CAPITOLO 6

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“Devi investigare su una persona per conto mio. Stai attento a non destar sospetti quando fai il tuo lavoro, non voglio casini” Mi trovo a casa, seduta sul divano bianco in salotto, che discuto con un investigatore privato. Un uomo sulla trentina, con un accenno di barba sul viso ruvido e sudato. Si passa più di una volta la mano sulla fronte, asciugandosi le gocce di sudore che scendono con una lentezza disarmante. Dal suo atteggiamento, posso capire che è nervoso della mia presenza., e del mio sguardo duro puntato su di lui. “Senta, mettiamo subito in chiaro una cosa. Se non è in grado di fare il suo lavoro, allora si alzi da quella poltrona e se ne vada da qui. Non ho intenzione di associarmi ad individui che non riescono neanche a guardarmi in faccia mentre parlo” Alza insicuro il capo, puntandomi addosso due occhi neri impauriti e nervosi. Deglutisce forzatamente, annuendo senza distogliere lo sguardo. Sorrido soddisfatta, alzandomi dal divano e mi sistemo con le mani la gonna che si è leggermente rialzata. “Joshua Barton, molto probabilmente lo conosci già. Migliore amico di mio ex marito. Devi seguirlo 24 ore su 24. Voglio sapere tutto su di lui, ogni suo minimo movimento, ogni sua piccola paura e ogni suo possesso” Lo accompagno fino alla porta, stringendogli la mano “Non le do molto tempo signore, solo un mese. Se dopo questo periodo di tempo lei non ha raccolto informazioni utili, può scordarsi i soldi che le devo.” Sospira consapevole del fatto che se non obbedisce, le cose potrebbero andare peggio per lui.  Gli apro la porta con un sorrisetto stampato sul volto, facendolo uscire da casa mia. <A-arrivederci> Non lo guardo minimamente, chiudendogli senza scrupoli la porta in faccia. Guardo l’orologio che ho sul polso, osservando l’ora: 12:26. Preparo qualcosa da mangiare per pranzo, gustandomi lentamente la buonissima lasagna che ho sul piatto, accompagnandola con un bicchiere di vino rosso. Scrollo verso destra con il pollice, osservando le diverse immagini che si presentano sul telefono che ho in mano. L’idea di aprire una scuderia mia personale, mi è venuta in mente più di una volta. Il motivo per cui Noah non ne abbia mai aperta una? Troppo codardo per prendersi tali responsabilità; si è solamente limitato a creare motori e pezzi di carrozzeria da poi vendere ad altre aziende. Tutto questo, sotto il mio comando però, cambierà. Il primo passo, è quello di scegliere uno stemma per le mie auto, uno stemma che rappresenti la mia essenza e la potenza che le mie auto avranno una volta nel mercato. Lascio andare la forchetta sul piatto quasi vuoto, mandando un messaggio veloce a Melissa, con allegata la foto con lo stemma. Lo definirei uno stemma particolare, diverso dal cavallo della Ferrari, dai cerchi incatenati dell’Audi e dal leone della Pegeu. Mangio l’ultimo boccone, finendo il vino rimasto sul bicchiere. Mi alzo da tavolo, lasciando i piatti e le posate sporche su di esso, sapendo già che le domestiche sistemeranno tutto. Osservo un’ultima volta la foto dello stemma sul telefono, mentre salgo in camera mia. Spengo il telefono, non volendo essere disturbata da nessuna telefonata indesiderata, stendendomi sul letto, dopo essermi cambiata. Chiudo gli occhi rilassandomi completamente sul letto comodo, addormentandomi come una bambina. 
                                                                                    ***
Prepararsi per una festa non è mai stato così noioso e patetico. Ogni anno organizzo diverse feste dove invito impresari da tutto il mondo, sfortunatamente questa volta, i CEO con cui volevo parlare non saranno presenti. Solo alcune persone interessati saranno in grado di intrattenermi, ma per altro, molto sicuramente mi annoierò. La festa si terrà in una delle mie abitazioni qui a New York che utilizzo raramente, più che altro solo per momenti di svago. Osservo il vestito nero che scende giù fino alle caviglie, con uno spacco sulla coscia destra, e la schiena completamente scoperta. Indosso dei tacchi semplici, che rendono la mia figura slanciata. Sistemo i capelli arricciati che arrivano fino a sotto il seno, applicando un leggero strato di trucco. Spruzzo un po’ di profumo sul collo e sui polsi, prendendo poi il mio cappotto nero, e la pochette nera con diamanti. Esco dalla stanza disordinata, scendendo le scale lentamente, fino a raggiungere il salotto. Appoggio con adagio il cappotto sulle spalle, uscendo successivamente dalla villa. Una limousine mi aspetta poco fuori, con Jeffrey, il mio autista personale, accanto alla macchina, che apre la porta appena mi vede arrivare. È un uomo di cinquant’anni con i capelli bianchi lisciati perfettamente, con i tratti del viso molto ricalcati. È l’unica persona che mi accompagna occasionalmente in giro, quando non me la sento di mettermi alla guida. Oltre ad essere il mio autista, fa anche parte delle guardie che sorvegliano la villa da ladri e paparazzi che si appostano davanti ai cancelli in cerca di nuovi scoop. Il suo corpo robusto, ogni volta che lo vedo, è fasciato da un completo blu elegante, che lo rende più affascinante di quanto non lo sia già per la sua età. Appoggio una mano sul suo braccio teso che tiene la porta aperta, regalandogli un sorriso sincero che ricambia. Mi siedo sui sedili in pelle comunicandogli appena entra, la solita direzione. Durante il tragitto discutiamo a voce bassa, come se non volessimo rovinare la dolce atmosfera che ci circonda. Mi parla di come sua moglie Clarissa, ogni volta che torna a casa dopo aver lavorato, gli prepari il suo piatto preferito, e lo obblighi a raccontarle come è andata la sua giornata, preoccupandosi sempre che non gli succeda niente. “Jeffrey, lo sai che se sentissi mai il bisogno di restare a casa e non lavorare più me lo puoi dire” scuote la testa, tenendo gli occhi puntati sulla strada, rispondendo <Non si preoccupi signora, mi piace questo lavoro, e sono profondamente onorato di rimanerle accanto e proteggerla. Non potrei chiedere niente di meglio, e poi, non potrei mai rinunciare a tutti i soldi che mi da per quello che faccio> la sua risata risuona per l’abitacolo, facendomi scuotere la testa, ridendo insieme a lui “Va bene Jeffrey, tanto lo sapevo che mi volevi bene solo per i soldi”. La conversazione cessa appena raggiungiamo l’enorme villa poco fuori città. Lo ringrazio per il suo servizio, uscendo dalla macchina senza farlo scomodare inutilmente. Chiamo al telefono Melissa, nel frattempo che mi avvicino all’entrata sotto gli occhi delle persone che si trovano fuori a parlare. “Melissa, tutto apposto li dentro?” ho lasciato alla mia segretaria il compito di far accomodare gli ospiti nel frattempo che non ero qui <Si signora, tutto apposto. Sono arrivato quasi tutti, mancano solo alcune persone> “D’accordo. Io sono appena arrivata, per favore, fa aprire la porta ad una dee guardie” <Si signora> acconsente con voce acuta prima di riagganciare. Esattamente quando raggiungo la massiccia porta, essa viene aperta con forza, dandomi la possibilità di entrare. Consegno il mio cappotto ad uno dei camerieri che girano per l’enorme salotto, decisamente più grande di quello in cui vivo, facendomi strada per la folla. Colgo una chioma bionda in fondo al salotto che conversa con qualcuno, raggiungendola. Appena si accorge di me, mi viene in contro dandomi un calice di vino bianco <Buonasera signora> abbraccio velocemente Melissa guardandomi introno alla ricerca di qualche viso famigliare. “Chi manca ancora alla festa?” Controlla il blocco notes che ha in mano, leggendo i nomi <Mancano il signor Carlos Rivera della Riveras Enterprise, Joachim Kimmich della J.K.S Enterprise e la signoria Aceveds> annuisco sorseggiando la bevanda che ho in mano “D’accordo, appena la signorina Aceveds arriva, fammi sapere” Mi allontano da Melissa girando per il salotto e parlando con alcuni degli impresari che mi fermano. – Dovrebbe conoscere la signorina Diana Jefferson, la sua impresa in questi mesi è cresciuta moltissimo – stringo le sopracciglia, avendo sentito già quel nome da qualche parte “Ho sentito il suo nome da qualche parte…” l’uomo davanti a me strabuzza gli occhi guardandomi sbalordito <Signora Tanner, le suggerisco di andare a parlarne non se ne pentirà> lo osservo, non capendo il suo intento “Non penso che si trovi qui, non mi ricordo di averla invitata” con uno sorriso da ebete mi indica qualcuno dietro di me. Mi giro verso dove sta puntando con il dito, osservando una donna girata di spalle con i capelli biondi che coprono maggior parte della sua schiena. Contemplo il suo corpo delineato da fantastiche curve, che mi ricordano qualcuno, ma non so esattamente chi. Mi avvicino con cautela, appoggiando la mano sulla spalla della donna, interrompendo la sua conversazione. Gira il capo verso la mia direzione, facendo spostare la sua enorme chioma di capelli, puntando i suoi occhi, che sotto il riflesso della luce emanata dai lampadari, sembrano dorati. Il respiro mi si mozza in gola, appena riconosco il volto ormai maturo di quella ragazza che conobbi anni assai “Tu…” spalanca le labbra, meravigliata dalla situazione, sussurrando il nome che utilizzavo in sua presenza <Olivia…>

Flashback

Come quasi ogni giorno, esco di casa stufa di rimanere imprigionata come un cane dentro a quella, che chiamo ormai gulag. Esco verso le 17:45, recandomi ad un parco poco lontano l’abitazione. Anche se infreddolita, mi siedo sotto ad un albero, chiudendo gli occhi e respirando a pieni polmoni. Il clima freddo mi si insinua sotto i vestiti e sotto le ossa, facendomi tremare. Una foglia mi cade sui capelli, ma lascio che rimanga incastrata tra le mie ciocche, immaginando di essere libera. Sento il calore di una mano appoggiarsi sul mio capo, rimuovendo la foglia secca. Mi sposto dalla paura, immaginando che sia Noah, e che mi abbia trovato, ma appena alzo lo sguardo, incontro il viso dolce di una ragazza più piccola di me. Si siede accanto a me raggiante, sfiorando la mia spalla con la sua. <Ciao. Hai occupato il mio posto preferito, ma non fa niente, possiamo condividere> deglutisco, continuando ad osservarla spaesata. Si alza improvvisamente in piedi, battendo le mani <Oh è vero, non mi sono presentata. Sono Diana Jefferson.> allungo la mano verso di lei, stringendole la mano e presentandomi “Olivia Scott” Non mi presento con il mio nome intero, avendo paura che possa andare a dire tutto a Noah o a qualche suo conoscente, mettendomi così nei guai. Mi guarda con un luccichio negli occhi, che mi da speranza di vivere. Parliamo per un lungo periodo di tempo, tanto che perdo la cognizione del tempo. La saluto in fretta, abbracciandola calorosamente e tornando a casa correndo. Fortunatamente Noah non è ancora tornato, facendomi lasciare un sospiro di sollievo. Vengo però rimproverata da Melissa che mi guarda con le lacrime agli occhi, pregandomi di stare più attenta. Per tre lunghi mesi, esco ogni giorno allo stesso orario andando ad incontrare Diana. Ormai sai quasi tutto della mia vita, tranne il mio nome completo e il fatto che sia sposata con Noah. Ha cercato più volte di convincermi ad andarmene, lei crede che vivi con una famiglia che non mi vuole, ma so già che se dovessi mai farlo, lui mi cercherebbe fino a trovarmi per poi sicuramente uccidermi. Quando sono uscita di casa, ho pensato che sarebbe stata una di quelle solite giornate in cui avrei incontrato la mia nuova amica, e le avrei raccontato cosa succede a casa, ma mi sbagliavo. Solitamente sono la prima ad arrivare al parco ed a sedermi sotto l’albero, ma questo pomeriggio, Diana è già li. Tiene lo sguardo basso e si tortura le pellicine delle mani, non alzando lo sguardo neanche quando mi sente arrivare. Corrugo la fronte insospettita dal suo comportamento sedendomi accanto a lei. “Succede qualcosa Diana?” Delle lacrime scendono copiosamente dai suoi occhi, facendomi battere forte il cuore. Sono io quella che piange sempre, lei invece è quella più forte tra noi due. È quella che tiene duro in situazioni difficili, è quella che non si arrende mai, a costo di raggiungere il suo obiettivo. Guardarla piangere mi fa destabilizzare più di quanto pensassi. Stringo la sua mano, incrociando le sue lunghe dita alle mie. “Diana…mi stai spaventando” si asciuga le lacrime girando il capo verso di me, scrutandomi attentamente <Mi dispiace Olivia…> “Non capisco. Spiegati meglio” deglutisce chiudendo gli occhi addolorata “Oggi me ne vado…” cerco di capire che cosa voglia dire con quelle parole, non sentendomi pronta ad accettare l’evidente. “Quando tornerai? Dimmi che sarà una vacanza breve ti prego” si gira totalmente verso di me, prendendomi per le spalle <Non torno Olivia, mi trasferisco. I miei genitori vogliono portarmi via da qui> mi alzo da sotto l’albero, stringendo incredula i capelli tra le mani “Non è possibile…non è possibile…non è possibile…” borbotto sotto voce. La mia schifosa vita, peggiorerà ancora di più appena se ne andrà. <In un futuro sicuramente ci rivedremo Mira…> “Si, se Noah non mi uccide prima” queste sono le ultime parole che le rivolgo con un sussurro prima di scappare da li. Da quella volta, torno ogni giorno in quel parco, sedendomi sotto al nostro albero aspettandola, fino a quando le poche speranze che avevo spariscono, insieme al suo volto, la sua voce e al suo nome.

Fine Flashback

Ritrovarla davanti a me, dopo così tanto tempo, mi fa sentire delle emozioni che molti anni addietro avevo seppellito. Le sue braccia mi avvolgono in un abbraccio così famigliare ma anche sconosciuto da farmi venire i brividi. “Diana…mi sei mancata moltissimo”

Who wins? (girlxgirl) Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora