CAPITOLO 21

227 7 0
                                    

Le vacanze si avvicinarono più in fretta del previsto. L’auto è finalmente in vendita e tutto sembra andare come previsto. Le vendite sono alle stelle, e i compratori sembrano soddisfatti. Certo non siamo ancora ai livelli delle altre auto, ma ci stiamo per arrivare. Ancora qualche modifica e saremo tra le aziende automobilistiche più apprezzate, si spera poco dopo i Forbes. La collaborazione instaurata con loro, beneficerà le vendite, i guadagni aumenteranno, e magari così anche gli stipendi dei miei dipendenti e il reddito dei miei soci, tra di loro in particolare Amirah che è partita qualche giorno fa per raggiungere i suoi genitori; le ho dato la possibilità di lasciare il lavoro con qualche giorno di anticipo, dopo che mi ha confessato di non vederli da più di un anno.
Il primo messaggio da parte di Amirah dopo una settimana che non ci vediamo o sentiamo è semplice e diretto al punto.
“Per capodanno torno a New York, festeggiamo insieme?”
“Non credo i tuoi genitori apprezzeranno” le scrivo con un sorriso amaro sulle labbra.
“Sanno che c’è una persona che mi aspetta, a loro non dispiace. Tra l’altro hai ottenuto la loro simpatia permettendomi di raggiungerli prima del previsto; anche se non avresti dovuto prenderti carico dei miei problemi” deglutisco ansiosa dell’idea che qualcuno al di fuori di noi due, Melissa, Hana e Diana sappia della nostra “relazione”.
“Allora ci vediamo il 31 signorina Aceveds” rispondo in fretta, non volendo lasciarla troppo a lungo ad aspettare.
“Con gran piacere signora Tanner”
Lemme lemme, esco dall’ufficio, trovando il signor Forbes e Melissa intenti a sollazzare spensierati. La mia segretaria non appena si accorge della mia presenza, si allontana dal giovane uomo, tossendo a disagio. Un connubio di emozioni mi attraversano, rimanendo comunque indenne da pensieri negativi e intrusivi, per niente intenta a fare conclusioni affrettate.
“Miray! Posso chiamarti così?” esclama sorridente Kayden. Stringo le labbra in una linea sottile, annuendo lentamente, non potendo fare a meno di acconsentire; siamo ormai legati da un contratto.
“Bene, sono venuto qui per invitarti personalmente a cena stasera, così possiamo conoscerci un po’ meglio” Melissa si irrigidisce, facendo qualche passo per avvicinarsi. Alzo la mano, facendole cenno di fermarsi.
“Si, prima però dobbiamo parlare” sempre sorridente, come se ci fosse qualcosa per cui essere felici al momento, saluta la mia segretaria con un leggero inchino, passandomi accanto ed entrando in ufficio. Volgo lo sguardo verso una Melissa arrossita, prendendo un respiro profondo.
“Mel…” la richiamo cautamente. La donna in questione deglutisce rumorosamente, abbassando lo sguardo vergognata. Mi avvicino, stringendola tra le mie braccia. “Va tutto bene”
“Starò alla larga” rilascio un sospiro alle sue parole, annuendo afflitta.
“Ne usciremo prima o poi…devo anche risolvere la questione con Amirah” appoggiata con la guancia sul suo capo, chiudo gli occhi permettendo al mio corpo di rilassarsi per qualche secondo.
“Vai, ti sta aspettando” ci stacchiamo, riprendendo i nostri rispettivi compiti.
Trovo Kayden seduto con un bicchiere di whisky in mano che contempla il panorama.
“Probabilmente l’ho già detto, ma c’è davvero una bella vista da qua su” dice senza spostare lo sguardo dai grattacieli che si innalzano tutti attorno.
“Non ti preoccupare, l’avrai anche tu prima o poi” pronunciare quella frase si dimostra essere una fatica disumana. Chi avrebbe mai detto che avrei condiviso il piano dedicato solo a me e alle riunioni, con un’altra persona.
“Mi stai dicendo che avrò un ufficio accanto al tuo?” il luccichio nei suoi occhi riflette la felicità che prova dentro di sé.
“Quando avremo finalizzato il tutto, si” rispondo prendendo un bicchiere con la stessa bevanda alcolica che Kayden stava sorseggiando poco fa, sedendomi di fronte a lui.
“Nella mia azienda c’è già un ufficio accanto al mio pronto per essere occupato da te; non vedo l’ora di poter lavorare insieme” dice voltandosi verso di me con sguardo curioso. “Comunque, di cosa volevi parlarmi?”
“Andrò dritta al punto; ho bisogno del tuo denaro e della tua influenza. Pensavo di modificare l’auto creata con Amirah, una nuova versione se così vogliamo dire, con lo scopo di portarla in pista a gareggiare” chiarisco non appena l’espressione del suo volto muta.
“Amirah?” corrugo la fronte non capendo come faccia a conoscere il nome della donna dagli occhi verdi, rendendomi conto poco dopo di essere stata io a dirglielo.
“Intendevo la signorina Aceveds” ribadisco correggendomi. Se inizia ad avere qualche dubbio riguardo al rapporto che ho con lei, non lo dà a vedere, anzi, si appoggia allo schienale della schiena più a suo agio di qualche attimo fa.
“Qualsiasi cosa desideri fare Miray” dice con un sorriso che pare sincero. Non abituata a tanta gentilezza da parte di uomini che non conosco pienamente, rabbrividisco sentendo addosso una sensazione di inquietudine.
“Ovviamente prima ne parlerò con la signorina Aceveds e chi ha collaborato a questo progetto, ma non credo saranno contrari”
“Perfetto, quando avrai intenzione di iniziare, fammi sapere” risponde, facendo per alzarsi.
“Non ho finito” sibilo a denti stretti. Kayden si irrigidisce subito, risedendosi. “Il nostro è un rapporto strettamente professionale, ciò che succede qui dentro e fuori davanti al pubblico e giornalisti, non fa parte della nostra vera vita, sono stata chiara?” sussurro con gli occhi puntati su di lui “Questo contratto non ci limita in alcun modo”
“Su questo siamo d’accordo Miray, non ti devi preoccupare” esclama serio per la prima volta da quando ci siamo incontrati.
“Perfetto. Visto che sei qui, penso sia opportuno farti fare un giro dell’azienda” con lui al seguito, mi avvicino alla scrivania dove è seduta Melissa. “Verrai accompagnato da lei” dico attirando l’attenzione della diretta interessata, che con occhi sgranati cerca di capire cosa stia succedendo. “Mostra a al signor Forbes l’azienda per favore, io devo andare all’autodromo” comunico “Kayden, quando hai finito qui, raggiungimi”
Con quest’ultima richiesta, mi allontano.
                                                                                      ***
Seduta sugli spalti con lo sguardo rivolto verso l’alto, mi godo l’aria fredda d’inverno che soffia sul volto. Il gelido si insinua nelle mie ossa, quasi cristallizzandole, come cercando di conservare qualcosa di prezioso e irrinunciabile; una sciocchezza.
Una farfalla mi passa improvvisamente davanti agli occhi, rossa come il fuoco, inseguita da una completamente bianca. Alla sua vista batto due dita sul polso, un’abitudine che non riesco a togliermi da quando ho visto un signore fare la medesima cosa; a sua detta, porta fortuna.
Le due si inseguono, cambiando in continuazione traiettoria, nascondendosi dietro ai pilastri, cercando i pochi raggi di sole che sbucano dalle nuvole, tagliando per gli alberi per poi finalmente unirsi. Le ali che battono forti, tanto da poter sentire l’aria muoversi se si riuscisse ad avvicinare la mano. Il muschio sotto a loro infatti, compie movimenti impercettibili, si muove, si ferma e poi ricomincia, incantato dalla loro bellezza. Dopo essersi amati, si staccano, ognuno prendendo la propria strada, ma non senza prima fermarsi sulle mie spalle, svolazzando via non appena percepiscono qualcuno avvicinarsi.
“Hai il passo pesante” dico senza girarmi a guardare chi sia.
“Sono maldestro, lo so” risponde sedendosi accanto a me senza dire più niente.
Accavallo le gambe sospirando, consapevole di dover prima o poi aprire l’argomento.
“Kayden…” non appena sente il suo nome, si gira con un espressione neutra, non dando niente a vedere. “Non ci conosciamo, ma sai molto di me, forse anche cose che non avresti mai voluto venire a sapere” sussurro mordendomi il labbro, cercando con lo sguardo le due farfalle di prima per trovare conforto in loro. Non dovrebbero essere fuori in questo periodo...ma forse hanno capito che per stare insieme lo devono fare quando non ci sono altri attorno per dividerli. “Ringrazia tua mamma per questo” sussurro adocchiando quella rossa intenta ad avvicinarsi ad un fiore. Cauta si appoggia su di esso, dondolando sotto il suo stesso peso. Sfortunatamente il gambo non regge, costringendola a spostarsi su un altro fiore più robusto, lasciando l’altro al suo misero destino.
“Miray, non voglio che tu pensi che questo cambierà qualcosa, mi madre mi ha spiegato tutto” dice girandosi a guardare il mio profilo “Per quanto possa esserti d’aiuto, sappi che io sono dalla tua parte” sussurra alzando la mano come per toccarmi, tuttavia si ferma in tempo, riponendola in tasca.
“Perché sei così gentile Kayden?” chiedo non capendo il motivo di tanto rispetto e tanta gentilezza nei confronti di una persona che non conosce minimamente.
“Perché per quanto possa sembrare strano, ti conosco. Ogni momento della tua vita, non per mia volontà, è qui” si tocca la tempia “I tuoi genitori, vivere con quel bastardo, sopportare quello che ti faceva, la sua morte, le difficoltà affrontate quando ti sei trovata completamente sola, conoscere mia mamma e poi prendere le redini della tua vita in mano” esclama sincero.
“Anche come è morto?” alla mia domanda Kayden annuisce.
“Anche quello” il sorriso fino ad adesso assente, ora occupa un quarto del suo volto. “Neanche a me convince più tanto come cosa, ma siamo un tutt’uno adesso”
“Non ti sopporto quando le tue labbra prendono quella forma strana che hanno adesso” le mie parole sembrano portarlo a sorridere ancora di più.
“Che c’è, mai provata questa sensazione di felicità prima d’ora?” ancora prima che possa rispondere, mi interrompe “Dovresti provarci qualche volta, magari così riusciresti a trovarti qualcuno”
“Con quello che succederà d’ora in poi, non credo qualcuno vorrà stare con una donna incasinata come me” sentendo le mie parole, mi rivolge un sorriso sghembo, decisamente peggio di quello di prima.
“Neanche Amirah?” per la prima volta dopo anni, arrossisco davanti ad un uomo.
“Stai zitto” sibilo, ma data la strana confidenza che ci siamo presi, sembra non preoccuparsi del mio tono.
Se prima il cielo era privo di colori a causa della nebbia, ora si dipinge di arancio, onorando la discesa del sole che si prepara ad illuminare il resto del mondo, tirando fuori dagli abissi, quegli animi imprigionati per ore nei loro stessi incubi, lasciando spazio alla luna di torturare a suo piacimento chi si trova ad illuminare; un buon compromesso tra i due, che si danno spazio e libera scelta di sfogare le proprie emozioni come più gli pare e piace. Chi salvando e chi annegando.
“Va bene se andiamo a cena così come siamo vestiti adesso?” Kayden si alza in piedi porgendomi la mano.
“Stai benissimo così Miray”
La serata passo veloce, in un ristorante lussuoso, ma al contempo minimale; nessuno che ti guardava, niente camerieri che giravano imperterriti attorno ai tavoli e niente lampadari che ti potevano cadere in testa da un momento all’altro.
Seduta di fronte al giovane Forbes, incomincia a rivalutare l’opinione che in questi giorni ho avuto nei suoi confronti. Per tutta sera rimasi a bocca aperta di fronte alla sua premura e dettagliata attenzione a ciò che provavo; un amico che avrei tanto voluto avere accanto a me sin da piccola.
                                                                                       ***
“I due passano l’intera giornata insieme, sta nascendo qualcosa? Più affiatati che mai” legge il titolo del giornale con una foto di me e Kayden intenti ad entrare in auto. Il suo braccio è attorno ai miei fianchi nel tentativo di aiutarmi a mantenere l’equilibrio, mentre entrambi ridiamo di una pessima battuta pronunciata da lui. Lo scambio di sguardi fra noi due, è totalmente fraintendibile e sono sicura che in questo momento una persona, se non anche due, non la stanno prendendo molto bene.
“Direi che stiamo partendo ala grande!” il messaggio di Kayden mi porta a ridere mentre sorseggio il caffè nella tazza di porcellana.
“C’è chi non la pensa così” rispondo, appoggiando la tazza sul tavolo, prendendo una delle tante brioche che ho di fronte.
“Arisa, che facciamo oggi?” domando addentando la mia colazione. La donna in questione si volta lentamente verso di me, non sapendo cosa rispondere.
“Non devi andare a lavoro?”
“Ho deciso di prendermi qualche giorno di vacanza. Visto che domani partite, pensavo di passare un po’ di tempo con voi oggi” dico pulendomi la bocca, facendo cadere le briciole sul piattino. “Se volete stare soli pos-“
“No! Ci piacerebbe stare un po’ con te…ci sei mancata” esclama frettolosamente, non per mettendomi di completare la frase.
“Vado ad avvertire Jeffrey!” dice estasiata dall’idea di poter uscire tutti e tre insieme. Non appena scompare dietro l’angolo, risuona alle mie orecchie il rumore delle ciabatte che sbattono veloci sulle scalinate. Aspettando che Arisa torni in cucina con Jeffrey, decido di chiamare Amirah e capire se ha letto le testate giornalistiche di stamattina. Il telefono squilla a vuoto. Riprovo un’altra volta a cercare di raggiungerla, ma senza successo. Il rumore del telefono che segnala la mancata risposta, risuona come un eco nell’ampia stanza.
“Amirah, chiamami quando sei libera”
Bevo il restante caffè, alzandomi dalla sedia e appoggiando le stoviglie nel lavandino. Delle braccia che riconosco subito essere quelle di Jeffrey mi circondano il busto tirandomi su. Il piedi penzolano mentre i capelli legati malamente si muovono insieme al mio copro e a quello di Jeffrey che incomincia a girare.
“Ci sei mancata tantissimo!” esclama entusiasta ridendo.
“Mettimi giù!” urlo cercando di trattenermi dall’unirmi alla sua risata, cosa che ad Arisa sembra non importare. La loro felicità rimbomba nella casa, con me ancora tra le braccia dell’uomo più importante della mia vita.
“Dove andiamo” domando dopo essere finalmente con i piedi per terra. I due scrollano le spalle, orami troppo felici per pensare a cosa fare. “Siamo a Manhattan, ci sarà qualcosa che vorreste provare”
“Paintabll!” la proposta arriva da parte di Arisa, che si aggrappa a suo marito per convincerlo. Jeffrey dopo tante suppliche cede, annuendo anche se per niente convinto.
“Se torno a casa con degli ematomi è colpa tua” brontola incrociando le braccia al petto.
“Smettila di lamentarti, vedrai che ci divertiremo”
Ci prepariamo tutti e tre uscendo di casa qualche minuto dopo, pronti a raggiungere la nostra destinazione.
Il campo si trova a un’ora di distanza, in un’area lontana dai soliti grattacieli per permettere ai clienti di ambientarsi senza distrazioni. Arriviamo in tempo per vedere altri entrare prima di noi.
“Sappiate che noi tre siamo in squadra insieme” sussurro guardando con diffidenza le persone che hanno appena varcato le porte. “E soprattutto, non ho intenzione di perdere” commento rivolta verso Jeffrey che si gratta il capo con imbarazzo.
“Sei sacrificabile amore mio…quindi renditi utile” sussurra Arisa mentre entriamo. Ci vengono consegnati gli abiti necessari ad attutire i colpi. Un giubbotto ben imbottito, guanti per combattere il freddo, ginocchiere e gomitiere, il tutto con un casco. L’arma è l’ultima che ci viene consegnata, dopo aver perso un quarto d’ora ad ascoltare l’istruttore spiegare come usarla.
Veniamo suddivisi in squadre, cinque contro cinque. Al nostro gruppo vengono aggiunte due persone, un uomo e una donna alquanto giovani e apparentemente sicuri di sé. Uno con i capelli lunghi e neri come la cenere, l’altra con i capelli corti e mori, legati in un chignon.
“È la vostra prima volta qui?” domanda il ragazzo, controllando i proiettili, mentre la ragazza si guarda attorno studiando la disposizione delle barriere.
“Da cosa si capisce?” il ragazzo indica Jeffrey dietro di me, che non riesce a mettersi il casco come dovrebbe, incespicando nei suoi stessi movimenti.
“Qualcuno mi può dare una mano?” chiede innervosito quest’ultimo, accorgendosi che tutti lo stiamo guardando. A correre in suo soccorso è la ragazza, che gli mostra come fare.
Sopra di noi degli altoparlanti iniziano a contare all’indietro, segnando l’inizio dei giochi.
“Voi due con me, tu invece vai con lei, cerchiamo di circondarli” comanda autorevole il ragazzo di cui ancora non conosco il nome. Consapevole di non essere competente in questo ambito, obbedisco senza proferire parola, seguendo la ragazza.
Ci appoggiamo con la spalla su una delle barriere, schiena contro schiena a controllare che nessuno si avvicini di soppiatto. Il silenzio del campo viene spezzato da un grugnito infastidito, e poi da un urlo di gioia; Jeffrey.
“Andiamo” sussurra la mora accanto a me, aggirando un ostacolo e fermandosi a qualche metro più indietro di me. Inesperta, non mi accorgo di essere allo scoperto e nel mirino di uno degli avversari. La ragazza accorgendosi della situazione troppo tardi, non trova il tempo per alzare l’arma e sparare, perciò decide di azzardare e correre verso di me. Mi ritrovo per terra con lei addosso, ancora intetta a controllare i dintorni. Abbassa lo sguardo solo dopo essersi assicurata che nessuno ci stia avvicinando.
“Ember” dalla maschera riesco a vedere solo i suoi occhi, ma sono sicura che in questo momento stia sorridendo. Si alza improvvisamente mettendosi a cavalcioni su di me, appoggiando il calcio dell’arma sulla spalla e sparando. Il rinculo la porta ad andare indietro con il corpo, costringendola a stringere con le cosce i miei fianchi, per muovere poi il bacino in avanti per riposizionarsi. Cercando di ignorare quello che è appena accaduto, allungo il collo trovando un uomo con le mani ai fianchi in preda alla frustrazione.
“Niente distrazioni…” la domanda indiretta che mi pone, mi porta a indirizzare nuovamente gli occhi verso di lei, che mi osserva incuriosita.
“Miray”
Stufa di sentire il suo corpo premere sul mio, appoggia l’arma sul suo petto, allontanandola.
Il gioco continua con lei che mi salva il culo in continuazione, trovandoci troppo spesso attaccate l’una all’altra, tanto che in un certo momento l’ho anche minacciata di farla uscire dalla competizione. Seguendo le tracce lasciate sulla sabbia, riusciamo ad eliminare i restanti avversari.
“E voi che pensavate non sarei riuscito a fare niente” commenta Jeffrey gonfiando il petto fiero di sé stesso. “Ne ho fatti fuori due” continua togliendosi il casco.
Arisa sbuffa, cercando di togliere il colore che le ricopre la veste. “La prima volta ci sei riuscito perché mi sono sacrificata per te” borbotta guardandolo male sui marito che arrossisce timidamente.
I dirigenti del campo ci si avvicinano, consegnandoci delle magliette personalizzate, allontanandosi con un “Siete stati fenomenali”
Una notifica dal telefono mi porta a distogliere l’attenzione dagli altri. Pensando sia Amirah, passo la t-shirt a Jeffrey, accendendo lo schermo speranzosa. Cosa mi trovo davanti tuttavia, non è ciò che mi aspettavo.
“Dopo Kayden Forbes, Miray Tanner si trova con una donna misteriosa, triangolo amoroso?”
Leggendo l’articolo online, sbuffo infastidita dalle continue supposizioni sulla mia vita privata. La foto postata ritirare Ember poco dopo avermi “salvata” dal nemico.
Lascio perdere l’articolo, controllando il messaggio mandato ad Amirah, accorgendomi che è stato letto.
“Per quanto hai intenzione di ignorarmi?”
“Fino a quando avrai finito di andare in giro a spassartela con Kayden e quella donna” la risposta di Amirah arriva dopo qualche secondo, come se per tutto questo tempo fosse rimasta al telefono aspettando un mio messaggio.
Dopo tre squilli risponde, rimanendo comunque in religioso silenzio.
“Non comportarti in questo modo Amirah, non siamo delle bambine in preda ai capricci”
Cerco di isolarmi il più possibile dai quattro ancora intenti a chiacchierare, non volendo interruzioni di nessun genere.
“Non mi sto comportando in alcun modo Miray, sei libera di fare quel cavolo che ti pare. Dopotutto quello che abbiamo fatto è stata solo una scopata e niente di più” cerca di suonare neutrale, ma percepisco comunque la rabbia che prova. Non solo il suo tono di voce è decisamente più basso del solito, ma anche il suo respiro è più veloce.
“Sai che non è così…”
“Ah si? E da cosa lo so?” cerca rassicurazioni, probabilmente non ancora sicura di quello che c’è tra di noi.
“Non festeggio mai l’ultimo dell’anno con altre persone” ammetto guardando per terra.
“Non vuol dire niente Miray” sospira esausta.
“OK, I-o… n-non ho mai permesso a qualcuno di toccarmi come hai fatto tu l’altro giorno…” confesso timidamente, stringendo con forza il telefono appoggiato all’orecchio. Che cazzo sto facendo?
“Cos-“
“Miray” urla Ember, interrompendo la donna con cui sto parlando.
“Lascia perdere…” sussurra Amirah con voce strozzata, chiudendo la telefonata.
“Fanculo…” sussurro appoggiando la fronte sul muro freddo e giallastro. “Fanculo!” sbotto mandandole un altro messaggio, mentre Ember si avvicina.
“Dobbiamo parlare”
“Che a te piaccia o no, lo faremo” chiudo il telefono, ignorando completamente la donna che si stava avvicinando, afferrando per un braccio Arisa.
“Mi dispiace interrompere, ma devo tornare a casa” dico alle due persone con cui sono venuta. Arisa annuisce capendo che c’è qualcuno che mi turba, tirando per un dito Jeffrey che inciampa nei suoi passi preso alla sprovvista.
“Ci dispiace, non possiamo fermarci” urla da dietro alle spalle Jeffrey, salutando con un cenno della mano Ember e il ragazzo di cui non so il nome. “Che succede? Stai bene?” appena fuori dal loro campo visivo, Jeffrey non risparmia le domande. Mentre ci avviciniamo all’auto, racconto ai due la discussione avuta poco fa.
“Dovresti raggiungerla” esclama Jeffrey, ricevendo l’immediato supporto di Arisa.
“Non credo sia opportuno” sussurro indecisa sul da farsi.
                                                                                         ***
Da quella telefonata rimasta a metà, i giorni passarono lenti e bui. Non posso dire di non esserne abituata, ma dopo l’arrivo di Amirah la mia vita è completamente cambiata. Il buio con lei accanto non mi dispiace, la luce è sempre più splendente, i sorrisi più veri che mai e gli sguardi più profondi della tristezza che ho provato per tutta la mia vita.
Ciononostante, ho deciso di non andare da lei. Domani dovrebbe ritornare, dovremmo rivederci dopo due settimane intere che non ci vediamo e tocchiamo e soprattutto una settimana che non ci sentiamo.
La vita a New York va avanti senza interruzioni. Manhattan è sempre movimentata, un afflusso di emozioni interminabili, che scorrono nelle auto e nei cuori dei suoi cittadini come ombre. Tutti reduci dalle vacanze, sono pieni di sorrisi e complimenti, apparentemente felici e spensierati. Le cose non sembrano cambiare quando entro in azienda, sia fuori per le strade che dentro per i corridoi, la felicità sprizza da tutti i pori. Un esuberanza mai vista si propaga lentamente in tutti gli angoli dell’edificio, riuscendo quasi ad influenzare il mio umore. Melissa a differenza mia, sembra essersi lasciata andare tra le dolci braccia di queste emozioni, accogliendomi con un sorriso sornione, decisamente troppo esagerato per i miei gusti.
Kayden dopo il pomeriggio e la sera passati insieme, non si è fatto vedere per un po’. Lo intravedevo girare per le diverse sale riunioni, rivolgendomi un sorriso per poi scomparire all’improvviso, volatizzandosi come se non avesse mai messo piede all’interno dell’edificio.
“Torna?” persa nei miei pensieri, sento la voce di Melissa molto più lontana di quanto non lo sia davvero, battendo ripetutamente le ciglia per riprendermi.
“Perché non dovrebbe?” rispondo, avendo già capito di chi sta parlando. È vero che Amirah è una testa dura, ma questo non vuol dire che a causa di quella piccola discussione, non tornerà a New York.
Come ormai succedeva da una settimana, anche questa giornata passò veloce e noiosa per me, ma lenta e piena di gioia per tutti quelli che avevo attorno.
Il giorno successivo giunse calmo e privo di problematiche. Erano le otto quando mi svegliai, pronta a vestirmi per andare in aeroporto ad accoglierà. Amirah sarebbe arrivata in due ore, e fu così che mi ritrovai a fare colazione in fretta e furia, raggiungendo il luogo d’atterraggio dell’aereo in tempo per il suo arrivo.
Un via vai di persone che escono ed entrano sono di intralcio ai miei movimenti, tanto che ad ogni passo in avanti, vengo spinta all’indietro di un paio. Trovo l’uscita aeroportuale, sedendomi su una delle sedie ad attendere. L’enorme schermo indica gli orari di arrivo dei diversi aerei, insieme ai ritardi di ognuno di essi. Quello d’arrivo da Miami fortunatamente è in orario, dovendo così aspettare solo mezz’ora. I minuti passano veloci, tra l’andare a pendere una bottiglia d’acqua e il continuo chiacchierare delle persone che ho attorno. Mezz’ora, quaranta minuti, un’ora, e finalmente le persone iniziano ad uscire. C’è chi abbraccia i propri cari, chi cerca con lo sguardo amici, trovandoli poco più in là e poi ci sono io, ormai in piedi da dieci minuti che cammino avanti e indietro aspettandola. Piano piano tutti se ne vanno, lasciandomi sola ad aspettare chi non vuole essere trovato.
Mi avvicino ad un polaria che fortunatamente non sta lavorando nell’immediato.
“Salve, per caso sa dirmi se tutti i passeggeri provenienti da Miami siano già scesi?” l’uomo annuisce, volgendomi le spalle è tornando a parlare con il suo collega.
“Amirah, dove sei?” il messaggio viene letto, ma senza alcuna risposta da parte sua.
“Avevi ragione Mel…non è tornata” questa volta ricevo una risposta. Tutto tempo perso per una donna che non vuole niente da me, solo soldi e fama.
“Sta facendo questo perché è insicura”
Digrigno i denti consapevole che Melissa ha ragione, ma non riesco ad accettarlo. Cos’altro vuole che le dimostri? Niente di tutto quello che le ho dato è abbastanza? Sto con lei, le dò la possibilità di avvicinarsi più degli altri agli affari interni dell’azienda, non abbiamo un rapporto professionale come dovrebbe essere, mi mostro vulnerabile ai suoi occhi e lei ancora non si fida. Prima che tutto questo andasse oltre, lei sapeva che non avrei mai dato un nome alla relazione.
“Ho bisogno che il jet sia pronto al più presto” comunico al telefono al pilota.
“Signora, non sarà pronto entro domattina, stanno effettuando delle riparazioni al motore”
“Non c’è modo di affrettare i lavori?”
“No signora, ma anche se fosse possibile, ci sarebbero da effettuare dei voli di prova prima di poter viaggiare, quindi non potremmo partire prima di stasera” lo ringrazio spegnendo la chiamata, avviandomi verso uno degli addetti al check-in.
“Un biglietto per Miami per favore” la signora controlla sul computer per qualche secondo prima di rispondere.
“Ne è rimasto solo uno economico per una compagnia aerea che parte tra due ore” acquisto velocemente il biglietto, senza soffermarmi a lamentarmi della classe.
Altre due ore di attesa. Due ore fatte di silenzio, rumore e ancora silenzio. Fatto di chiamate e notifiche a non finire.
“CEO Miray Tanner, aspetta qualcuno all’aeroporto?”
Articoli e ancora altri articoli su di me, con foto e video come prova della mia presenza in un luogo dove non sono stata mai vista prima d’ora.
Tra il girare per l’aeroporto annoiata, al bere e all’andare alla ricerca di cibo, arriva finalmente il momento di partire.

Who wins? (girlxgirl) Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora