CAPITOLO 17

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POV Miray
“È finito?”
Dopo intere settimane fatte di disguidi e incomprensioni, arriva finalmente una buona notizia; l’autodromo è finito. L’unico inconveniente consiste nel dover avvertire Amirah di tutto ciò dopo giorni di totale assenza da parte sua.
“Si signora, è tutto finito. L’autodromo è pronto per le altre prove che ha chiesto di effettuare. Quando se la sente di provare, ci chiami”
A interrompere il piccolo momento di gioia è il signor Barton che entra nel mio ufficio come se fosse il suo.
“Ho saputo che L’autodromo è finalmente finito. Cosa hai intenzione di fare adesso?” chiede sgarbatamente, girando per la stanza indisturbato.
“Non ti devo dire niente. Non fai parte di questo progetto, quindi puoi pure finirla di fare il finto interessato per qualcosa che non ti riguarda” sbotto stufa del suo atteggiamento impertinente.
“Ho inoltre saputo delle minacce che hai ricevuto. Scoperto chi è stato?”
“Tu” rispondo innervosita.
“No, non questa volta” ride sarcasticamente fermandosi davanti alla scrivania in cui sono seduta. Lo guardo interdetta, non aspettandomi questa sincerità da parte sua.
“La prima lettera, quando eri in ospedale, quella si, l’ho mandata io” confessa grattandosi dietro all’orecchio con disinvoltura. Più lo osservo più noto il modo in cui sembra non essere per niente preoccupato di quello che potrei fare adesso che so che il mittente è lui. Mi alzo dalla sedia circumnavigando la scrivania avvicinandomi a lui con il coltello che è stato mandato con lo scopo di minacciarmi.
“Sarebbe un grande dispiacere dover usare lo stesso coltello mandatomi da te per farti del male, ma visto che sei sicuro non sia il tuo, posso pure ferirti” avvicino la lama al suo collo premendo, senza squarciargli la pelle. Il sorriso rimane dipinto sul suo volto, sembra sapere che non farei mai niente di azzardato così apertamente. Rimango così anche quando ad entrare è Amirah. Percepisco che sia lei dal modo in cui cammina e dal suo profumo; dolce ma al contempo aspro
“Signorina Aceveds, è un piacere averla qui in questo momento, almeno può assistere a come la signora Tanner tratta i suoi soci” esclama Joshua con un sorriso ancora più amplio di prima.
Amirah si blocca accanto alla porta, guardando la scena che le si presenta davanti agli occhi incredula. Si ricompone in fretta, avvicinandosi a me con passo sicuro senza degnarmi di uno sguardo. Quello che fa dopo mi lascia sbalordita.
“Se lei la smettesse di metterle i bastoni fra le ruote non verrebbe trattato così”
Sposto gli occhi da quelli confusi e arrabbiati del signor Barton, puntandoli su di lei che con le braccia incrociate davanti al petto non si muove di un centimetro.
“La lasci in pace e se ne vada” Il modo minaccioso con cui si rivolge a lui mi fa sorridere. Cerco di mascherare la soddisfazione coprendomi il volto con il braccio teso verso il signor Barton.
“Che cosa sta-“ viene subito interrotto da Amirah che mi prende il coltello dalle mani, premendo con più forza, arrivando a tagliarlo sul collo. Rivoli di sangue scendono dalla ferita sporcano la sua camicia bianca. Le gocce di sangue sporcano anche le sue scarpe e per terra, creando una linea che ci divide.
“I suoi nemici sono anche i miei. Fai qualcosa a lei, lo fai anche a me, sono stata abbastanza chiara?”
L’uomo di fronte a noi annuisce cercando di non provocare un’altra reazione aggressiva da parte di Amirah.
“Vattene” Joshua si allontana tamponandosi la ferita, cercando di fermare il sangue che continua ad uscire.
Rilascio un respiro che non pensavo di star trattenendo, andando a riempirmi un bicchiere d’acqua.
“Grazie”
“Non mi devi ringraziare, è il minimo che possa fare dopo il modo in cui ti ho trattata” ammette da seduta sul divano.
“Ti sei già scusata ieri, o non ti ricordi?” la provoco, cercando di capire se si ricorda qualcosa di ieri sera.
“Lo so, ma ho pensato fosse meglio scusarmi da sobria… almeno così puoi credere alle mie parole” confessa mordendosi il labbro inferiore
“Ti ricordi proprio tutto?” chiedo ansiosa della sua risposta
“Si, tutto, anche quello che mi hai detto” sbuffo imbarazzata, bevendo un sorso d’acqua cercando di coprire le mie guance rosse. La sua risata riempie la stanza, facendomi rabbrividire. Chiudo gli occhi nel vano tentativo di rallentati i battiti del cuore. Giro per l’ufficio tenendo le spalle rivolte verso di lei, nascondendomi dai suoi occhi indagatori.
Volendo ribaltare la situazione, cambio argomento
“Anche come ti sei comportata dopo la mia confessione?” questa volta mi giro a guardarla, volendo bearmi della sua reazione. Arrossisce immediatamente sotto il mio sguardo. Si copre il volto, la vergogna è talmente tanta che anche il collo cambia colore, passando da un bianco pallido ad una sfumatura di rosso. Intenerita dal suo comportamento mi avvicino appoggiando la mano sotto il suo mento facendole alzare il capo. La guardo dall’alto, lei seduta io in piedi, occhi verdi contro occhi marroni, bianco in contrasto con il nero. Erano passati un po’ di giorni dall’ultima volta che la vidi ubriaca, da quando tentò di baciarmi sotto l’effetto dell’alcool.
“Volevi davvero farlo?” le accarezzo il collo con delicatezza aspettando che mi risponda. Nel frattempo studio il modo in cui il suo corpo reagisce al mio tocco e alle mie parole. La pelle d’oca prende il possesso del suo corpo, gli occhi si dilatano pieni di desiderio e il respiro accelera impercettibilmente.
“Si, da tanto, troppo tempo” ansima come risposta. Mi abbasso mantenendo il contatto visivo. A un centimetro dalle sue labbra percepisco il suo respiro fondersi con il mio e diventare un tutt’uno. Mi spinge all’indietro alzandosi dal divano. Mi afferra i fianchi quasi con prepotenza tentando di unire le nostre labbra, ma viene fermata dalla mia mano appoggiata sul suo petto.
“Non faremo la stessa cosa dell’altra volta” mi allontano dal suo tocco delicato e confortevole prima che il rimorso possa prendere il sopravvento e portarmi a fare qualcosa di azzardato. La voglio sentire vicina, l’ho sempre voluto, ma non l’ho mai ammesso per paura di aprirmi e di fidarmi, ancora un’altra volta, di qualcuno che mi avrebbe inevitabilmente fatto del male. Ho sempre conosciuto solo la sofferenza, tempi bui si erano impossessati della mia vita, non lasciandomi andare fino ad oggi. La sua tenacia, il suo non voler mai darla per vinta a nessuno e la sua sicurezza di sé mi hanno attratta sempre di più col passare dei giorni.
“Ho sbagliato, è vero, ma permettimi di rimediare” quasi supplica dietro di me.
“Lo so, ma non così”
Amirah indulge senza rimbeccare ulteriormente.
“Non sono venuta qui solo per questo. Ho saputo poco fa che l’autodromo è finalmente completo”
“Si, è proprio così, ed è per questo che andremo lì adesso” non le do modo di replicare che esco dall’ufficio salutando Melissa seduta al suo posto. Come al solito è ben composta con un sorriso cordiale sulle labbra pronta ad accogliere ogni mia richiesta.
                                                                               ***
Nonostante sia fine Novembre qui a New York, il caldo si propaga su tutta la pista. Non una nuvola copre il cielo azzurro. L’autodromo è tappezzato di box dalle diverse dimensioni, tutti posizionati uno accanto all’altro che vengono illuminati dai raggi di sole. Le tribune si trovano solo nei settori principali della pista, così da permettere una migliore visuale delle macchine in gara. Il circuito lungo quasi sei kilometri è composto da quattro rettilinei di lunghezze diverse e dieci curve, di cui due molto strette e difficili da affrontar se non adeguatamente preparati.
Converso con uno dei tecnici presenti in pista, riesaminando ogni piccolo dettaglio dell’auto prima di risalirci. Dopo aver finito di controllare gli ultimi particolari, afferro il casco che mi viene porto, pronta ad effettuare l’ultima prova necessaria. Guardo verso gli spalti trovando Diana, Helena e Amirah che mi guardano curiose.
“Ci vediamo tra qualche minuto” saluto
Con l’abbigliamento giusto, finalmente mi siedo accendendo l’auto. Il motore rimbomba per tutto l’autodromo. Poco prima di aver la possibilità di schiacciare l’acceleratore, la portiera dalla parte del passeggero viene aperta. A sedersi accanto a me è Amirah. Il nervosismo si può notare nel suo sguardo nonostante cerchi di mascherarlo al meglio. Altri se fossero al mio posto non noterebbero la paura che si impossessa di lei, ma dopo aver passato mesi accanto a lei, dopo aver visto ogni tipo di emozione attraversare i suoi occhi, diventa facile capire cosa prova.
“Cosa pensi di fare?” si aggrappa alla portiera con forza, le nocche le diventano bianche. Posa una mano tremante sul suo petto, come per fermare il battito accelerato. Completamente irrigidita, sussurra tra i denti una risposta a me incomprensibile.
“Scendi” esclamo con forza. Non risponde alle mie parole. Tentando di riportarla in sé le afferro la mano che trovo sudata dovuto all’agitazione.
“Non sei obbligata a farlo Amirah”
Finalmente conscia di quello che sta succedendo, scuote la testa in segno di negazione.
“N-no, mi fido di te” sussurra senza staccare gli occhi dalla pista. Stupita dalla sua risposta, cerco di balbettare qualcosa ma invano.
“Guida e stai zitta!” urla in preda ad un attacco di panico. Con un sorriso obbedisco ai suoi ordini sfrecciando per la pista. Lei è fatta così, si fida quando capisce di non poter fare a meno, l’ho capito dopo poco tempo che la conoscevo. Non era sicuro credere in qualcuno che poco tempo fa era una sconosciuta e anche un rivale, ma era inevitabile ormai. Troppe cose in comune, nemici e progetti in comune… non potevano fare a meno. Siamo attratte luna dall’altra in tutto e per tutto, che noi lo vogliamo o no.
Freno bruscamente alla penultima curva, con Amirah che continua ad urlare incessantemente.
“È da quando siamo partite che urli, la vuoi smettere?!” sbraito a mia volta.
“Andrò avanti finché non avrò più voce!”
“Spero succeda al più presto. Se prima la percentuale di rischio era bassa, adesso è aumentata per colpa tua che continui a distrarmi!”
Si zittisce subito con uno sbuffo. Finisco il giro tagliando il traguardo superando la bandiera a scacchi bianca e nera sventolata con forza.
Sbatte le mani sul cruscotto non appena ci fermiamo e nell’istante in cui riesce a stare in piedi esce in fretta dall’auto, sedendosi subito dopo sul cofano affaticata dai pochi passi fatti.
“Non mi sento le gambe” sussurra pallida “Potrei vomitare” si piega in avanti con una mano davanti alla bocca, come a cercare di fermare la sensazione di nausea. Mi siedo accanto a lei dopo essermi tolta il caso, accarezzandole la schiena apprensiva. Le resto accanto fino a quando non si riprende, per poi rivolgere un sorriso rassicurante.
“Non è successo niente, visto?” mi guarda torva e incredula.
“Come fa a divertirti una cosa del genere?” chiede sinceramente curiosa.
Siamo talmente vicine che riesco a sentire il suono del suo respiro. La sua mano sfiora la mia, così come la sua coscia. Un tocco così leggero che sarebbe difficile da percepire e riconoscere come suo, se non fosse per la familiarità e sicurezza che mi trasmette.
“Non lo so, è sempre stato così, anche da piccola mi piaceva salire sull’altalena ed essere spinta con forza per andare sempre più veloce e più in alto” confesso, raccontandole per la prima volta qualcosa della mia infanzia incasinata.
“Non c’è un vero motivo in effetti, è semplicemente così… qualcosa che viene da dentro e che è inspiegabile. Un sentimento che devi accettare” spiego con lo sguardo rivolto verso il basso “Non ti è mai successo?”
“Non fino a poco tempo fa” ammette con voce insicura. Sto per porle un’altra domanda ma veniamo interrotte dall’esuberanza di Diana e la risata di Hana che cerca in qualche modo di fermarla.
“Non ti ho mai visto guidare in quel modo!” esclama elettrizzata “La prossima volta sarò io a salire insieme a te” un suono mai sentito prima d’ora fuoriesce dalle sua labbra, simile ad uno strillo di dinosauro.
“Amore smettila, non hai reagito così neanche quando ci siamo incontrate per la prima volta” la prende in giro Hana, circondandole i fianchi con un braccio.
“No, ho reagito decisamente peggio” le sussurra all’orecchio Diana, per poi lasciarle un bacio sulla guancia. Lo squillo di un telefono, che scopro essere il mio, interrompe le due ragazze nello stesso modo in cui hanno interrotto me ed Amirah; bruscamente.
Rispondo senza esitazione non appena leggo il nome di Melissa sullo schermo.
“Dimmi tutto”
“C’è un signore che vorrebbe parlarle, non ho idea di chi sia. Lo lascio attendere nel suo ufficio oppure gli dico di tornare un altro giorno?” pondero le sue parole sbuffando
“Si, fallo attendere nel mio ufficio, arrivo subito”
Mi volto verso le tre donne ancora intente a parlare tra di loro, per salutare
“Devo andare, ho un incontro a cui non posso mancare” Diana mi abbraccia lasciandomi un bacio sulla guancia.
“Dopo io, Hana e Amirah usciamo a bere il caffè insieme, ti unisci?” lo sguardo speranzoso con cui mi guarda mi impedisce di rifiutare.
“Mandami un messaggio quando siete fuori. Se finisco presto vedo di raggiungervi”
                                                                                 ***
Esco bruscamente dall’ascensore, spaventando Melissa che era intenta ad osservare qualcosa, o meglio qualcuno all’interno del mio ufficio. Lascio la borsa a mano sulla sua scrivania senza rivolgerle una parola, ma vengo fermata.
“Ha fatto esaminare il sangue?” chiede in un sussurro per non farsi sentire.
“È di animale” rispondo frettolosamente raggiungendo l’uomo seduto sul divanetto nel mio ufficio.
“Signora Tanner” si alza subito non appena mi vede entrare, lasciando il bicchiere che aveva in mano, abbottonandosi la giacca del suo completo blu e avvicinandosi ma rimanendo comunque a debita distanza.
“La sua segretaria mi ha fatto accomodare, e devo dire che ha davvero un bell’ufficio” esclama sbalordito.
Sorrido al complimento, contenta e soddisfatta di poter intimidire in qualche modo chiunque entri.
“Ho dovuto interrompere una riunione importante per venire qui. Non apprezzo quando uomini sconosciuti si addentrano nella mia azienda come fosse la loro”
L’uomo di cui ancora non so il nome infila le mani dentro alle tasche dei pantaloni, quasi felice della mia accusa.
“Vorrei fare di questa azienda la mia casa…quindi cercherò di non prendere le sue parole come un’offesa” risponde sorridente.
“Sarà possibile avere un ufficio nel suo stesso piano?” chiede cercando di uscire dalla porta dell’ufficio per controllare l’intero piano, ma viene fermato da Melissa che ci interrompe momentaneamente lasciando sulla scrivania dei fogli, per poi uscire sotto gli occhi curiosi dell’uomo davanti a me.
“No” rispondo concisa
“Forse è meglio se mi presento, sono Kayden Forbes” non appena sento il suo cognome mi blocco.
“Cosa mai potrebbe trovare un Forbes nella mia azienda che già non ha?” i luccichio nei suoi occhi mi fa tremare dalla rabbia. Ha già tutto quello che vuole, perché presentarsi qui se non per vantarsi!
“Tanto, ma anche poco, dipende da come ci mettiamo d’accordo” esclama rimanendo disinvolto con le mani in tasca. Proprio come la madre, ha i capelli neri cenere così come gli occhi, due pozze di petrolio che ti confondono quando gli guardi, sembrano spenti ma accesi, senza sentimenti ma pronti a comunicare quello che hanno visto. Si nota subito che è giovane, non una ruga è presente sul suo volto rasato. Ha un corpo possente, le spalle larghe strette da una camicia bianca di marca e le mani ben curate, mani di chi non ha mai dovuto lavorare duro per ottenere risultati e soddisfazioni.
“Conosco sua madre” esclamo, ma la sua espressione non cambia minimamente.
“Ne sono consapevole. È grazie a lei se so quanto lei valga come CEO signora Tanner” risponde senza problemi, sicuro e contento di vedermi confusa.
“Perché è qui?” taglio diretta al punto, volendo tornare, anche se è difficile ammetterlo, da Amirah.
“Ho una proposta allettante”
                                                                                 ***
Raggiungo le ragazze dopo aver chiesto al signor Forbes di incontrarci un altro giorno per discutere i dettagli dell’accordo che stiamo per stipulare e per concordarci sul da fare. Maschero il discontento che provo, stampandomi un sorriso falso sulle labbra.
“Miray!” Diana che urla per richiamare la mia attenzione fa voltare tutti i presenti nel bar, che ci guardano accigliati. Gli ignoro, non in vena di discutere con altri sconosciuti, avvicinandomi lentamente a Diana che non smette di urlare il mio nome.
“Smettila, ti ho sentita, e molto probabilmente anche il sindaco dall’altra parte della città” la trafiggo con lo sguardo, quando nonostante le mie parole non la smette.
“Urla così anche a letto?” chiedo ad Hana che mi guarda stupita con la bocca aperta non aspettandosi una battuta del genere. Diana si zittisce subito, arrossendo, ma ormai è troppo tardi, poiché la sua ragazza, come se le avessi porto le battute su un piatto d’argento, non smette di stuzzicarla.
“Quando riesce ancora a parlare, sì” Amirah ride sotto i baffi, coprendosi la bocca con una mano per non farsi vedere. Mi siedo accanto a lei, quando veniamo prese di mira dalle due donne sedute dall’altra parte del tavolo.
“È inutile che ridi Amirah, sappiamo entrambe come sei quando fai sesso” la giovane donna accanto a me arrossisce come Diana poco fa, immergendosi nella sua cioccolata calda. Un briciolo di gelosia si fa strada dentro di me, ma decido di non farci caso. Diana si accorge del mio repentino cambio d’umore, schierandosi dalla mia parte in questa guerra fatta di battute.
“Non posso dire la stessa cosa di Miray, è sempre così riservata, che scommetto che anche a letto nessuno riesce a farle spiccare parola” mi porto una mano sulla fronte esasperata dal suo tentativo di far ingelosire Amirah. Uno sbuffo da parte della donna che ho seduta accanto, mi fa ricredere.
“Che c’è Amirah, pensi di riuscire nell’intento?” la canzona Hana, prendendo inconsapevolmente parte al gioco della mia migliore amica.
“Sicuramente sì” afferma sicura di sé, incrociando le braccia davanti al petto, guardando fuori verso la strada che brulica di auto.
“Non mi sembra tu ci sia riuscita l’ultima volta” borbotto guardandola in tralice. Si gira frettolosamente verso di me, offesa dalle mie parole. Diana e Hana se la ridono, mentre io mangiucchio qualche biscotto portato dai camerieri per accompagnare la cioccolata presa da Amira.
“Vorrà dire che continueremo a fare sesso fino a quando non ci riuscirò” mi sussurra sensualmente all’orecchio. Prima che possa allontanarsi volgo il capo verso di lei, trovandoci così faccia a faccia. Le sue labbra leggermente più scure del solito dovute alla cioccolata che residua su di esse, dandovi oltre ad un colore differente, anche un profumo diverso, più invitante.
“Hai le labbra sporche” sussurro sfiorandola. Allungo la mano per prendere un fazzoletto sul tavolo per porgerglielo, quando mi blocca afferrandomi il polso. Le altre due donne sono a loro volta perse nel loro mondo, ignare di quello che sta succedendo, o così sembrerebbe.
“Pulisci senza usare le mani” non reagisco, spostando gli occhi su e giù, dalle sue labbra a quel verde che mi avvolge in un abbraccio.
“Dovevamo andare piano…”
“Lo so, ma non resisto” rispondo e appoggio le labbra sulle sue in un bacio casto. Passo la lingua sul suo labbro inferiore assaporando la cioccolata ancora calda, senza alcun verso.
“C’è ancora tanto lavoro da fare se vuoi ottenere una reazione da parte mia” le lascio un ultimo bacio sull’angolo della bocca, per poi allontanarmi. Rimane immobile portandosi una mano sulle labbra per accarezzarle. Si ridesta dai suoi pensieri quando Hana richiama la sua attenzione.
“Amirah, vieni un attimo con me in bagno? Ho bisogno del tuo aiuto con una cosa” le due si guardano, una impassibile l’altra agitata. Non appena si allontanano, Diana appoggia i gomiti sul tavolo sporgendosi in avanti, facendo quasi cadere i bicchieri lasciati lì.
“Ho visto tutto. Finalmente ti stai lasciando andare” esclama entusiasta.
“Non credo questa felicità durerà a lungo”

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