Dopo aver osservato dalla finestra la macchina di Amirah allontanarsi nel buio della notte, mi sono recata verso la mia camera da letto. Con un sospiro mi siedo, dando un'occhiata al braccio. Rimuovo la fasciatura lentamente, cercando di non farmi del male, sostituendola con una nuova. Osservo il sangue che colora la garza appena rimossa, ripensando all'incidente. Come è potuto succedere? Strofino la fronte, sentendo un mal di testa arrivare a forza di pensare a chi potrebbe aver manomesso l'automobile. Fortunatamente un messaggio mi distrae dai miei pensieri. Prendo il telefono, curiosa di sapere chi mi abbia scritto a quest'ora.
Mi dispiace.
Corrugo la fronte perplessa, non capendo il motivo per cui qualcuno dovrebbe mandarmi un messaggio del genere, ma prima che possa pensare a chi potrebbe averlo mandato, il mio momento di confusione viene sostituito da un senso di colpa appena leggo il nome. Rispondo immediatamente, cercando di reprimere questa sensazione inaspettata.
Non c'è niente di cui si debba dispiacere, non ci conosciamo signorina Aceveds. Il nostro rapporto è strettamente professionale ed è così che deve rimanere.
Invio il messaggio sdraiandomi sul letto, guardando il soffitto, pensando questa volta a come liberarmi di Joshua. Mantenerlo come socio è troppo rischioso, potrebbe da un momento all'altro scoprire tutto e non posso permetterlo. Mi mordo il labbro inferiore, continuando a pensare a cosa potrei fare per allontanarlo dalla mia vita, quando arriva un altro messaggio. Riprendo il telefono, leggendolo.
È stato irrispettoso da parte mia parlarti in quel modo.
Sto per rispondere quando vedo una chiamata in arrivo da parte dell'investigatore. Lascio per un momento da parte il messaggio, rispondendo alla telefonata. "Che succede?" mi alzo immediatamente, iniziando a camminare avanti e indietro. <Buona sera signora Tanner. Il signor Joshua è ancora con la donna della scorsa volta. È tutto il giorno che lo inseguo, e fino ad adesso non ha fatto niente di sospetto> annuisco tra me e me, prima di parlare "Riesci a vedere chi è insieme a lui?" sento dei movimenti dall'altra parte del telefono, mentre aspetto pazientemente. <Sono entrati dentro una casa, non riesco a vedere niente da qui signora, devo aspettare che escano> sbuffo infastidita dalla sua risposta, stringendo forte il telefono "Resta lì fino a quando non avrai visto chi è la donna, non mi interessa se dovrai aspettare per tutta la notte" <Sì signora> Spengo il telefono buttandolo sul letto, portando le mani sul viso, strofinando gli occhi; la stanchezza si fa sentire. Scendo giù in cucina, e mi preparo qualcosa di caldo, prima di andare a dormire. Mentre aspetto che l'acqua si bolla, mi siedo su una delle sedie che si trovano attorno al tavolo. Appoggio i gomiti sul tavolo e le mani sotto al mento, riflettendo. "Niente va mai secondo i piani" Passo l'indice sulle labbra, continuando a pensare, non riuscendo a capire certe cose. Esasperata mi alzo dalla sedia, spegnendo il fuoco e versando l'acqua calda sulla tazza, preparandomi una camomilla. La lascio raffreddare per qualche minuto, salendo le scale e andando in camera a prendere il telefono. Lo accendo, ricordandomi di non aver risposto al messaggio di Amirah.
Parliamo domani.
***
Sono nel mio ufficio che guardo fuori dalla vetrata, osservando le macchine che vanno avanti e indietro e le persone che si muovono freneticamente. A catturare la mia attenzione è una donna che corre da una parte all'altra preoccupata, molto sicuramente con le lacrime agli occhi, ma poiché sono troppa lontana, non riesco a notare questo dettaglio. Corrugo la fronte, non capendo cosa le sia successo, ma intuisco che abbia perso qualcosa di molto importante dal modo in cui ferma tutte le persone che le passano accanto, chiedendo aiuto. Si appoggia a loro come se cercasse un minimo di sicurezza e conforto, che però non le viene dato. Dopo qualche minuto che continuo ad osservarla, la donna si accascia a terra con le mani tra i capelli, presa dalla disperazione. Mi avvicinò il più possibile alla vetrata, puntandole gli occhi addosso, notando in lei la stessa sofferenza che provavo io. Un senso di inadeguatezza si fa strada nel mio cuore, facendomi prendere un respiro profondo, nel tentativo di reprimerlo. Non appena noto una bambina correrle incontro, inclino la testa verso destra, capendo subito il motivo della disperazione della donna; non trovava più sua figlia. Guardarle mentre si abbracciano, non posso fare a meno di ricordare l'ultima volta in cui mia madre aveva fatto la stessa cosa con me.
Flashback
"Che cosa vuol dire?" guardo inorridita i miei genitori, che alla mia domanda abbassano lo sguardo. <Lei deve venire con noi signorina. I suoi genitori hanno un debito da saldare> guardo l'uomo che ha appena parlato, vestito in giacca e cravatta, rispondendogli in modo sgarbato "Per quanto i miei genitori non mi vogliano bene, non permetterebbero mai ad uno sconosciuto di portarmi via, quindi può anche uscire" mi giro verso i due in questione, che non alzano neanche per un momento lo sguardo da terra. Guardando il modo in cui si comportano, deglutisco, non più sicura delle mie parole, cercando una conferma da parte loro "Vero mamma? Non mi lascerai andare con lui" venendo interpellata, alza gli occhi verso di me. Durante tutta la mia vita, non ho mai visto nel suo sguardo quella scintilla di amore che tutti i genitori hanno alla vista dei loro figli. Erano sempre neutri, come annoiati di fronte ad una creatura indifesa. Oggi però, sono freddi, nessun emozione è evidente in loro. <Sono stati loro a voler saldare il debito che hanno, dandoti via> Le parole dell'uomo arrivano ovattate alle mie orecchie. L'unica cosa che percepisco dopo quella frase, sono due braccia che si avvolgono attorno al mio collo, stringendomi in maniera fragile, scaldandomi per qualche secondo, prima di avvertire il freddo gelido di Gennaio avvolgermi in una morsa, come se volesse strozzarmi.
Fine flashback
Distolgo l'attenzione dalle due e mi sistemo la camicia appena sento qualcuno bussare alla porta, girandomi momentaneamente verso di essa, prima di rivolgere lo sguardo verso i fogli che si trovano sulla scrivania, non volendo guardare verso la piccola famiglia. <Signora Tanner> mi irrigidisco appena sento la sua voce, decidendo di ignorarla. Sistemo i fogli lasciandoli cadere in un cassetto e richiudendolo. <Miray, smettila> "Che cosa vuole signorina Aceveds?" la sento sospirare dietro alle mie spalle, sentendo successivamente la sua mano appoggiarsi sulla mia schiena. A differenza di quando le altre persone mi toccano, non la allontano in maniera brusca.
Chiudo gli occhi, godendomi per qualche secondo il calore che la sua mano appoggiata a me emana, prendendo un respiro profondo prima di spostarmi. <Voglio solo parlarti e chiederti scusa per quello che ti ho detto ieri> "Di che cosa sta parlando signorina? Non c'è niente di cui dobbiamo parlare" la sua mano afferra il mio polso, tirandomi verso di lei e facendomi di conseguenza girare. La guardo negli occhi, appoggiando la mia mano sulla sua che mi stringe ancora. "Attenta a quello che fa, le consiglio di lasciarmi andare" vacilla per un momento sotto il mio sguardo, ma si riprende subito <No Mir-> la interrompo subito, non avendo intenzione di stare qui ad ascoltare un'altra persona che confessa di volermi aiutare "La deve smettere, non ho bisogno dell'aiuto di nessuno. Il fatto che lei non si fidi di me, non mi fa né caldo né freddo" rimuovo la sua mano, aprendo la porta dell'ufficio, continuando con il discorso "Non deve cercare di farsi perdonare, continuerà a lavorare come mia socia. Manderemo avanti il progetto, senza intoppi, evitando relazioni di qualsiasi genere" Questa volta sono io a vacillare appena vedo il suo sguardo deluso "Può uscire..." mi guarda un'ultima volta, per poi incamminarsi lentamente verso l'uscita, fermandosi accanto a me, aspettando qualche reazione da parte mia, che però non arriva, prima di uscire definitivamente. Chiudo la porta alle sue spalle, andandomi a sedere sul divano nero in pelle, accavallando le gambe. Mi guardo attorno, cercando in qualsiasi modo di distrarmi, non volendo pensare ai suoi occhi verdi che mi guardano come se volessero penetrarmi fin sotto alla pelle. Rilasso le spalle irrigidite, appoggiando il capo sullo schienale, lasciando vagare lo sguardo verso il soffitto bianco. <Signora Tanner> un mezzo sorriso nasce sulle mie labbra, sentendo la sua voce "Dimmi Melissa" il lato del divano su cui non sono seduta, viene occupato dalla mia segretaria, che appoggia la mano sul mio ginocchio, preoccupata <Si sente bene?> alla sua domanda mi giro verso di lei, non sapendo come risponderle "Non lo so. Continuo a pensare a come allontanare dall'azienda quell'essere inutile di Joshua Barton, e come se non bastasse, non ho idea di che cosa voglia da me la signorina Aceveds" mi sorride dolcemente, accarezzandomi la guancia <La deve smettere di pensare così tanto, si lasci andare. Chi lo sa, magari potete instaurare un bellissimo rapporto di amicizia. Non se ne privi signora. Dopo tutto quello che ha passato, si merita di avere accanto delle persone come la signorina> Appoggio il capo sulla sua spalla, sospirando, lasciandomi coccolare dalle sue braccia e dal suo profumo "Non ci riesco Mel, è troppo per me. Riesco ad essere me stessa solo accanto a te e a Diana" posa la sua mano sui miei capelli, rispondendo con voce vellutata <Allora forse dovrebbe uscire con Diana. Qui in azienda le cose sono sotto controllo, si prenda un po' di tempo per sé. Che ne dice?> annuisco, accettando la sua proposta "Chiamo Diana e le chiedo di incontrarci da qualche parte. Grazie Melissa" le do un bacio sulla guancia e mi alzo. Il suo sguardo stupito mi fa sorridere, "Non ti ci abituare" le dico stuzzicandola. Scuote la testa, ridendo, mentre esce dall'ufficio <Questo suo lato così affettuoso me lo sognerò la notte>
Più contenta di prima, sistemo le scartoffie che si trovano in giro per l'ufficio. Dopo aver finito, prendo la borsa che si trovava sulla sedia e appoggio il cappotto sul braccio sinistro, uscendo. Nel tragitto verso l'ascensore, prendo il telefono, chiamando Diana, chiedendole di vederci ad un bar. Scendo e arrivo al parcheggio, dirigendomi verso la mia auto, pronta a partire.
***
Raggiungo il bar prestabilito in meno di mezz'ora. Resto per qualche minuto in macchina, contemplando le nuvole grigie che si trovano sopra di noi e che avvolgono i diversi grattacieli, per poi decidermi ad entrare. Mi siedo in un tavolo all'angolo, notando che Diana non è ancora arrivata. Appena mi siedo, il cameriere mi raggiunge, chiedendomi cosa voglio. Sapendo che Diana sicuramente ci metterà un po' ad arrivare, decido di ordinare subito, e di prendermi un caffè. Mentre aspetto che il giovane cameriere torni, prendo il telefono controllando le ultime mail che mi sono arrivate, volendo trovare un modo per far passare in fretta il tempo. Appena arriva il caffè, prendo in mano la tazza, bevendo dei piccoli sorsi, beandomi della sensazione che mi provoca. Decido di appoggiare il telefono sul tavolo, e di guardarmi attorno. Mentre guardo i diversi quadri appesi attorno a me, intravedo fuori dalla finestra, una donna con i capelli medio lunghi e ricci, camminare di fretta e tagliare la strada senza prestare attenzione alle macchine che passano. Mi sembra di riconoscerla. La guardo più attentamente, sembrandomi Hana. Prima che possa esserne sicura, la mia visuale viene bloccata da un corpo che si posiziona davanti a me. Alzo lo sguardo per capire chi sia, trovando Diana. <Salve signora Tanner> mentre pronuncia la frase, fa un mezzo inchino, prendendomi in giro. Alzo gli occhi al cielo, per poi guardarla male "Buongiorno, hai finito di fare la spiritosa?" si siede di fronte a me, con un sorriso a trentadue denti <No, ho appena iniziato> scuoto la testa alla sua risposta, decidendo di ignorare questo suo comportamento. "Sei venuta da sola?" corruga la fronte non capendo il motivo di questa domanda, per poi annuire <Sì, sono venuta da sola, scusa il ritardo. C'era molto traffico> "Mhmm, mi è sembrato di vedere Hana, ma a quanto pare mi sono sbagliata" il nostro discorso viene interrotto dallo stesso cameriere che poco fa ha preso il mio ordine. Diana ordina velocemente, prendendosi una brioche, con la scusa di non aver fatto colazione, e una tazza di caffè. "Non hai fatto colazione?" alzo un sopracciglio in modo provocatorio, sapendo che non è vero <Ok, stamattina presto ho mangiato, però ho ancora fame e all'ora di pranzo manca ancora un'ora e mezza, quindi smettila di giudicarmi> annuisco soddisfatta, finendo il caffè appena le sue ordinazioni arrivano. <Comunque, mi volevi vedere per un motivo specifico? > "No, non c'è nessuno strano motivo, volevo solo stare un po' con te. È passato un bel po' di tempo dall'ultima volta che ci siamo viste e sentivo il bisogno di parlarti, tutto qui" dà un morso alla sua brioche al cioccolato, appoggiandolo poi sul piattino, pulendosi i lati della bocca <Mi sei mancata in questi anni. Mi dispiace non essere potuta rimanere in contatto con te, è la cosa di cui mi pento di più> un sorriso triste si fa largo sul volto <Dopo che alla festa mi hai raccontato quello che ti è successo, non ho potuto fare a meno di incolparmi. Mi avevi racconta-> si ferma, osservandomi attentamente per poi strabuzzare gli occhi, realizzando qualcosa <Aspetta... Ecco perché ogni volta che ti chiedevo di andartene, non lo facevi. Lui ti avrebbe trovata ovunque> notando il suo sguardo persone e sofferente, appoggio la mia mano sulla sua, rispondendo alla sua domanda indiretta "Sì Diana, sapevo che se avessi provato a scappare, mi avrebbe cercata fino a trovarmi, e solo Dio sa cosa mi avrebbe fatto. Non ti ho mai detto il mio nome intero, ed ho omesso di pronunciare il suo cognome, perché temevo che tu potessi andare a dirlo in giro" mi guarda addolorata, con le lacrime agli occhi <Avrei potuto cercare di contattarti una volta visto al telegiornale che avevi preso le redini dell'azienda, ma non avevo il coraggio di farlo... Avevo paura che tu non avresti più voluto sentir parlare di me. Solo quando ti sei avvicinata alla festa per parlarmi, mi sono ricreduta> sto per parlare, ma continua <Non capisco perché tu, quando ci vedevamo sotto all'albero, non avessi il coraggio di dirmi tutta la verità. Pensavo di sapere quello che ti succedeva a casa, ma a quanto pare mi sbagliavo. Mi hai sempre detto che lui non ti faceva uscire e che non ti permetteva di avere amiche, ma non che ti picchiasse...dovevano passare anni e rivederci ad una festa per far sì che tu me lo dicessi> mi mordo il labbro inferiore, abbassando lo sguardo sulle mie mani, sentendomi vulnerabile come mai prima "Diana, io-" <E il tuo vero nome... Santo cielo, l'ho scoperto guardando il telegiornale> si passa le mani tra i capelli, disperata, il caffè e la brioche, ormai dimenticate. "Mi dispiace" <No Olivia, no...non è colpa tua, sarei dovuta essere più attenta. Sono io a chiederti scusa> vedo i suoi occhi bagnarsi di lacrime che trattiene, non volendo farmi sentire più in colpa di quanto già non lo sia. "Adesso basta parlare di questo, ormai è tutto passato. Piuttosto dimmi come hai fatto a far nascere un'azienda come la tua?" le sorrido sincera, curiosa del suo percorso. Si asciuga una lacrima che era scesa senza il suo consenso, prendendo un respiro profondo prima di iniziare con il suo racconto. <Beh, il giorno in cui ti dissi addio, io e i miei genitori ci siamo trasferiti a Miami. È stata una decisione molto affrettata, non sapevo neanche il motivo per cui volessero andarsene, si sono svegliati un giorno, e hanno deciso di portare me e i miei fratelli il più lontano possibile da quel posto. Comunque, una volta arrivati a destinazione, un amico di mio padre ci ha ospitati per qualche giorno, dandoci la possibilità di trovare nei giorni successivi un piccolo appartamento. L'inizio non è stato facile, dovevo iniziare l'università, ma non potevo... Mio padre non aveva ancora iniziato a lavorare, stessa cosa per mia madre, e quando finalmente sono riusciti a trovare quel briciolo di equilibrio, non potevo chiedere loro di spendere soldi per me.> annuisco pensierosa, non riuscendo a non confrontare i miei genitori con i suoi. Hanno sacrificato tutto per i loro figli, hanno cambiato vita, si sono messi alla prova... Sono andati contro tutti e tutto, cosa che mio padre e mia madre non avrebbero mai fatto in vita loro.
Troppo presi a pensare a se stessi e ai loro problemi, si sono dimenticati di avere con loro una bambina che voleva solo il loro affetto, una bambina che avrebbe rifiutato vestiti, giocattoli, viaggi e qualsiasi altra cosa, per un abbraccio e un bacio delicato sulla guancia. Erano troppo egoisti, il loro obiettivo era quello di soddisfare unicamente i loro bisogni, avrebbero fatto qualsiasi cosa per un grammo di droga, anche vendere sé stessi al diavolo, oppure, come era successo, vendere la loro unica figlia. "Cazzo!" un dolore lancinante al braccio, mi risveglia dai miei pensieri. Guardo la persona che a quanto pare è inciampata cadendo su di me, rimanendo per un attimo stupita, trovandomi davanti due occhi azzurri appartenenti ad una bambina di pressoché sei anni. Trattengo gli insulti che vorrebbero uscire dalla mia bocca, non volendo farla piangere. La prima a parlare è Diana, che rendendosi conto del mio sguardo torvo rivolto verso la sconosciuta, capisce le mie intenzioni <Ciao, ti serve qualcosa? > il suo tono di voce dolce, mi fa sbuffare "No, voleva solo farmi del male" rispondo al posto della bambina mentre digrigno i denti dal dolore, cercando di non arrabbiarmi ancora di più - Scusa, stavo per cadere- il suo tono di voce debole, mi fa pentire per un secondo del mio atteggiamento nei suoi confronti, ma il dolore al braccio, che continua ad aumentare e non sembra pronto a voler passare, mi rende più irascibile del solito. <Non ti preoccupare piccola, sono cose che succedono> Rivolgo uno sguardo torvo a Diana, prima di puntare tutta la mia attenzione sulla bambina, non potendo fare a meno di notare i vestiti sporchi e strappati che ricoprono il suo copro debole. I suoi occhi azzurri che poco fa mi guardavano, adesso sono indirizzati sulla brioche lasciata a metà dalla polinesiana. "Hai fame?" la mia domanda fa sussultare la fragile figura appostata accanto al nostro tavolo, facendole anche abbassare gli occhi dalla vergogna. - N-no, sto bene... - sposto la sedia, facendole segno con il capo di sedersi, il dolore al braccio ormai dimenticato. Nel esatto momento in cui la sua piccola mano si appoggia con titubanza sul tavolo, una mano molto più grande della sua, si appoggia sulla sua spalla, strattonandola - Tu! Vattene subito via da qui, quante volte devo dirti che non puoi entrare!! - Come se tutto stesse accadendo a rallentatore davanti a me, osservo quegli occhi azzurri riempirsi di lacrime e il suo corpo venire scaraventato a terra con molta forza. Prima che possa registrare quello che è accaduto, mi ritrovo in piedi, con le mani che stringono la maglietta dell'uomo che ha spinto la bambina, urlandogli in faccia "Chi cazzo credi di essere?!" le sue mani si appoggiano sui miei polsi cercando di allontanarmi, ma senza successo. - Sono il proprietario, ecco chi sono! - il tono che utilizza nel rispondere mi fa infuriare, portandomi a stringere la maglietta ancora di più per poi spingerlo, facendolo sbattere su uno dei tavoli e poi cadere rovinosamente a terra, accanto alla bambina, che viene subito stretta tra le braccia di Diana, appena si rende conto di quello che sta succedendo. - Anche voi, fuori, altrimenti chiamo la polizia!! - mi irrigidisco subito appena sento nominare i poliziotti, raggiungendolo con ampie falcate "Se vuoi tenerti questo bar del cazzo, ti consiglio di chiudere la bocca, proprio in questo istante" la tonalità che utilizzo nel pronunciare la frase, silenzia l'intero bar, dandoci la possibilità di sentire il rumore che provocano le auto che attraversano la strada. - Quella è Miray Tanner, la moglie di Noah Stranford - sussurra qualcuno, facendo strabuzzare gli occhi al proprietario il quale si alza immediatamente in piedi - L-le chiedo s-scusa signora... Avessi saputo c-chi fosse non l'avrei t-tratta così - mi avvicino a lui ancora di più, sussurrandogli all'orecchio "Prova solo un'altra volta a trattare qualcuno nello stesso modo in cui hai trattato questa bambina, e credimi, se lo verrò a sapere, vorrai sperare di non avermi mai conosciuta" una goccia di sudore scende dalla sua fronte, mettendo in risalto la sua paura. Sorrido soddisfatta, lanciandogli una banconota da venti, facendo segno a Diana di prendere la bambina e di uscire. Appena fuori, prendo il cappotto e lo appoggio sulle spalle tremanti della più piccola. Non ho neanche il tempo di aprire bocca per parlare, che scappa subito dopo aver borbottato un debole - Grazie - La osservo correre tra la gente, con un sorriso in volto. Il cappotto molto più grande del suo corpo, svolazza da una parte all'altra, facendola sembrare una piccola ladra. "Non sappiamo il suo nome..." <La rivedremo ancora Olivia, non ti preoccupare, adesso andiamo> chi sei? Mi chiesi, incuriosita da quegli occhi, molto diversi da quelli della signorina Aceveds.
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Who wins? (girlxgirl)
RomanceMiray Tanner, CEO di una delle più grandi aziende automobilistiche del mondo. Conosciuta da tutti per la sua capacità di mantenere in piedi la sua impresa, una volta di suo marito.Tutta la sua vita gira attorno a menzogne, ad un marito morto di cui...