronti, che per gli occhi di persone che non sanno niente di quello che succede dietro alle quinte, è una semplice segretaria. La diretta interessata lo guarda sbalordita, spingendolo via con garbo, sussurrandogli qualcosa a denti stretti. Colui che dovrebbe essere il mio promesso sposo, si ricompone subito, girando le spalle alla sua amata, tornando da me come se non fosse successo niente.
"Scusa" sussurra a bassa voce, riafferrando la mia mano senza degnare la bionda di uno sguardo, mentre anche lei finge che tutta questa situazione non la stia facendo soffrire.
Tutti presenti entriamo in tribunale, venendo accolti dal silenzio più totale e dall'odore di fogli riciclati e legno. La sala principale non ha la tipica forma di una stanza quadrata, ma è ovale, un cerchio per niente perfetto che dà l'idea la stanza sia molto più grande di quanto lo sia. Il pavimento è nero al centro, mentre più ci si allontana verso l'esterno il colore schiarisce, fino a giungere al bianco. Tutto attorno è tendente al marrone scuro, un colore che rende l'intero buio e quasi tenebroso, creando un'atmosfera fatta di suspense e aspettative. Oltre a quello, niente di particolare salta all'occhio, tranne qualche busto in marmo piantato su qualche piedistallo sparso per la stanza, circondato da altre colonne.
"Ben arrivati. Stavo aspettando proprio voi" ad avvicinarsi è l'avvocato Sawyer, che in questo ambiente sembra proprio essere a suo agio. Se noi da fuori veniamo visti come intrusi, per lei è diverso. Appartiene a questo posto, ne fa parte così come io faccio parte della mia azienda. "La controparte è già qui che ci sta aspettando"
La seguiamo verso uno dei corridoi, entrando in una delle tante stanze riservate ai processi. L'aula è abbastanza spaziosa da ospitare cento persone. Joshua è già seduto nella sua postazione, un tavolo che si trova proprio accanto a quello su cui ci dobbiamo sedere io e il mio avvocato. Alle spalle dell'accusato non c'è nessuno se non i suoi genitori e qualche amico. Veniamo fatti accomodare, intanto che il giudice è l'avvocato di Joshua devono ancora farsi vedere.
"Segui quello che faccio io" afferma Sawyer, alzandosi in piedi non appena un uomo sulla cinquantina entra da una porta diversa da quella in cui siamo passati noi. Mi alzo a mia volta senza proferire parola, così come fanno tutti i presenti, producendo uno stridio fastidioso, aspettando paziente che il giudice si sieda sullo scranno. Non appena lo fa, torniamo tutti a sederci, pronti ad affrontare ore fatte solo di accuse e contro accuse.
"Dov'è il suo avvocato signor Barton?" domanda il giudice guardandosi attorno alla ricerca del diretto interessato.
"Dovrebbe essere q-" Joshua viene interrotto dall'entrata del suo rappresentante legale.
"Chiedo scusa per il ritardo, ho avuto in contrattempo" afferma una voce che conosco molto bene. Diana dietro di me prende un respiro profondo, allungandosi verso di me.
"Non so cosa stia succedendo" sibila a denti stretti, osservando la sua ragazza farsi spazio accanto a noi. Mi giro verso Hana, osservando come composta non si degna di guardarmi, limitandosi a riordinare i figli che ha davanti a sé, come se tutta questa situazione non la stesse toccando minimamente.
Il processo inizia lento e senza troppi problemi, diventando man mano sempre più acceso, fino a quando non vengono fatte entrare le prime persone da fuori.
"Vorrei far entrare dei testimoni..." afferma dopo un momento di pausa la rappresentante legale di Joshua, che preferisco immaginare sia qualcun altro invece che la ragazza della donna che ho alle spalle. Il giudice acconsente alla sua richiesta di far entrare persone esterne, scrivendo qualcosa su un foglio, mentre aspetta il loro arrivo. Le porte dietro di noi si aprono, e proprio quando voglio girarmi a vedere chi sia ad entrare, vengo fermata dalla mano del mio avvocato, che mi fa cenno di restare ferma e guardare dritto. Con la coda dell'occhio vedo due figure avvicinarsi, mentre sento Melissa sobbalzare dietro di me.
"Signore e signora Scott, potreste per favore farvi avanti?" chiede la donna accanto a Joshua, mentre io ancora troppo confusa dalla loro presenza, mi limito a guardarli con occhi spenti. I due si siedono con disinvoltura, appoggiando uno ad uno la mano sul libro che gli viene mostrato, recitando le parole che gli vengono dette, promettendo di dire solo la verità durante l'intero processo; chi avrebbe mai detto che sarebbero stati un giorno in grado di riuscire ad esclamare parole e frasi diverse dalle solite che da piccola ero abituata a sentire, tutte inerenti a droghe e soldi.
"Vostra figlia è mai stata aggressiva nei confronti dei suoi coetanei?" è la prima domanda che pone, appoggiandosi con le mani sul tavolo e sporgendosi in avanti; una posa che utilizzo spesso quando voglio intimidire qualcuno e risultare agli occhi degli altri sicura di me.
"Si, molto spesso" risponde mio padre con le mani incrociate sul piccolo tavolo che ha davanti, sembrando quasi professionale dentro ai suoi vestiti di lusso.
"Le è mai sembrato che potesse in qualche modo cercare di manipolare qualcuno?"
"Quando voleva ottenere ciò che più desiderava si, ci provava ance con noi, ma essendo che era piccola, non riusciva mai" risponde questa volta mia madre, guardandomi negli occhi, quasi come per dimostrarmi il fatto di essere arrivata fino a lì senza il mio aiuto. L'avvocato della controparte continua così per qualche minuto, riportando a galla situazioni della mia infanzia che avevo da tempo seppellito, prima di fare un'ultima domanda a detta sua.
"Pensate che vostra figlia possa essere stata capace di uccidere Noah Strandford?" sentendo quelle parole, il respiro mi si mozza in gola, la salivazione aumenta in maniera eccessiva e le mani sudano sul tavolo in legno su cui sono appoggiate.
"Non siamo qui per questo!" afferma subito Sawyer alzandosi in piedi, mentre incredula guardo il sorriso che si fa largo sulle labbra dell'uomo che ho accusato.
"Accolto. Signora Williams , si attenga al processo" ordina il giudice, battendo il martello due volte per richiamare l'attenzione di tutti i presenti. L'avvocato di Joshua si abbottona la giacca, tossendo un paio di volte, prima di congedare i miei genitori, senza però risiedersi.
"Ho anche una terza persona a cui vorrei fare delle domande" le porte si aprono nuovamente, questa volta però non posso fare a meno di girarmi. Ad entrare è Amirah che tiene per mano Rebeka. La corvina spinge in avanti mia sorella, facendo segno con l'indice di andare verso mia madre che l'aspetta, per poi sedersi e guardare in avanti verso la sua migliore amica che non accenna ad un saluto, mentre io seguo con lo sguardo Rebeka che timida si avvia per l'aula.
"Non credo la sua testimonianza possa essere riconosciuta come attendibile"
"Ho il consenso dei genitori" controbattere subito Hana, facendo tacere la mia rappresentante legale, che di fronte al permesso di quelle che dovrebbero essere le mie figure genitoriali, non può fare molto. Intimidita dalla stanza e da tutte le persone presenti, si siede, saltando completamente la parte del giuramento, troppo piccola per capire cosa sta facendo.
"Ciao Rebeka, devo farti delle domande, va bene? Devi rispondere solo si o no. Tua sorella Miray, ha mai urlato quando eravate insieme?" inizia con le sue domande, cercando di essere il più gentile possibile ma fallendo miseramente, sentendo il modo in cui forza la sua voce per risultare dolce.
"Si...qualche volta come fanno tutti" sussurra Rebeka, per niente abituata ad avere così tanti occhi addosso, neanche quando a scuola viene interrogata. La sedia troppo grande le impedisce di appoggiare i piedi per terra, tanto che le sue gambe dondolano nel vuoto avanti e indietro con agitazione.
"Sai contro chi?"
"Amirah... ma solo perché non andavamo d'accordo riguardo a qualcosa" chiarisce subito la piccola, guardandomi preoccupata, mentre stringe con forza le mani sul sui grembo. Piccole dita che si muovono ansiosamente, stringendo con così tanta forza che cambiano colore. Forse accorgendosi della poca convinzione della bambina, decide si spostare l'attenzione da un'altra parte, su una persona in particolare.
"Signorina Aceveds, le dispiacerebbe venire qui al posto di Rebeka Scott?" chiede a mio discapito, non molestando con domande ulteriori mia sorella. Sawyer cerca di obiettare, ma viene zittita dal giudice che permette questa richiesta, nonostante lei non sia una dei testimoni. Amirah si alza con calma, sorridendo a Rebeka che torna a sedersi accanto ai nostri genitori. Dopo il giuramento, l'avvocato inizia a porle tutte le domande di cui necessita, senza lasciarle il tempo di chiarire ulteriormente la sua posizione.
"Il mio cliente dice che lei ha avuto una relazione con la signora Tanner che va oltre quello professionale, è vero?" è la prima cosa che le chiede, mentre si muove avanti e indietro. Lei conosce bene la risposta a quella domanda, infatti la punta con lo sguardo, sfidandola a rispondere negativamente.
"No" risponde breve e concisa, costringendo Hana a stringere la mandibola e le mani fino a far diventare le nocche bianche dalla frustrazione.
"Ne è sicura? Mi è sembrato più volte di vedermi troppo affiatate per essere delle semplici socie in affari"
"Quello che la signora Williams sta affermando non può essere considerato" si intromette subito Sawyer, salvando sia Amirah che me. Non appena il giudice accoglie la nostra affermazione, Hana prosegue con le sue domande, lasciando che la frustrazione prenda il sopravvento.
"Direbbe mai di essersi sentita minacciata dalla signora Tanner?" arriva al dunque.
"Si..." risponde in un sussurro, il suo rispetto verso le regole non le permette di mentire un'altra volta. A tutte le domande che le vengono poste, non mi rivolge mai lo sguardo, tenendolo puntato sulla sua migliore amica che si avvicina a lei quasi minacciosamente, forse cercando di intimidirla ma invano, visto che non si è mai piegata neanche di fronte alla mia insistenza.
"Le ha mai urlato addosso?"
"Quando non facevo il mio lavoro come do-"
"Deve rispondere semplicemente si o no" la interrompe subito, cercando di manipolare l'intero processo, mettendo sia Rebeka che Amirah contro di me.
"Si" risponde nuovamente, stringendo la mandibola con forza, per niente contenta della piega che il processo sta prendendo.
"Ho finito signor giudice" afferma Hana, risiedendosi.
"Non volevo arrivare a questo punto" sussurra la donna accanto a me, alzandosi in piedi ora che tocca a lei porre le domande. Stranamente non è questo quello che fa, consegnando invece al giudice dei cd che non ho mai visto prima d'ora. "Le chiedo gentilmente di guardare insieme a me questi video...se possibile la piccola Rebeka Scott dovrebbe uscire da qui" afferma senza voltarsi verso di noi, tenendo gli occhi puntati sull'uomo. Amirah sollevata si alza da dove è seduta, tornando nella sua postazione precedente; esattamente in fondo all'aula, né dalla mia parte né da quella di Joshua. Completamente neutrale. Mia sorella mentre mi passa accanto per uscire, si ferma abbracciandomi, sussurrando un piccolo scusa per poi essere scortata fuori da uno appartenente al personale.
"Che cosa sono?" chiedo alla donna che ho accanto, la quale scuote semplicemente il capo, facendomi segno di stare in silenzio. Il cd viene messo nel lettore presente in stanza. Passa qualche secondo, in cui tutti noi presenti, restiamo confusi di fronte a questa sua azione. Un susseguirsi di video mi fanno venire il voltastomaco. Rivedere il giovane volto di Noah, seguito dal mio dipinto di ematomi, mi fa quasi rigettare sul tavolo tutto quello che ho mangiato prima di venire qui. Mi trattengo, appoggiando due dita sulle mie labbra, deglutendo quel poco che mi è risalito in gola, non riuscendo a staccare gli occhi dalla tv che ho di fronte.
Noah che spacca una bottiglia, scaraventandomi a terra e tagliandomi dalla clavicola al seno. Nel rivivere quel momento, la cicatrice incomincia a pulsare, mentre la sensazione che provai allora mentre mi infliggeva la ferita, si fa nuovamente viva, facendomi piegare in due dal dolore. Sanguina, questo è quello che sembra mi stia succedendo mentre la tocco da sopra i vestiti.
Mi alzo dalla sedia, non riconoscendo più il giudice che ho di fronte, l'unica cosa che riesco a vedere sono le immagini che continuano a ripetersi sullo schermo che ho davanti, un'infinità di foto e video che sembrano non aver intenzione di finire. Esco dall'aula in fretta, l'unica cosa che riesco a sentire è Sawyer urlare, seguita da un coro di mormorii, che accompagna le mie urla di dolore.
"Chiedo una pausa!" afferma, alzandosi subito dopo di me, seguendomi fuori, non appena il giudice acconsente.
"Avevi detto che non saresti uscita!" urla Sawyer dopo avermi raggiunta nel corridoio, puntandomi un dito contro. Mi piego in avanti con le mani appoggiate sulle ginocchia, tenendomi poco dopo lo stomaco, volendo in qualche modo evitare i conati di vomito. Melissa e Arisa si fanno avanti per dirle qualcosa, ma le blocco subito, alzandomi con il busto e appoggiando le spalle al muro dietro stante, appoggiando il dorso della mano sulle labbra. "Credi di essere l'unica a dover rivivere giorno dopo giorno i tuoi traumi? Ho affrontato moltissimi processi in cui donne e uomini hanno rivisto cosa il loro aggressore gli ha fatto passare per anni, ma nessuno di loro si è azzardato ad andarsene! Nessuno di loro era come te, ricca, con persone accanto che le vogliono bene, ma sei stata tu l'unica ad andartene quando ti avevo detto esplicitamente che non avresti dovuto farlo!" sentendola parlare, mi allontano in fretta, entrando nei bagni pubblici, riversando quel poco che ho nello stomaco nella tazza di porcellana. La gola brucia per lo sforzo, i muscoli della schiena si contraggono per aiutare con i movimenti, mentre le ginocchia tremano, facendo fatica a tenere tutto il peso. A darmi una mano è la signora Sawyer stessa, spostandomi i capelli dalla fronte sudata, sorreggendomi con le sue braccia.
"Non sei nessuno per dirle come affrontare i suoi traumi" sibila a denti stretti Kayden, confrontandosi con l'avvocato che conosce da anni e che ora si limita a stare in silenzio per assicurarsi che stia bene.
"No, ma deve smettere di pensare di essere l'unica a stare male in questo mondo. Deve imparare a focalizzarsi su quello che importa davvero; amicizie e amore...voi" mormora, aiutandomi ad avvicinarmi al lavandino, sciacquandomi in volto con acqua fredda. Lascio che si prenda cura di me, bevendo poco a poco, cercando di rimuovere il gusto orrendo che mi è rimasto in bocca. Stranamente il suo tocco non mi fa ribrezzo, anzi, una sensazione quasi di sicurezza si fa spazio nel piccolo bagno, facendomi sospirare.
"Torniamo dentro" esclamo con voce roca, guardandomi allo specchio. La pelle del collo è rossa, i capelli prima sciolti, sono legati in maniera indecente, con ciocche che escono dall'elastico, la camicia che ho addosso è completamente sgualcita mentre gli occhi sono lucidi, velati di lacrime mai scese. Cerco di sistemarmi, ma l'avvocato mi blocca.
"Usiamo questa situazione a nostro favore...facciamo vedere al giudice quanto questa situazione ti stia colpendo nonostante siano passati anni" afferma, aprendo la porta e facendomi cenno di uscire. Prima che possa rientrare in aula, rimango fuori con Diana, che con occhi persi, si scusa.
"Non lo sapevo..." sussurra afflitta, guardandomi con vergogna.
"Senti, non c'è niente di cui tu ti debba scusare con me. Non ci sei tu lì dentro a difendere Joshua" commento dandole una pacca sulla spalla. La supero tornando dentro, pronta ad affrontare la fine di questo inferno.
Il processo riprende, con Amirah che questa volta di siede dietro a Diana senza proferire parola.
"Il secondo uomo che possiamo intravedere nel video, è il presente signor Barton"
"Come può provare che sia lui?" controbattere Hana, alzandosi a sua volta in piedi. La mia rappresentante legale manda indietro il video, fermandosi sull'immagine in cui si intravedono le gambe ed una sua mano.
"Il segno che ha sul dorso" afferma, indicando con il dito una cicatrice di cui non mi ero mai accorta prima. Il giudice chiede a Joshua di alzare la mano destra, e quando lo fa, la cicatrice salta subito all'occhio. "Ecco la prova di cui avevate bisogno. Con questo video, posso provare due cosa. Uno, che la mia cliente, come si può vedere, non ha mai reagito in maniera negativa oppure aggressiva, neanche quando veniva maltrattata in modo così pesante. Secondo, il signor Barton era presente mentre la signora Tanner veniva maltrattata e non ha fatto comunque niente, questo vuol dire che sin da allora lui voleva liberarsi di lei...due piccioni con una fava. Si liberava della signora Miray Tanner senza sporcarsi le mani, per accusare subito dopo Noah Strandford del suo omicidio, guadagnandosi l'azienda di colui che ritiene tuttora il suo migliore amico. Sfortunatamente per lui, questo non è mai successo" alle accuse della mia rappresentante legale, Hana non muove un muscolo, mentre Joshua continua a farle cenno di parlare e difenderlo.
"Inoltre, le testimonianze del signore e della signora Tanner Scott, non possono essere ritenute attendibili, poiché nel periodo in cui la mia cliente ha vissuto con loro, entrambi erano dipendenti da sostanze stupefacenti che alteravano i loro sensi" conclude. Il giudice annuisce un paio di volte per poi battere il martello e ritirarsi per prendere una decisione. Rilascio un sospiro che non sapevo di star trattenendo, osservando il modo in cui Diana, paonazza in volto, marcia verso la sua ragazza. La spinge per una spalla, ignorando completamente il fatto di non essere qui da sola. Se la prende con lei, accusandola di aver tradito la sua fiducia, arrivando anche al punto di togliersi l'anello di quando si sono fatte le promesse, appoggiandolo sul tavolo dietro di lei. Hana la guarda sbalordita, boccheggiando risposte che non riesce mai a sentenziare, visto che Diana si allontana da lei, tornando da noi con lasso veloce e pesante.
"Cosa stai facendo?" le chiedo fermandola con una mano appoggiata al petto. Digrigna i denti, allontanandomi le mani con forza, sfogando la sua frustrazione in quel movimento fulmineo.
"Non doveva farlo...le ho parlato di quei che ti è successo e ha comunque deciso di difenderlo" afferma con forza, sbuffando. "Poteva almeno dirmelo" sussurra infine, mentre il giudice rientra.
"Valutando quello che ogni parte ha esposto, dichiaro il signore Joshua Barton non colpevole di minacce ed estorsione nei confronti della signora Miray Tanner" afferma sotto lo sguardo soddisfatto dell'uomo alla mia destra.
"Tuttavia, dichiaro il Signore Joshua Barton, colpevole per omissione di soccorso nei confronti della signora Miray Tanner. Per questo motivo, la parte accusata deve rispondere delle sue scelte in carcere. Due mesi di reclusione fino a decisione contraria" emette la sua sentenza, ponendo fine al processo durato più di un paio d'ore.

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