CAPITOLO 26

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“Molto spesso non so neanche io cosa provo” ammetto seduta nell’ufficio della mia psicoterapeuta, che mi guarda con un gomito appoggiato sul tavolo e la mano a pugno che sorregge il suo volto dipinto da un’espressione annoiata. Tornare da due giorni di vacanze per poi rinchiudermi nuovamente in un ufficio, diverso da quello in cui lavoro, non è il massimo, ma le avevo promesso che sarei passata.
“Non mi stai dicendo niente Miray e lo sai” esclama scrivendo qualcosa. Quella dannata penna che da quando sono entrata non sembra volerla appoggiare. Saranno minimo due fogli interamente scritti, e sono qui da meno di un’ora. Ha sempre avuto una scrittura elegante e veloce, soddisfacente e precisa. I punti alla fine delle frasi, gli accenti e le maiuscole, elementi che sono perfettamente utilizzati, ma non per questo meno fastidiosa.
“Quando è stata l’ultima volta che hai fatto uso dei sonniferi che ti sono stati prescritti?”
“Mesi ormai” affermo grattandomi un sopracciglio, pensando a quella sera che non ho potuto farne a meno.
“L’ultima volta che ne hai sentito il bisogno? Tralasciando il giorno che hai avuto il crollo” chiede appoggiando finalmente la penna sui fogli, e incrociando le mani sotto il mento.
“Quasi ogni giorno…” confesso accorgendomi solo ora di essere riuscita a dormire qualche ora in più rispetto al solito, la sera passata alle Hawaii.
“Da quando non ti prendi dei giorni per te stessa? Tu insieme a qualcuno che non ti crea stress e ansia… quindi senza Amirah” il suo sguardo è duro e pieno di rimprovero. È un argomento che abbiamo affrontato più e più volte negli anni; prenditi dei giorni di riposo.
“Un giorno? Ti ricordo che sono stata due giorni alle Hawaii” dico con un sorrisetto sghembo. Per niente colpita dal mio modo di parlare e cercare di minimizzare le cose, rimane in silenzio aspettando altro.
“Almeno un anno…” ammetto con un sbuffo, sprofondando nella sedia, incominciando a sentire il disagio farsi spazio dentro di me.
“Non sono una dei tuoi dipendenti Miray…questi giochetti, questo tuo modo di comportarti come se io fossi una tua nemica, non funziona” esclama senza avere pietà, un lato del suo carattere che ho sempre ammirato. In tutti gli anni che mi ha aiutata, non si è mai permessa di essere gentile oppure di dirmi ciò che tutti mi ripetono in continuazione. Se sono colpevole di qualcosa, me lo fa capire e pesare, se ho ragione mi supporta, se soffro non prova compassione, se mi lascio travolgere dalla rabbia, non prova a calmarmi, ma lascia sfogare tutti i sentimenti che ho represso.
“Sono abituata a fare così”
“È arrivato il momento di affrontare cosa e chi ti fa soffrire… questo vuol dire anche Amirah. Non sarò sicuramente io a dirti cosa fare o no, ma è arrivata l’ora di lasciare andare il passato”
“E se invece è il passato che non vuole lasciarmi?” chiedo sofferente. Per anni ho continuato a pensare che fossi io quella non in grado di continuare con la mia vita senza pensare agli anni passati con coloro che sarebbero dovuti essere mio padre e mia madre e altrettanti passati con Noah tra insulti e abusi.
“Quello che sto per dirti, è un consiglio che ti dò come amica e non come tua terapeuta… confrontarti con i tuoi genitori… fino ad oggi pensavamo fossero morti e che quindi non c’era modo di cercare di risolvere, ma ora che sappiamo che sono vivi, devi trovare la forza di farlo, per te, non per loro. Finché continuerai ad averli nella tua vita, ti sembrerà come se il passato sia sempre in agguato pronto a tormentati con i suoi ricordi”
Alle sue parole annuisco senza proferire parola, pensando e ripensando a ciò che ho dovuto affrontare per anni. Bussare alla porta di casa loro, così diversa da quella in cui vivevano con me, per risolvere? Ma a che scopo, per sentirmi dire che non mi hanno mai voluta? Che tutto quello che hanno subito è stato per colpa mia? Per quanto non li veda da anni, già so cosa mi diranno.
“Non assicuro niente…ma prometto di provarci”
“E mi raccomando, non allontanare tua sorella, lei non ha colpe” mentre pronuncia quelle parole, mi guarda negli occhi come se sapesse che lo sto già facendo; non per niente continuo a venire da lei quando ho bisogno d’aiuto, mi conosce meglio di chiunque altro, anche della donna che mi è rimasta accanto quasi per tutta la vita.
Esco dall’edificio dopo averla salutata, con il cuore un po’ più leggero, le spalle meno tese e la mente molto più lucida del solito. Ad aspettarmi in macchina è una Melissa ansiosa che sbatte le dita sul volante aspettando che dica qualcosa. Da fuori, mentre cerco di non scivolare sull’asfalto ghiacciato, mi accorgo subito della sua espressione. La raggiungo chiudendo la portiera con un tonfo, rivolgendole un sorriso sincero.
“Hai aspettato qui per tutto il tempo?” alla mia domanda annuisce in assenso, non mettendo in moto l’auto.
“Allora? Com’è andata?” chiede apprensiva, senza smettere di picchiettare le dita inguantate.
“Bene… meglio del solito devo dire” ammetto accarezzandole il braccio teso. Si rilassa subito, sorridendo cautamente, ancora un po’ scettica, ma senza indulgere oltre.
“Diana come sta? Ancora ammalata?”
“Beh, si… buttarla in acqua a metà Gennaio non è stata una buona idea” alla sua affermazione canzonatoria alzo le spalle “È ciò che si merita dopo tutte le volte che mi ha provocata senza ricevere niente in cambio” dico soddisfatta della mia piccola vendetta. “Sta male, questo vuol dire che non può divertirsi e men che meno fare sesso con Hana… per questioni di poca forza e respiro” specifico alla fine, portando Melissa a scuotere la testa.
“Eravate così anche da piccole…qualche volta ti seguivo per assicurarmi che stessi bene, e molto spesso vi trovavo a farvi i dispetti a vicenda. Non siete cambiate per niente”
“Puoi biasimarmi? È altamente insopportabile quando vuole esserlo”
Mi riaccompagna a casa, mantenendo la conversazione su argomenti leggeri, chiedendomi cosa abbiamo fatto alle Hawaii, di descrivere i posti che abbiamo visto, e di mandarle le foto scattate in quei due giorni.
“Dobbiamo organizzare una festa. Tra due giorni la famiglia di Amirah viene a Manhattan per festeggiare il compleanno di Manuel, suo fratello. Suo padre continua a scrivermi dicendo che non vede l’ora di rivederci e vorrei accoglierli in grande”
E così feci, arrivato il giorno del loro arrivo. Per prima cosa mandai una limousine a prenderli, non pensando affatto ad Amirah che sarebbe sicuramente andata ad accoglierli; sarebbe salita assieme a loro. All’interno feci trovare a tutti dei piccoli regali, soprattutto al festeggiato, un assaggio del vero regalo di stasera, tutto accompagnato con degli inviti per la festa organizzata. Erano semplici, fogli di cartoncino ricamati, inseriti in buste nere e dorate.
Mentre ero in azienda gli Aceveds vennero accompagnati a casa di Amirah, per lasciargli il tempo di festeggiare tra di loro e per prepararsi alla festa che inizierà tra qualche ora.
Gli inviti agli altri ospiti sono stati mandati giorni addietro da Melissa, che si è occupata di scegliere anche il luogo dove organizzarla.
Il pomeriggio passò tra scartoffie, continue chiacchiere con Kayden che non riusciva a stare un attimo fermo nel suo ufficio e telefonate da parte di Arisa e Jeffrey.
La sera si avvicinò leggera come il vento che soffia perennemente a New York.
“Andiamo?” urlo sperando di farmi sentire da Melissa, Jeffrey e Arisa che sono da qualche parte nella casa. Kayden ci ha avvertiti che ci incontrerà alla festa, non potendo raggiungerci qui per andare là insieme.
Tutti e quattro pronti, ci avviamo per le strade di Manhattan, raggiungendo alcuni degli ospiti già presenti nella casa. L’atmosfera è piena di allegria e spensieratezza. Alcuni dei miei soci si aggirano per il salotto con bicchieri in mano, conversando e ridacchiando con persone di cui non hanno conoscenza in un’abitazione simile a tutte le altre che uso per organizzare questo tipo di feste. Intravedo in lontananza Diana accanto alla sua ragazza, il volto pallido e stanco, segno del suo malessere fisico.
“Forse era meglio se stavi a casa” esclamo fermandomi accanto a lei. È vestita di nero, un colore che mette in mostra la sua pelle ambrata e i suoi capelli chiari. Il vestito le arriva giù fino alle caviglie, comprendo le completamente, lasciando scoperta solo una gamba ben definita e il seno prosperoso.
“Non starei così oggi se non mi avessi buttata nell’acqua gelida in pieno inverno” esclama digrignando i denti dalla frustrazione.
“La vendetta va servita fredda…ho semplicemente colto l’occasione”
“Letteralmente” borbotta afferrando la mano di Hana, che a differenza sua è vestita con dei pantaloni blu e una giacca del medesimo colore, senza niente sotto.
“Non ho per niente apprezzato il tuo gesto Miray. Un semplice raffreddore le ha fatto perdere tutte le forze” afferma la donna in questione, sbuffando sempre più frustrata dal mancato contatto fisico con la sua ragazza. Mi guardo attorno cercando Amirah, fingendo disinvoltura.
“Non è ancora arrivata” esclama Hana accorgendosi del mio sguardo indagatore.
“Chi?” chiedo facendo finta di non aver capito di chi sta parlando.
“Lo sai chi…la sua famiglia è già qui” aggiunge guardando verso un’altra direzione. Seguo il suo sguardo trovando Gerald e Mary che cercano di calmare Amanda e Manuel che vogliono allontanarsi, uno tiene il figlio per un braccio mentre l’altra si abbassa sussurrano in maniera minacciosa qualcosa alla figlia, che smette di dimenarsi. Saluto le due donne con cui stavo parlando, avvicinandomi alla famiglia spaesata.
“Benvenuti. È un piacere rivedervi” esclamo raggiante, venendo subito travolta da un Manuel entusiasta, che più euforico del solito si avvicina con trepidazione.
“È un regalo bellissimo!” dice mettendo in mostra l’oggetto in questione. Sotto alla camicia bianca sbottonata, la collana d’oro che gli ho fatto trovare in auto, splende  in tutta la sua magnificenza.
“Sono contenta ti piaccia, ma non è sicuramente l’unico che riceverai oggi” i suoi occhi si illuminano ancora di più, mettendo in risalto il colore delle sue iridi.
“Amirah è con voi?” chiedo guardandomi nuovamente attorno.
“No, doveva finire qualcosa a lavoro… ci ha fatto sapere poco fa che ci avrebbe raggiunta il più presto possibile” annuisco alle parole di Mary, congedandomi dopo qualche minuto, lasciandoli a Jeffrey e Arisa che non vedevano l’ora di conoscerli, avviandomi verso una donna dall’altra parte del salotto.
“Selene…” la chiamo non appena la raggiungo da dietro alle spalle.
“Miray, come stai?”
“Bene, è da quel giorno in ufficio che non ci vediamo” affermo offrendole un bicchiere di champagne che afferra con piacere.
“Si, ho avuto altre cose da fare. Preparare le vacanze dopo anni di lavoro è impegnativo…pensavo di prendermi un intero anno via da qui” confessa con sguardo sognante.
“Dopo essere riuscita a fregarmi, direi che ti meriti una pausa”
“Non avrei mai permesso a qualcuno di  di avvicinarsi a te per farti del male…conosco mio figlio, ecco perché ho fatto una proposta del genere”
“Questo non cambia niente Selene, mi tradisci una volta, l’hai fatto per tutta la vita e lo sai”
Con un debole sorriso annuisce, alzando il calice lentamente “Non mi farò più vedere” sussurra bevendo l’ultimo sorso, allontanandosi dopo avermi lasciato un ultimo bacio sulla guancia, casto e pieno di affetto. Con il cuore pesante, torno da Melissa che si trova accanto a Kayden che mi accoglie con un abbraccio.
“Non è forse troppo per un compleanno?” chiede il giovane Forbes lasciandomi andare, avvicinandosi inconsciamente a Melissa, che accorgendosi del suo movimento involontario, sorride timidamente. Alla sua domanda alzo gli occhi al cielo, causando in lui una risata roca.
“Potrò mai fare quello che mi pare giusto?” chiedo a nessuno in particolare, dandogli una pacca forte sul braccio.
Stanca e sentendo i piedi iniziare a fare male a causa dei tacchi alti, lascio i due a chiacchierare tra di loro, sedendomi su una delle poltrone non occupate. Comodamente seduta guardo alcuni degli ospiti reggersi in piedi a fatica. In mezzo alla calca intravedo volti famigliari, chi imprenditore con cui ho parlato occasionalmente, chi maggiormente presente nei miei affari. Continuo a guardare con disinteresse uno ad uno muoversi, quando un brivido improvviso mi pervade, sentendo una presenza vicina, troppo vicina per i miei gusti.
“Continui a farlo, perché?” chiede in un sussurro qualcuno alle mie spalle, facendomi distogliere l’attenzione da Joshua che a quanto pare si è autoinvitato alla festa. Nonostante sia seduta sulla piccola poltrona senza guardare in faccia il mio interlocutore, sia la voce che il profumo che si sparge attorno, mi permettono di riconoscerla. Alla sua domanda senza senso corrugo la fronte, voltando leggermente il capo verso il suono della sua voce, senza però guardarla. Di profilo aspetto che continui, ma non lo fa.
“Di cosa stai parlando?” chiedo, alzando leggermente la voce per farmi sentire in mezzo a tutta la gente.
“Lo sai Miray…lo sai molto bene” risponde con disprezzo, appoggiando le mani su entrambi i lati dello schienale, sporgendosi in avanti. “Smettila di prendermi in giro” alcune sue ciocche mi accarezzano la spalla nuda, facendomi rabbrividire.
“Che cosa vuoi Amirah?” la festa è iniziata da quasi due ore, ma questa è la prima volta che mi accorgo della sua presenza. Da quando il restante degli ospiti hanno iniziato ad arrivare, l’ho cercata, ma invano. Non so se sia in ritardo perché non voleva vedermi, oppure per altro, ma è una domanda a cui trovo subito risposta.
“Ti sposi…" il sussurro arrivò lontano e ovattato, ma compresi subito le sue parole.
“Cosa?” tira fuori delle pagine di un giornale, lanciandoli sulle mie gambe accavallate. Leggo l’articolo scritto, non capendo come i giornalisti lo abbiano scoperto. Non volendo discutere di questo in mezzo a tutti gli altri, mi alzo immediatamente in piedi, afferrandole un braccio senza soffermarmi a lungo a guardarla. Si lascia trascinare in una delle stanze, senza riuscire però a chiudere la porta in tempo. Arisa e Jeffrey si intrufolano, guardandomi preoccupati. Da quella sera non mi lasciano un attimo sola.
“Ti sposi o no?” chiede Amirah con più urgenza volendo una conferma da parte mia. Gli altri due presenti ci guardano confusi, non capendo quello che sta succedendo. Nessuno dei due sa niente, né del contratto né dell’imminente matrimonio, e solo il fatto che lo vegano a scoprire così, non mi entusiasma affatto. Doveva essere una giornata semplice e priva di intoppi; il piano consisteva nel farli venire alla festa per conoscere i genitori di Amirah e soprattutto perché entrambi hanno insistito ad esserci, volevano assicurarsi non fosse niente di esagerato per la mia salute, niente stress e problemi, per poi andarsene. Alla sua domanda, anche se per niente contenta del modo e del luogo in cui ne stiamo parlando, annuisco.
“Perché hai accettato?” chiede avvilita, ignorando completamente la presenza degli altri due nella stanza. Uno contro uno, fuoco e acqua che si stanno per toccare.
“Mi hanno minacciata… e anche perché questa è un’opportunità troppo grande da lasciare andare” ammetto a bassa voce, abbassando lo sguardo per terra. So di farle del male…so anche che lo prenderà come un tradimento, ma quando ho accettato non potevo fare a meno. E ora, di fronte a lei che mi chiede il motivo di tale scelta, sono costretta nuovamente a mentire, a creare scuse, pienamente consapevole di non poterle dire la verità.
“Tanto grande da sacrificare noi?”
“No…ma non posso pensare solo a me stessa e a quello che voglio” Voglio te, vorrei dirle, solo e soltanto te…ma non posso averla, non così, perciò mi limito a sembrare disinteressata e per niente toccata da tutto questo. Tento di non apparire preoccupata, faccio finta che il pensiero di averla o non averla non cambia niente, non rende la mia vita meno miserabile, fallendo miseramente non appena sussurra quella straziante richiesta.
“Lasciami andare…se non mi vuoi, se non mi hai mai voluta, permettimi di andarmene” supplica con un groppo in gola. La voce strozzata, il respiro affannato che quasi la fa soffocare creano uno squarcio nel mio cuore, simile ad una di quelle ferite che ti vengono afflitte lentamente, talmente piano che non riesci neanche ad urlare, ferite che vogliono lasciarti agonizzante…per farti ricordare a vita le tue colpe.
“No – sussurro scuotendo la testa in dissenso – non posso…non chiedermi di lasciarti libera. Nella mia vita ho sempre perso, mi sono sempre arresa di fronte a ciò che c’era di bello, ma ora non riesco più a farlo” ammetto con le lacrime agli occhi “Ma non riesco neanche ad accettare di meritare qualcuno come te accanto, c-così perfetta ma irraggiungibile” le lacrime scendono senza il mio permesso, dando libero sfogo alla paura e alla lotta interiore con cui ho a che fare ogni giorno. Amirah si avvicina lentamente, anche lei con gli occhi rossi.
“Nonostante le bugie, il contratto…nonostante il modo arrogante in cui ti poni quando vuoi difenderti, il matrimonio con Kayden, io ti voglio, lasciati amare per una volta, una soltanto”
“Che cosa vuoi da me?!” chiedo al limite dell’esasperazione “Questa cosa che c’è tra di noi, questa relazione se così la vogliamo chiamare, è tossica. Ogni discussione che abbiamo, viene risolta facendo sesso, viene risolta con te che chiedi scusa, io che ti perdono o viceversa. Non parliamo mai, lasciamo semplicemente che le cosa accadano fino ad implodere, e quando succede, va sempre a finire male. Torniamo agli inizi”
“È questo l’amore…”
“No…l’ho avuto un amore del genere, ed è andato a finire male, molto male-“
“No Miray, se è andata a finire male è per colpa tua, se la vostra relazione non è andata avanti come volevi, è perché ogni volta ti tiri indietro, quando le cose si fanno difficili, te ne vai!” accusa infuriata, non riuscendo più a reggere il continuo tira e molla. Si sfoga a mio discapito, accecata dalla rabbia repressa. Le sue parole feriscono, squarciandomi nuovamente, più a fondo.
“Noah ha abusato di me! Picchiata ogni giorno, ogni singola volta che tornava a casa ero terrorizzata! Pensavo che prima o poi mi avrebbe fatta fuori, e credimi, che se lui non fosse morto, io oggi non sarei qui! Non potrei amarti, starti accanto e neanche guardarti!” urlo e questa volta sono io ad avvicinarmi a lei, che lentamente indietreggia. Ad ogni parola, ogni frase che pronuncio faccio un passo avanti, mentre lei fa il contrario.
Una porta si apre alle nostre spalle e ad entrare sono i genitori di Amirah con i loro due figli.
“Amirah, cosa-“
“Non sai niente della mia vita – abbasso la spallina del vestito mettendo in mostra la cicatrice, puntandovi il dito – la vedi questa?! È stato lui, esattamente il 19 Aprile del 2013“ mi sfogo, lasciando che le lacrime scendano più copiose. Amirah va a sbattere contro al muro, mentre un verso strozzato risuona alle mie spalle, pieno di dolore e pentimento. “Non azzardarti mai più a dirmi che è stata mia la colpa di quello che ho subito!”
Dei passi frettolosi risuonano nella stanza e poi una mano viene appoggiata sulla mia spalla, cingendomi in una stretta.
“Per anni sono andata avanti a vivere con la paura che lui sarebbe un giorno tornato a casa con l’intento di uccidermi…e non quello di torturarmi, perché quello tanto lo faceva già. Giorno e notte…sveglia o mentre dormivo…sobria o ubriaca, era sempre lì, un’ombra da cui non riuscivo a scappare”
“Mi dispiace…” sussurra Gerald piangendo “Mi dispiace così tanto…”
Amirah è immobile davanti a me, che mi guarda incredula. Occhi sgranati, labbra schiuse e un’espressione di pentimento e paura.
“È questo il problema, ti penti sempre troppo tardi di quello che dici o fai” sussurro sfinita, voltandomi verso gli altri presenti. Mary è impassibile mentre mantiene gli occhi puntati sulla figlia maggiore ancora troppo scossa. Manuel e Amanda tremano visibilmente, sorreggendosi a vicenda.
“Scusatemi…” mi allontano dal salotto, raggiungendo tutti gli altri ospiti.
“Miray, cosa è successo?” a fermarmi e Melissa, che accorgendosi della mia espressione si è precipitata ad assicurarsi non sia successo niente di troppo grave, almeno questo è quello che penso in quell’istante. Jeffrey e Arisa alle sue spalle sono la conferma del fatto che anche lei sa della discussione appena accaduta, ma nonostante questo, percepisco che c’è altro di cui è preoccupata.
“Amirah sa del matrimonio…e ora anche della cicatrice” ammetto deglutendo visibilmente, sospirando nel tentativo di calmare i nervi.
“So che in questo momento stai pensando a quello che è successo lì dentro, ma abbiamo un altro problema” mi riprendo subito, guardandola aspettando che aggiunga altro, mentre mi guardo attorno alla ricerca di minacce evidenti. “Un’altra busta  Miray…questa volta una semplice pallottola” sussurra Melissa, cercando di non farsi sentire dagli altri ospiti. I nostri vestiti strisciano per terra mentre frettolosamente ci allontaniamo dal centro della sala, lasciando il bicchiere che aveva in mano su uno dei piccoli tavoli sparsi per la stanza. Entro nella sala dove i camerieri fanno rifornimento di alcool, trovando una di loro intenta a guardare con paura la busta che mostra una protuberanza visibile.
“Sono entrata per prendere altro vino per gli ospiti, quando ho trovato quello – indica la busta – appoggiato lì. Non ho visto nessuno entrare o uscire da qui, o meglio, nessuno che non lavora qui stasera” afferma frettolosamente, visibilmente turbata da ciò che ha visto lì dentro.
“Può andare… mi raccomando, non ne faccia parola con nessuno” consiglio alla giovane donna, che senza farselo ripetere due volte, esce non girando neanche una volta lo sguardo all’indietro per controllare cosa stiamo facendo. “Joshua era qui poco fa” affermo afferrando il piccolo oggetto. Osservo la sua forma, pensando a tutte le volte che ho sparato nel buio quando ero più giovane. Chissà se ho mai ferito oppure ucciso qualcuno…sono poi tanto diversa dal mio ex marito? Non mi importava allora, e soprattutto non mi importa adesso se ho fatto del male ad un essere umano. Dopotutto, forse siamo stati destinati a trovarci e sposarci. Due nostri un matrimonio.
“Non possiamo andare avanti così Miray. Quando questa persona si accorgerà che le minacce non hanno alcun effetto su di te, cosa succederà poi?” chiede apprensiva.
“Forse possiamo incastrare Joshua. Se con lui in carcere le minacce continuano allora sapremo se è solo o se collabora con qualcuno. Abbiamo aspettato abbastanza”
“Non c’è solo un investigatore privato che lo segue” confesso a Melissa che mi guarda incredula. “Uno doveva essere esplicito, facilmente intuibile, così mentre Joshua si occupava di lui, l’altro poteva fare il suo lavoro senza essere visto. Un fantasma” la sua espressione continua a cambiare, da stupita a confusa.
“Da quando?”
“Dall’inizio” sempre più sconvolta balbetta una risposta, non sapendo come reagire alla notizia. “Non è il momento di stare qui, torniamo di là e facciamo finta di niente” sussurro rimettendo la pallottola nella busta, nascondendola e tornando dagli ospiti, rivolgendo a molti di loro sorrisi di cortesia. Osservo Melissa tornare da Kayden che conversa con Diana e Hana, ancora intenta a processare tutto quello che le ho detto.
“Miray” Gerald sussurra il mio nome con insicurezza. Avendo assistito alla discussione avuta poco fa con sua figlia maggiore, e essendo venuto alla scoperta di fatti personali, si avvicina cauto come per assicurarsi che sia dell’umore giusto per essere approcciata dal padre della donna che continua a farmi soffrire. “So che in questo momento non vorresti vedere nessuno di noi Aceveds, ma abbiamo una sorpresa per te” in lontananza mi accorgo di Amirah, che accovacciata con un triste sorriso sulle labbra, sistema i capelli e il vestito ad una bambina; Rebeka.
Rimango ferma immobile, guardando da lontano due delle persone per cui darei la vita se fosse necessario, ammirarsi a vicenda. Amirah si alza in piedi, spingendo mia sorella in avanti, che appena si accorge di me, corre facendosi spazio tra le persone, buttandosi fra le mia braccia protese verso di lei, pronte ad accoglierla.
“Ciao piccola” le sussurro all’orecchio, stringendola forte, inebriandomi del suo profumo.
“Amirah dice che sei mia sorella, è vero?” chiede innocentemente, cingendomi sempre più forte. Apro gli occhi chiusi poco fa, osservando la donna in questione che da lontano è intenta a guardarci.
“Si, è vero” sussurro, accennando senza distogliere lo sguardo dal suo, un sorriso che viene ricambiato.
Riporto gli occhi su Rebeka, che ora piange “Ho sempre voluto una sorella” esclama tra i singhiozzi, appoggiando il capo sul mio petto.
“Sono qui”
Tenendola ancora in braccio, fermo uno dei camerieri, che capendo subito il motivo di tale azione, si avvia verso gli altri camerieri richiamando la loro attenzione.
“Cosa fanno?” chiede curiosa Rebeka, guardando come si muovono in sincronia portando fuori la torta.
“Vedi quella? Adesso la mangiamo”
“Si! Voglio la torta!” urla divincolandosi per poter scendere. Appoggia i piedi per terra, correndo verso Amirah e prendendola per una mano. Sempre correndo con le sue piccole gambe la porta verso di me, dicendole di aspettare ferma lì. “Vado a prendere Manue!” esclama euforica, scappando via nuovamente, senza poterla fermare.
“Non c’era bisogno di portarla…ma ti ringrazio”
“È il minimo che potessi fare. Anche se non volevi ammetterlo, so quanto ci tieni a far parte della sua vita. Non posso immaginare non poter stare con Manuel e Amanda per colpa di altri, bene o male capisco come tu ti sia sentita fino ad ora” non ho il tempo di risponderle che Rebeka torna con il festeggiato, che ha perso l’entusiasmo di poco fa, cagione la discussione a cui ha assistito.
“Dovresti tagliarla tu” esclamo con un sorriso nel tentativo di alleviare la sua tristezza, appoggiando una mano sulla sua spalla, spingendolo verso il dolce che lo aspetta. Tutti si radunano attorno al ragazzo, i suoi genitori lo incitano a prendersi la prima fetta.
La seconda viene data a Rebeka, che continua a saltellare non volendo perdersi il cioccolato che cola quando la torta viene tagliata. Quando alla fine tutti hanno un piattino con il dolce, i regali portati da ognuno degli ospiti, vengono accumulati sotto al tavolo dove si trovava la torta ormai finita.
Manuel si immobilizza, guardando con occhi sgranati i camerieri che continuano a portare scatole e buste impacchettate con fiocchi.
“Sono tutti tuoi” dico, spronandolo a prendere il regalo che gli viene porto da Kayden. Lo scarta tremante, tirando fuori una maglietta firmata da tutta la squadra di Basketball per cui fa il tifo. Con un occhiolino l’uomo in questione mi ringrazia, godendosi la reazione del giovane festeggiato, che stringe la maglietta al petto. I regali continuano ad arrivare, mentre viene sopraffatto da tutti gli ospiti che gli fanno gli auguri.
Gli ultimi regali sono quelli dei suoi genitori e di Amirah, che lo avvolgono in un abbraccio caloroso.
La festa finì così, tra fette di torta, regali e alcool, senza altri problemi o discussioni. Ognuno tornò a casa sua, lasciandosi alle spalle una serata che nessuno di loro sapeva fosse un covo di empi, che ora come non mai, volevo esecrare una volta per tutte.
Tempo al tempo…

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