CAPITOLO 30

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Sono passati cinque giorni dall'incidente. Le viste ad Amirah e Amanda continuano quando i loro genitori non ci sono, non riuscendo però a restare a dormire lì con lei. Dall'ultimo incontro avuto con Gerald, è lui stesso ad andare da loro la notte per assicurarsi che sua figlia dorma e che all'altra non succeda niente, questo solo dopo essere sicuro che sua moglie e suo figlio stiano già dormendo. La figlia non si è ancora svegliata, ma i medici sono fiduciosi che lo farà entro la settimana, se non fra un paio di giorni. I suoi parametri sono rimasti sempre stabili, le sue ferite, come i graffi che ho sul braccio, stanno guarendo lentamente. Amirah pare più tranquilla dei giorni addietro, riuscendo qualche volta a tornare a casa e a dormire su un vero letto. Giorni lenti, ma comunque più leggeri.
"Eravamo già a lavoro. Hanno cambiato l'aerodinamica dell'auto, il motore e parte della carrozzeria. Manca qualche piccolo dettaglio e dovrebbe essere pronta entro stasera" afferma Kayden tenendo in mano un pezzo di motore scartato poco fa. È vestito diversamente dal solito. Nonostante siamo comunque in azienda, per l'occasione si è messo addosso una felpa grigia e dei jeans neri che gli fasciano le cosce in maniera elegante, nonostante non fosse quello il suo obiettivo. Affascinante assolutamente , ma sicuramente non il mio tipo.
"La proveremo stasera allora" dico girando per la scuderia, osservando i dipendenti a lavoro, mentre finalizzano gli ultimi dettagli.
"Non è un po' tardi?" chiede mentre mi segue con le mani in tasca. Giro attorno al veicolo, studiando ogni suo minimo dettaglio, cercando di capire se ci sia qualcosa che si può cambiare, mentre discuto con lui.
"No, visto che sarò io a guidare – dico indicandogli le luci anteriori – potremmo metterne delle altre, queste non mi convincono pienamente" affermo, lasciandogli il tempo di osservare e valutare le opzioni. Annuisce indicando gli specchietti retrovisori "Potremmo cambiare anche questi. Ora non sono male, ma c'è sicuramente di meglio che possiamo trovare" faccio segnare tutto ad uno dei dipendenti più vicini, comunicando loro le modifiche da fare entro la sera; deve essere certamente un'auto veloce, ma anche una di quelle che salta all'occhio durante le gare. Kayden si ferma prendendo il telefono, facendomi segno di seguirlo, mentre manda un messaggio veloce per poi portarsi il piccolo aggeggio all'orecchio.
"Pronto? Salve avvocato Sawyer, è un piacere sentirla" appostati in un angolo della grande stanza, ascolto quello che dice il giovane uomo, cercando di capire qualcosa del suo discorso. "Certo, siamo disponibili pure adesso. Ci dica io luogo d'incontro e ci faremo trovare lì entro due ore" alzo un sopracciglio guardandolo, avendo già capito cosa accadrà tra poco. "Grazie, ci vediamo più tardi" chiude la telefonata girandosi verso di me, ma prima che possa parlare lo blocco.
"È qui, perciò vuol dire che possiamo finalmente parlare con l'avvocato" Kayden annuisce, mentre piano piano sulle sue labbra nasce un sorriso. Come un bambino davanti ad un regalo che aspetta da tempo mi spinge in avanti.
"Possiamo chiudere la questione una volta per tutte"
Lasciamo i dipendenti a lavorare, mentre saliamo su in ufficio. Il suo abbigliamento non salta molto all'occhio, ma il mio decisamente si. Abituati a vedermi con addosso camicie e gonne, le persone a cui passiamo di fronte si fermano a guardarmi; è insolito per loro vedere il proprio datore di lavoro vestita come se fosse appena uscita a correre. Non ci faccio caso, decidendo di lasciarli in pace una volta ogni tanto, salendo in ascensore con Kayden. Arriviamo all'ultimo piano in poco tempo, facendo segno a Melissa di seguirci e di chiudersi la porta alle spalle.
"Abbiamo l'incontro tra poco con Sawyer. Andremo tutti e tre" Melissa e il giovane Forbes si guardano a vicenda, pensando probabilmente che gli avessi chiamati qui per dirgli che non sarebbero venuti.
"Ok..." sussurra Melissa, piegando il capo come per studiarmi attentamente.
"Diana mi ha comunicato che Hana ha valutato le foto. Non sono abbastanza per incastrarlo, perciò ci servirà ora più che mai l'appoggio di tutti; testate giornalistiche, il pubblico e anche le altre aziende" affermo senza battere ciglio. Tutti e tre eravamo a conoscenza sin dal principio dell'esito, sapevamo che solo le foto non sarebbero bastate, ma nonostante ciò, siamo sempre stati pronti anche a questa evenienza, nonostante la speranza fosse l'ultima a morire. "Se avete altro che può incastrarlo, qualsiasi cosa che possa anche in qualche modo ricollegarlo a ciò che Noah mi ha fatto..." anche se consapevole che nessuno dei due abbia qualcosa che possa ricongiungerlo a quei fatti, è sempre meglio avere tutte le carte in tavola. "Abbiamo iniziato insieme tutto questo, e lo porteremo fino in fondo insieme" affermo decisa. "Mandami il luogo d'incontro quando puoi, che vado in ospedale da Amirah. Non le ho ancora detto cosa stiamo facendo" dico a Kayden per poi spostare lo sguardo su Melissa "Prepara il materiale necessario. Ci vediamo dopo" diretta e concisa dico loro cosa fare, uscendo dall'ufficio in fretta, avendo poco tempo per vedere la corvina.
Posso passare? scrivo velocemente, mentre l'ascensore è in movimento. La sua risposta arriva nell'esatto momento in cui butto la la borsa sul sedile del passeggero, mentre metto in moto l'auto.
Si
Sfreccio per le strade di Manhattan, osservando come piano piano i fiocchi banchi che coprono gli edifici e l'asfalto, insieme al ghiaccio, si sono quasi completamente sciolti, non più rimpiazzati da un'altra ondata di neve e gelido. Anche se con una lentezza disarmante, la primavera sta portando con sé quel caldo necessario per poter uscire di casa senza doversi coprire in maniera pesante da piede a capo. L'inizio di un nuovo capitolo, e la fine di uno di quelli con un finale disastroso.
Giungo in ospedale dopo aver cercato di evitare persone che tagliano la strada fuori dalle strisce pedonali, senza un minimo di preoccupazione, traffico a non finire e litigi con sconosciuti.
Salgo le scale dell'ospedale in fretta, avendo già perso mezz'ora ad arrivare fino a qui, entrando nella camera ormai troppo famigliare, trovando Amirah a camminare avanti e indietro con le braccia incrociate. Non mi saluta neanche, troppo persa in quello che sta provando.
"È da giorni che dicono si sveglierà, ma non è ancora successo" sibila a denti stretti, muovendosi furiosamente di fronte al letto dove si trova la sorella, cercando in qualche modo di sfogare la frustrazione. "Non ce la faccio più. Pensavo che sarei riuscita a reggere ancora un po'. Cosa sono altri due giorni, no? Se tra quarantotto ore, forse meno rivedrò i suoi occhi, perché non riesco a calmarmi? Semplice, perché è da quando si trova in questa stanza che continuano a dirmi che domani si sveglierà, ma non è mai così! Le notti passano, il sole sorge e lei ancora non ha aperto gli occhi, non ha detto una parola!" si sfoga urlando, ormai non pensando più agli infermieri e ai medici che girano per il corridoio. "Come se non bastasse non abbiamo ancora trovato chi l'ha ridotta in queste condizioni. A chi devo dare la colpa? A nessuno, solo a me stessa!" continua, iniziando a respirare affannosamente.
"Amirah..." cerco di richiamare la sua attenzione, ma pare che ormai si sia completamente persa nel suo mondo. "Amirah!" urlo afferrandola per le spalle. La tengo ferma, cercando i suoi occhi, che guardano ovunque fuorché me. "Dai la colpa a me Amirah! Se ti farà sentire meglio, incolpami di tutto!" le urlo scuotendola, preferendo che se la prenda con me, invece di vederla continuare con questo circolo di autodistruzione. Si sofferma a guardarmi con sguardo perso, iniziando a ridere con ironia, liberandosi delle mie mani.
"No, non rifaremo la stessa cosa dei mesi scorsi" sussurra allontanandosi.
"Posso sopportarlo. Se hai bisogno di prendertela con qualcuno, posso reggere" la supplico, sperando che almeno questa volta mia dia retta.
"No! Ho smesso di incolparti inutilmente. Non lo farò" mormora coprendosi il viso.
"Sto andando avanti con l'accusa nei confronti di Joshua, anche se so che questo può mettere a repentaglio la tua famiglia. Tra qualche ora devo vedere l'avvocato" affermo sapendo che questo non può oltrepassarlo per quanto si sia ripromessa di non litigare più con me. Prende un respiro profondo cercando di non dire niente di sbagliato.
"Ok" risponde andandosi a sedere sulla solita sedia, cercando di non reagire alla notizia.
"Io e Kayden ci sposiamo a fine mese" continuo, cercando da parte sua una reazione. Stringe la mandibola, così come le mani a pugno, cercando di calmarsi, ma senza muovere un muscolo. Non si alza, non proferisce più di una parola e non si gira a guardarmi.
"Ok" dice nuovamente, guardando sua sorella. La osservo da lontano, decidendo di cambiare strategia. Se toccare i suoi punti deboli non funziona, allora devo colpire la sua curiosità.
"Ho ucciso io N-" mi blocca immediatamente, spingendomi contro il muro, con la mano che mi tappa la bocca.
"Stai zitta" sussurra ad un passo dal mio viso, osservandomi con occhi sgranati. "Zitta" cerco di allontanare la sua mano dalle mie labbra, sapendo che prima o poi esploderà.
"Accoltellato, è così che-" provo a continuare riuscendo ad allontanarla quello che basta per parlare.
"Devi stare zitta!" urla al limite.
"Non ci ho pensato due volte..." sussurro a denti stretti, osservando come l'ammissione appena fatta la stia piano piano portando a cedere.
"Smettila. È meglio se non continui Miray" minaccia, studiando ogni mia minima azione. Prendo il telefono dalla tasca del cappotto, digitando un numero di tre cifre.
"Cosa stai facendo?" domanda confusa ma anche arrabbiata. La ignoro alzando il volume, sentendo dall'altra parte un operatore rispondere.
"911 qual è la vostra emergenza?" solo le prime tre cifre che sente, le bastano per scagliarsi su di me e a prendere il cellulare che ho ancora stretto in mano, schiacciando il tasto rosso sullo schermo.
"Tu sei pazza! Ogni tua azione è fatta dettata dall'istinto, ecco perché nessuno ti rimane mai davvero accanto! È per colpa tua se mia sorella si trova su quel letto di ospedale, è colpa tua se forse sta per morire! Chiunque ti sta accanto fa la sua stessa fine, prima Noah, adesso mia sorella, dopo di loro chi ci sarà, Melissa?" incasso ogni sua parola, senza poter indietreggiare, già messa alle strette. Non reagisco, lasciandole esprimere tutto quello che sente, cercando di non prenderla pienamente sul personale. In fin dei conti l'ho portata io fino a questo punto. "Quando l'hai ucciso, come ti sei sentita?" domanda infuriata, puntandomi il dito contro. "Appagata? Soddisfatta di aver posto fine alla vita di una persona innocente?" vorrebbe continuare, lo vedo nei suoi occhi, ma viene fermata da una voce flebile che la fa irrigidire.
"Basta Amirah..." guardo dietro alle sue spalle Amanda che tossisce, allungando la mano verso la sorella maggiore. Le sorrido leggermente, ricevendo di rimando un saluto con la mano dove si trova la flebo.
"Dovresti andare da lei" sussurro alla ragazza dagli occhi verdi che continua a guardarmi con le lacrime agli occhi.
"Mi dispiace..." mormora lasciando andare il capo sulla mia spalla. "Mi dispiace, non volevo" continua disperatamente, stringendo la felpa che ho addosso con forza. "Mi hai costretta...perché l'hai fatto?" Le bacio la fronte, accarezzandole le guance bagnate, mentre Amanda cerca di mettersi seduta sul letto.
"Va bene così, shh" dopo un ultimo bacio sulle labbra, la spingo verso la sorella che la aspetta, uscendo dalla stanza sotto il suo sguardo supplichevole. Singhiozza pesantemente coprendosi la bocca, mentre stringe la mano della sorella preoccupata per lei, pentita di quello che ha detto e sicuramente non aspettandosi di star frequentando un assassina. Cercando di non dare troppo peso a quello che mi ha sputato addosso, fermo uno dei medici comunicandogli il risveglio di quella che per loro è una semplice paziente, avviandomi verso le scale. Verso gli ultimi gradini, intravedo dalle porte d'uscita e di entrata dell'ospedale, la famiglia Aceveds farsi largo. Mi avvicino a loro consapevole del fatto che mi apprezzino poco, venendo subito aggredita da Mary.
"Che cosa ci fai ancora qui? Mi è sembrato di essere stata abbastanza chiara l'ultima volta" dice fulminandomi con lo sguardo.
"Amanda si è appena svegliata" affermo ignorando le sue parole. Mi accorgo subito di come i loro occhi spenti e spenti si ravvivano immediatamente. Una luce diversa si fa spazio nei loro occhi, una luce che non ho mai avuto la possibilità di provare. Gerald e Mary non dicono niente, correndo subito su per le scale, volendo solo raggiungere la loro figlia. Prima che Manuel possa fare la stessa cosa e seguirli, lo fermo per un braccio, intenta a fargli una domanda che gli ho voluto porre sin dal primo giorno dell'incidente.
"Hai visto chi è stato ad investirla?" chiedo speranzosa, ricevendo come risposta un secco e dispiaciuto no. Sospiro esausta, lasciandolo andare dalla sua famiglia, uscendo finalmente da quelle mura bianche e deprimenti.
Prima di entrare in auto leggo il messaggio mandatomi da Kayden, capendo subito dove sia collocato il luogo di incontro. Parcheggio di fronte al piccolo edificio in perfetto orario, trovando Melissa e Kayden che mi aspettano, mantenendo una debita distanza fra di loro. Nonostante non sia di mio gradimento, mi avvicino al ragazzo di Melissa, prendendolo per mano; in pubblico dobbiamo fare finta di stare insieme prima del previsto, ora che tutti sanno del nostro imminente matrimonio. Seguiamo l'unico uomo insieme a noi, sedendoci di fronte ad una donna di un'eleganza naturale. I suoi tratti asiatici mi mozzano il fiato, linee morbide ma al contempo taglienti che vanno a favore della sua posizione nella società d'oggi.
"Salve, è un piacere potervi finalmente incontrare" si alza dalla sedia stringendo la magno ad ognuno di noi, una stretta forte che non lascia spazio ad insicurezze. Dopo le presentazioni ci fa cenno di sederci di fronte a lei, mentre tifa fuori dei fogli, andando dritta al punto senza troppi convenevoli. "Ho cercato qualcosa su questo Joshua Barton che volete portare in tribunale, cercando di trovare qualcosa, ma niente di illegale salta all'occhio a primo impatto" esclama porgendoci i fogli con tutte le attività portate avanti da lui; atti di beneficenza, foto che giocano pesantemente a suo favore e un'infinità di interviste dove l'unica cosa che mostra è il suo lato gentile e signorile. Melissa le porge a sua volta le foto che sono state scattate dall'investigatore, dandole il tempo di valutare una ad una, per poi allungare anche la lettera, il coltello con la foto e la pallottola.
"Siamo consapevoli del fatto che tutto questo non basti per farlo finire in carcere per anni"
"Infatti. Queste non servono proprio a niente – sventola i materiali che le abbiamo dato – il massimo che possiamo fare è chiuderlo in cella per qualche mese, massimo un paio" afferma appoggiando le mani sul tavolo guardandoci. "Se non avete nient'altro, il processo sarà molto breve e verrete presi in giro da tutti. Giornali e pubblico incluso" dice per niente preoccupata di quello che tutto questo potrebbe voler dire per la nostra azienda. "Possiamo certamente provare, ma vi faccio sapere da adesso che sarà una cosa abbastanza inutile – mentre parla mette tutto in borsa, alzandosi dalla sedia con disinvoltura, come se non avesse appena mandato a frantumi le nostre speranze – lasciatemi il tempo di valutare il caso anche con altri miei colleghi, poi vi farò sapere al meglio se ne vale la pena anche solo aprire un caso. So che state pensando in un appoggio da parte di giornalisti e pubblico, ma vorrebbe dire tirare troppo la corda. State puntando su due elementi imprevedibili, che molte volte si sono schierati dalla parte di assassini e serial killer pur di guadagnare soldi" prima che se ne possa andare Melissa la ferma.
"Se riusciamo a trovare altro?" domanda con freddezza, portando l'avvocato Swayer a spostare lo sguardo su di lei.
"Sarebbe sicuramente meglio. Più materiale ho, più riuscirò a creare un'accusa degna di essere chiamata tale" ammette, sistemandosi i vestiti che si sono stropicciati.
"Mi dispiace dovermene andare così veloce, ma ho altro di cui occuparmi. Signor Forbes, mi saluti sua madre, è da tanto che non la vedo. Buona giornata" dopo quelle frasi se ne va, lasciandoci tutti e tre seduti dietro al tavolo.
"Poteva andare meglio ma anche peggio. Almeno non ci ha detto di no" esclama Kayden, cercando a modo suo di tirarci su di morale.
"Ma neanche si" sussurra Melissa, sotto sotto contenta di questa notizia. Nonostante si sia tirata indietro dopo la discussione, è rimasta della stessa idea che ha avuto sempre; togliere Joshua dall'azienda senza incarcerarlo.
"Deve esserci una soluzione. Abbiamo calcolato male le nostre mosse" dico in un sussurro, pensando a cosa potremmo fare. "Cosa mi dà fastidio è che ha ragione, abbiamo puntato troppo su elementi inaffidabili...errore da dilettanti" esclamo a denti stretti, scuotendo la testa arrabbiata con me stessa.
"Troveremo qualcosa" afferma Kayden alzandosi in piedi. "Sono quasi le diciassette e mezza, ancora un paio d'ore prima che tu possa provare la nuova versione dell'auto, cosa facciamo?" domanda porgendomi la mano per aiutarmi ad alzarmi, baciando delicatamente le mie nocche, per poi aiutare Melissa, limitandosi solo ad allungarle la mano, nonostante si soffermi a lungo a guardarla con ammirazione. Afferro il braccio che mi offre, stringendomi a lui con finta affinità, sorridendo più esageratamente del solito mentre usciamo sotto alle telecamere accese.
"Possiamo andare a bere qualcosa. Della cioccolata calda oppure altro"
Costretti a fingere fino alla fine, lo abbraccio lasciandogli a mia volta un bacio, questa volta sulla guancia, quando mi apre la portiera dell'auto con galanteria. Ci fermiamo ad un bar, continuando con la nostra farsa, con Melissa che finge di essere una semplice segretaria che sta facendo il suo lavoro. Passiamo le ore a chiacchierare tra di noi, io e Kayden troppo vicini per i nostri gusti e per quelli della bionda che abbiamo di fronte, che per tutto il tempo ha evitato di guardare le nostre mani congiunte sopra il tavolo. Sorseggiamo con calma le nostre bevande, volendo solo rilassarci per quel poco tempo al giorno che riusciamo ad avere libero. Finito di bere, andiamo verso l'autodromo, riuscendo finalmente ad essere noi stessi, senza doverci nascondere dietro a maschere alzate per salvare le nostre immagini. L'arrivo è veloce e fatto di leggerezza, venendo accolti dai soliti due che tengono d'occhio giorno e notte il luogo.
"Ben arrivati. La signorina Aceveds vi sta aspettando" afferma uno dei due, facendoci strada verso la donna dagli occhi verdi che ci aspetta con lo sguardo rivolto verso l'orizzonte.
"Amirah" la chiamo con un sospiro, non ancora pronta ad affrontarla dopo il suo sfogo. I suoi capelli corvini svolazzano con il vento, coprendole parte del volto mentre si gira a guardarmi con sguardo fatto di scuse. Non ha il tempo di aprire bocca per ricambiare il saluto, che veniamo interrotti; neanche cinque minuti che siamo arrivati, e le cose sembrano non voler andare per il verso giusto.
"Ci dispiace, ma l'auto è in ritardo di mezz'ora. Sarà qui per le venti" comunica il responsabile della pista, facendomi sapere dei piccoli ritardo che gli altri dipendenti hanno avuto in azienda. Annuisco semplicemente, troppo provata per dire qualcosa, lasciandoli tornare al loro lavoro, mentre con le mani incrociate dietro alla schiena mi incammino per la pista, volendo solo poter evitare un confronto con la corvina, ma il mondo e l'intero universo sembrano contro di me stasera.
Vengo raggiunta da Amirah, che rimanendo alla mia destra, non proferisce parola per qualche minuto, godendosi il panorama, rilasciando piccoli sospiri ogni volta che appoggia il piede per terra, spingendo in avanti per starmi dietro. Continuiamo a camminare in silenzio, fino a quando è lei la prima a dire qualcosa.
"Una parte di quello che ho detto..."
"Lo pensi veramente" concludo per lei, tentando ma invano, di non farmi ferire dalla sua ammissione. Non aggiunge altro, camminando accanto a me ad un passo cadenzato e leggero, lasciandosi cullare dal vento e dal sole che viene coperto dalle nuvole grigie e piano piano dal buio della notte. La pista completamente asciutta e per niente ghiacciata, grazie ai continui controlli e manutenzioni, ci conduce fino ad una curva. "Te lo chiedo un'altra volta Amirah...tutto questo ha senso?" mi fermo al lato della pista, costringendola a fare lo stesso. "Per quanto tu voglia lasciarti andare e stare con me, la tua mente non te lo permette. Non ti fidi di me, ritieni che sia colpevole di molte cose, perciò spiegami il senso di tutto questo?"
"Ho abbandonato molti miei obiettivi per poterti stare accanto. Sono andata contro la mia famiglia, ho affrontato le mie paure, forse a parole non ti ho mai dimostrato quanto io mi fida di te, ma con i fatti sì" afferma in un sussurro, così delicato e sommesso che faccio fatica a sentirla. "Ho tradito me stessa per te" ammette quasi addolorata. "Ho eliminato ogni sicurezza che avevo riguardo alla mia vita per una persona che in questo momento vuole solo liberarsi di me" continua, questa volta voltandosi a guardarmi.
"Ok" sussurro, tornando indietro senza aggiungere nient'altro.
Mi accorgo subito dei cancelli che vengono aperti e dell'auto che viene trasportata fino ai miei piedi. Afferro il casco che mi viene offerto gentilmente, allacciandolo sotto al mento con destrezza, non avendo per niente voglia di cambiarmi e mettermi la tuta; i vestiti che ho addosso dovrebbero bastare.
La prima a salire sul veicolo non sono io ma Amirah, che apparentemente disinvolta, si siede sul sedile del passeggero. La prima cosa che mi viene in mente è la voce di Gerald che mi dice di come sua figlia maggiore non sia mai salita in auto con qualcun altro alla guida che non fosse suo padre o lei, la seconda cosa che si impossessa della mia mente è la sua espressione sconvolta alla mia confessione e l'ultima è il volto di Amirah e la sua voglia di fidarsi di me. In quel momento, mentre metto piede nel veicolo, mi rendo conto di non aver mai condiviso il mio passato con lei.
Raggiungo lentamente la linea di partenza innestando la marcia, pronta a partire quando la bandiera scende indicando il via. Con il piede sull'acceleratore, una mano sul volante e l'altra sulla marcia, parto con dei movimenti veloci, passando in men che non si dica dalla prima alla terza.
"Non ho ucciso io Noah" confesso prendendo una curva ad una velocità alta, mettendo alla prova la sua aerodinamica. Una buona auto non si fa sconfiggere da niente. La pista è abbastanza lunga, ma quando si viaggia ai limiti dei trecento all'ora, niente lo è più.
"Lo so. So anche che quando me lo hai detto in ospedale lo hai fatto per provocarmi" esclama con voce ferma, completamente rilassata sul sedile. "Solo perché non ho più paura quando guidi, non vuol dire che puoi permetterti distrazioni. Guarda avanti" afferma subito dopo, spostandomi il volto con due dita, facendomi sorridere.
"Lo amavo all'inizio" confesso senza diminuire la velocità, toccando con le ruote posteriori i cordoli laterali, perdendo il controllo di una parte del veicolo. "Fino a quando sua madre non ha tradito suo padre e l'ha perso per colpa di un cancro. Forse prima vorresti sapere come sono finita a sposare un uomo come lui. È semplice, i miei genitori mi hanno venduta a lui per saldare un debito" ammetto frenando bruscamente per evitare di uscire dalla pista, portando l'auto a derapare. "Con i soldi che gli hanno dato si sono probabilmente comprati la droga che tanto amavano. Comunque, tornando al discorso di prima, quando Noah ha preso in mano l'azienda che ora è mia, tutto è andato a rotoli. Tornava a casa ubriaco, mi picchiava e poi usciva nuovamente, un ciclo senza fine" non se mi stia ascoltando o no, ma continuo comunque a parlare. "Uno sparo in testa, ecco come è morto" a quella frase sussulta e le si blocca il respiro. "So anche dove si trova il corpo...ma questa è una cosa che non posso dirti" sussurro "Come non posso dirti chi l'abbia fatto fuori"
"Non lo voglio sapere" ammette, rilasciando un sospiro. "Sapere che non sei stata tu mi basta...basterà anche ai miei genitori"

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