Trigger warning
Due mesi passarono troppo lentamente, una barca alla deriva che strenuamente è riuscita a trovare la via del ritorno. Una barca senza vela che ha dovuto remare fino alla sponda, una sponda lontana chilometri e non visibile allo sguardo umano, una sponda che si è dimostrata essere peggiore del mare in tempesta, peggiore della sete e della fame, peggiore della paura di essere inghiottiti dalle onde scure che si innalzano la notte.
Due mesi in cui sia io e soprattutto Amirah abbiamo fatto di tutto per ignorarci. Se c’erano riunioni a cui tutte e due dovevamo partecipare, mandava uno dei suoi dipendenti a prenderne parte, lo faceva talmente tante volte che ogni volta che vedevo qualcuno entrare che non fosse lei lo cacciavo, sperando ogni volta che alla prossima venisse lei, ma non accadeva mai. Sembrava quasi che avesse molti dipendenti pronti a sacrificarsi per lei, nonostante tutti sapessero che una volta varcata la soglia, sarebbero stati rimandati indietro con veemenza ed una rabbia che sembrava crescere ogni giorno di più, fino a quando non sono stata costretta a mandare Melissa da lei. Se non poteva affrontarmi quando c’era bisogno di lei per poter portare a fine un progetto, potevo continuare a considerarla una socia affidabile ed indispensabile? Dopo qualche piccola minaccia da parte della mia segretaria, le cose cambiarono leggermente. Iniziai a vederla sempre più girare per i corridoi della mia azienda, alle ultime riunioni partecipava, anche se contribuiva poco, se non niente alle discussioni, limitandosi ad annuire quando era d’accordo e a scuotere ma testa in dissenso quando non lo era. Non appena le riunioni finivano, era sempre la prima a fondarsi fuori dalle porte in vetro, prendendo l’ascensore senza mai girarsi una volta a guardarmi, neanche quando le porte ci mettevamo più del dovuto a chiudersi ed inghiottirla. Oltre a quelle riunioni che cercavo di fare il più possibile solo con l’intento di poterla vedere ed assicurarmi che stesse bene, non la vidi più di tanto. Qualche volta riuscivo a beccarla mentre entrava in auto, altre volte mentre parlava e sorrideva raggiante con altre persone, ed era sempre lì che iniziavo ad agitarmi. Solo il pensiero che Amirah potesse mai dare a una di quelle donne e quei uomini con cui la vedevo chiacchierare, la possibilità di vedere e toccare il suo corpo nudo, mi faceva rabbrividire così tanto che ero sempre costretta a rientrare in azienda da Melissa. Solo una volta accanto alla donna che mi ha cresciuta, ricordavo a me stessa di non aver più il diritto di ficcare il naso nella sua vita privata. Le mattine successive con quella consapevolezza in mente, quando la guardavo non potevo fare a meno di studiare ogni suo minimo movimento e cambiamento, cercando di capire se davvero ci fosse già qualcuno nella sua vita, ritornando però la sera a sentire una sensazione di nausea presente solo quando non la vedevo andarsene sola; un circolo senza fine. Non era mai molto più diversa dall’ultima sera, lo sguardo, ogni giorno che passava diventava sempre più duro e freddo, preda di una determinazione vista in lei solo i primi mesi in cui abbiamo iniziato a lavorare insieme, che poi si era piano piano sciolto in uno sguardo più dolce e rassicurante. Il trucco era più pesante, ed ogni volta che la guardavo potevo solo pensare che quel cambiamento fosse dovuto alla necessità di nascondere le borse sotto gli occhi.
Anche adesso, seduta sulle panche della chiesa, non cambia minimamente espressione con gli occhi contornati da un nero troppo pesante per il colore che le appartiene. Mandibola rigida, sguardo tagliente e puntato fisso su di me, seguendo ogni mio minimo movimento, neanche un cenno di emozioni contrastanti nelle sue iridi verdi, sembra…vuota e senza anima. Rebeka seduta accanto a lei, sembra essere l’unica persona in grado di farla sorridere, anche se di poco. La mia piccola sorellina è l’unica che può ancora starle accanto, come se la sua presenza non le ricordasse minimamente di me. Una bambina che ormai da due mesi passa ogni notte a dormire a casa mia, tornando dai suoi genitori solo qualche volta la mattina per salutarli. Stranamente, forse perché neanche a loro importa molto di lei, la lasciano uscire senza problemi, limitandosi da quello che mi dice, ad un “Non diventare come lei” per poi entrambi uscire ed andare chissà dove, o meglio, andare alle loro solite feste. Non ho potuto fare a meno, dopo la sentenza emessa dal giudice, di chiedere all’investigatore tenuto nascosto da tutti di controllare ogni loro singola mossa. Le loro giornate? L’uomo si diverte ad andare in giro a scoparsi chiunque si conceda a lui, mentre la donna, troppo dipendente da suo marito, passa il suo tempo ad aspettarlo oppure ad uscire sola per le gioiellerie, spendendo quei soldi che sicuramente le sono stati dati da Joshua; una dipendenza meno nociva per rimpiazzare l’altra. Mi sono sentita in colpa una volta scoperto come vive? No…ormai non c’è più modo di poter tornare indietro, quello che è stato fatto è stato fatto, tutto quello che lei ora sta vivendo è poco rispetto a quello che lei ha fatto vivere a me. L’unica cosa che mi aspettavo da lei era un abbraccio…
Diana è stata molto più presente del solito il primo mese, troppo ferita dal comportamento della sua ragazza, così tanto che ogni volta mi diceva di non riuscire a guardarla negli occhi quando tornava a casa da lei, non riusciva a dormire nello stesso letto e far finta che in tribunale non ci fosse lei a difendere Joshua. Il secondo mese invece, le cose cambiarono drasticamente, se prima spendeva ogni momento libero a stare con me, iniziò ad ignorarmi, a scappare ogni volta che mi vedeva avvicinarmi a lei per dirle qualcosa. Mi guardava con occhi pieni di pentimento e paura…come se sapesse qualcosa di cui non ero a conoscenza. Deglutiva troppo spesso per non star nascondendo niente, mi implorava con lo sguardo di non parlarle e mi guardava addolorata. Inizialmente pensai fosse per il fatto che si sentisse in colpa perché non era riuscita a fermare Hana dal difendere Joshua, poi però, quando la vidi baciare la sua ragazza poco fuori dalla mia azienda, pensai subito fosse per il fatto che non volesse venissi a scoprire di come l’abbia perdonata, forse pensando che l’avrei accusata di aver tradito la mia fiducia. Da quel giorno in cui la vidi fra le braccia della sua amata, decisi di fare finta di niente e di lasciarle la possibilità di venire a dirmelo quando se la sente. Quel momento non è ancora arrivato, neanche ora che mi sto per sposare ed è seduta accanto a tutti gli altri, con Hana .
La chiesa in cui ci troviamo per celebrare il matrimonio tra me e Kayden è una delle più prestigiose e conosciute di Manhattan, una di quelle in cui solo qualcuno che paga profumatamente può venire a sposarsi. Con colonne possenti che mi circondano mentre cammino verso l’altare, anch’esso troppo grande per non poter rimanere a bocca aperta di fronte ad esso. Un’immensa croce torreggia sulle nostre teste, quasi ci stesse giudicando tutti per i peccati che abbiamo commesso. Le pareti sono tendenti ad un giallo simile all’oro, con attorno affreschi di ogni genere a rendere il tutto il più religioso e puro possibile per nascondere ciò che di losco c’è fra queste mura. Ai miei piedi fascisti da scarpe bianche con il tacco, un tappeto è stato srotolato fino ai piedi dell’altare, fino a dove Kayden mi aspetta con le mani incrociate di fronte a sé, anche lui impaziente di finire il prima possibile questa farsa per tornare fra le braccia di Melissa...braccia che a differenza di quelle di Amirah sono pronte ad accoglierlo. Tutti gli invitati sono seduti ai loro corrispettivi posti, mentre la musica d’accompagnamento suona per tutto l’edificio sacro. Con passo cadenzato mi avvicino sempre di più al giovane Forbes, sola e con in mano un bouquet di fiori colorati. Premo con i tacchi sul morbido tappeto rosso, cercando di immaginare altro di fronte, cercando di immagine che dall’altra parte ci sia qualcuno di diverso da Kayden. Non appena lo raggiungo, protrae il braccio fasciato da una giacca elegante verso di me. È sempre elegante, ma oggi lo è ancora di più. Un cravatta attorno al collo che gli stringe il collo sotto al colletto della camicia bianca che ha addosso. Dei pantaloni lunghi del medesimo colore della giacca, che all’interno della tasca ha un fazzoletto blu notte che completa il nero del suo abito.
Afferro la sua mano che stringe la mia in una morsa sicura e al contempo gentile. Mi posiziono di fronte a lui, mentre tiene entrambe le mie mani nelle sue, accarezzando con il pollice il dorso leggermente screpolate dal freddo. In queste lunghe settimane fatte di preparativi, di cui ovviamente si sono occupati Melissa, Arisa e Jeffrey, non ho trovato il tempo necessario per prendermi cura di me stessa, tanto che ora si può notare.
Il prete fra di noi si schiarisce la gola, aprendo la bibbia che ha in mano, leggendo un passaggio da lui scelto, mentre io, troppo persa per ascoltarlo, osservo il volto smunto di Amirah, che di profilo si limita a guardare il vestito che ho addosso. Classico come quelli che si vedono in ogni matrimonio, lungo fino alle caviglie, bianco e ricamato alla perfezione, fatto personalmente da chi Kayden ha affermato sia una delle stiliste più famose che conosce, senza però dirmi il nome.
Ferma a guardare il modo in cui l’uomo che ho di fronte evita a tutti i costi il mio sguardo e quello di Melissa, un connubio di emozioni iniziano a prendere posto nel mio cuore. Nessuno si alza quando viene chiesto se qualcuno è contrario alla nostra unione, nessuno neanche la bionda che in questo momento si sta asciugando una lacrima e la corvina che rimane impassibile. Giubilo il prete si rivolge a noi, ponendo la domanda che tanto volevo evitare di sentire.
“Vuoi tu, Miray Olivia Tanner Scott, sposare il qui presente Kayden Forbes?” il mondo sembra fermarsi, mentre sento quella frase riecheggiare senza sosta, accompagnato dai singhiozzi di Melissa che cerca di trattenersi. Concitato, colui che non è ancora mio marito, quasi sfila le mani dalle mie, volendo correre in contro alla sua ragazza, ma si ferma non appena si accorge di quello che sta inconsciamente facendo. Stringo le sue dita costringendolo a guardarmi. Due occhi lucidi mi supplicano di continuare, due labbra che dopo aver confermato la mia voglia di sposarlo, devo baciare per sigillare l’unione…
Presa da un brivido che astringe ogni mia altra reazione, lascio scivolare le mani via dalle sue, riconoscendo per un attimo la speranza negli occhi di Amirah che ora mi guardano, un’emozione che però scompare non appena si accorge del mio sguardo su di lei.
“No…” sussurro sommessamente. Le braccia mi cadono accanto ai fianchi, immobili e senza l’intenzione di toccate nuovamente Kayden, che prendendo un respiro profondo sospira sollevato sfregando i palmi con nervosismo. Selene, che non vedo più da quando le ho parlato l’ultima alla festa di compleanno di Manuel, sorride impercettibilmente, alzandosi ed uscendo dalla chiesa dopo avermi salutata con un cenno del capo. Il prete rimane fermo a guardarmi con la bocca aperta, mentre fa segno ad un uomo che ha accanto di andarsene con gli anelli che ha su un piccolo cuscino. “Non posso farti questo” mormoro senza spostare lo sguardo.
“Grazie.” esclama Kayden scendendo le poche scale che lo separano da Melissa, raggiungendola a grandi falcate stringendola fra le sue braccia.
“Non dicevo a te…” il volto si muove leggermente, un movimento talmente piccolo che a stento riesco a percepire. Le labbra permute l’una sull’altra in una linea dura, continuando a guardare davanti a sé come se non fossi neanche ad un passo da lei. Scendo anche io i gradini, cercando di avvicinarmi ad Amirah, ma ancora prima che possa farlo si alza camminando con passo veloce verso l’uscita. “Ti amo.” quelle parole escono dalle mie labbra troppo tardi, proprio quando le porte dell’edificio si chiudono dietro di lei. Il respiro mozzato, le lacrime che scendono copiose sulle mie guance…troppo tardi, sempre troppo tardi. Hana mi passa accanto con un cipiglio in fronte, forse non aspettandosi di sentirmi dire quelle parole, seguita da Diana che mi rivolge un sorriso debole.
Melissa mi abbraccia da dietro, appoggiando la guancia sulla mia spalla, bagnando il vestito con le sue lacrime, mentre stringo con la mano il petto sentendo il cuore battere troppo forte. Una delle due mani che mi stavano stringendo i fianchi, si poggia sulla mia come se volesse aiutarmi a tenere a bada i battiti irregolari.
“Fa male.” sussurro abbassando il capo. “Per quanto ancora devo soffrire?”
“Mi dispiace…mi dispiace così tanto per tutto.”
***
Fu qualche giorno dopo che finalmente capì il motivo di tanta infelicità. Intanto su tutti i telegiornali e giornali non si fece altro che parlare di come non ho sposato Kayden e di come lui sia corso fra le braccia di Melissa. Uno scandalo per molti. La dona vedova che non riesce a trovare l’amore…patetici.
Troppo presa a tenere d’occhio l’azienda i giornali ed Amirah che dopo il matrimonio continua ad ignorarmi, ci dimenticammo tutti di Joshua e della sua uscita dal carcere in qui è stato rinchiuso per due mesi. Un errore banale, una dimenticanza che non mi sarei dovuta permettere. Sapevo di starmi dimenticando di un punto fondamentale, sapevo che c’era qualcosa che non andava, ma troppo distratta da tutto quello che stava accadendo attorno a me, non diedi retta a quella sensazione che non smetteva di infastidirmi, non vi diedi retta fino a quando non fu troppo tardi per trovare una soluzione, fino a quando non ero già legata polsi e caviglie ad una sedia arrugginita avvolta dal buio e dal freddo, con addosso solo una camicia azzurra, troppo sottile per riscaldarmi. Non capì subito come fossi giunta a trovarmi in una situazione del genere, mi ci volle tempo per accorgermi del sangue che colava da una ferita alla tempia e al sopracciglio, fino a sporcarmi il mento e a coprirmi l’occhio destro, impedendomi di vedere attorno.
Troppo tardi per capire che ad avermi presa era Joshua, che camminava avanti ed indietro aspettando il mio risveglio. Anche se è passato pressoché poco, è cambiato completamente. La barba gli è cresciuta, rendendo il suo volto più maturo e duro di quanto lo fosse prima. Gli occhi infossati per il poco sonno che è riuscito a prendere, gli zigomi che sporgono in maniera eccessiva dal viso, spigolosi e accentuati da un colorito rosso che riconosco essere dovuto a pugni. Nonostante la stanchezza si possa notare su di lui, è sempre e comunque vestito come si deve, con un sorriso diabolico stampato sul volto.
“Bentornata… pronta per un’ultima chiacchierata?” chiede con un sorriso che dovrebbe sembrare genuino, ma che è totalmente falso e perfido. Giro il collo cercando di guardarmi alle spalle, non intravedendo neanche una porta, solo finestre bloccate sia da fuori e da dentro che non lasciano filtrare niente, se non solo qualche raggio di sole, troppo debole e lontano per riuscire ad illuminare l’interno. Grugnisco tornando lentamente con lo sguardo rivolto verso di lui, troppo stremata per fare altro. “Sarà divertente” la sua esclamazione è leggera, ma priva di felicità e contentezza.
“Davvero? Allora potresti s-slegarmi” gracchio, non riuscendo a parlare più di tanto. Tento di alzare una mano per capire la gravità della ferita, ma senza successo. La corda sfrega sulla pelle scoperta, tagliando ogni volta che mi dimeno.
“Oh no, no no, sarà divertente per me, non per te. Se fossi al tuo posto userei più la parola…agghiacciante” sussurra ad un passo dal mio volto. “Rinchiuso in quella cella per due mesi, ho avuto l’opportunità di scoprire molte cose. Per esempio come i punti deboli di una persona sono gli occhi – sfiora il loro contorno – le labbra – sussurra toccandoli – e se non ricordo male, anche me dita. Non ho mai provato prima d’ora, ma da quello che ho sentito dire da molti in carcere è che le persone urlano, chiunque esse siano.” maniacalmente mi alza un dito, osservando lo smalto nero che piano piano si sta staccando. “Ho tutto il tempo per testare le loro parole.”
Il mio respiro accelera, capendo che in questo momento è disposto a fare di tutto pur di vedermi soffrire…se per vedermi arresa e alla sua mercé deve incorrere alla tortura, lo farà. Accorgendosi della paura che inizia a farsi largo in me, continua a spingere il dito che non ha lasciato andare, portandolo ad una posizione innaturale, fino a quando non si rompe.
CrackDue capitoli alla fine!!
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Who wins? (girlxgirl)
RomanceMiray Tanner, CEO di una delle più grandi aziende automobilistiche del mondo. Conosciuta da tutti per la sua capacità di mantenere in piedi la sua impresa, una volta di suo marito.Tutta la sua vita gira attorno a menzogne, ad un marito morto di cui...