CAPITOLO 31

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“Possiamo aprire il caso” è l’unica cosa che continua a farsi spazio dentro di me. Quel messaggio che è riuscito a cambiare la mia intera giornata. Jeffrey e Arisa mi osservano seduti sul divano mentre sorseggiando del tè caldo, valutando probabilmente l’opzione di chiudermi a chiave in camera mia. Mi muovo frenetica per la cucina, tropo euforica per riuscire a stare ferma un secondo. È mattina presto, troppo presto per andare a lavoro visto che sono le sei e mezza. Consapevole del fatto che Melissa è Kayden stanno ancora dormendo, ho svegliato gli altri due che vivono con me, non potendo fare a meno di condividere la notizia con loro. È bastato solo un giorno alla Sawyer per darmi la conferma di quello che avrebbe o non avrebbe potuto fare.
“Dobbiamo organizzare una festa…” sussurro tra me e me, girandomi verso Jeffrey. “Una festa che faremo qui” faccio sapere ai due che si fermano sbalorditi.
“Qui? In questa casa? ” chiede Arisa, pensando che intenda un altro posto. Annuisco alle sue domande, permettendo ad un amplio sorriso di impossessarsi del mio volto.
“Si, non abbiamo tempo di preparare una delle altre case, perciò faremo qui. Manderò qualcuno per aiutarvi, pensate di riuscire ad avere tutto pronto per stasera?” chiedo mordendomi il labbro inferiore, sperando di non ricevere un no da loro. Jeffrey sospira, guardandomi di sfuggita.
“Si…” borbotta, passandomi accanto e appoggiando la tazza nel lavandino. Lo ringrazio con un abbraccio veloce, facendo la stessa cosa con Arisa che stupita non ricambia subito.
“Ricordatevi, le cose si fanno in grande altrimenti è meglio lasciar perdere” urlo tornando su in camera. Sposto le tende e apro le finestre, lasciando che l’aria e i raggi di sole entrino nella stanza, mentre cerco dei vestiti da mettere per andare a lavoro. Sono a metà tra l’andare in bagno e il mettermi addosso la camicia, che suona la il campanello. Controllo l’ora, constatando che siano le sette e un quarto, lasciando che siano Jeffrey ed Arisa ad aprire, girando le spalle alla porta. Sto abbottonando l’indumento quando qualcuno dietro di me si schiarisce la gola. Mi volto immediatamente, trovando Amirah che mi scruta attentamente.
“Non sono venuta a puntarti un’arma addosso come l’altra volta” afferma delicatamente, alzando le mani all’aria.
“Non mi era dispiaciuto, soprattutto per come sono andate le cose dopo” dico provocatoria, ricevendo da parte sua un mezzo sorriso. “Se non pensiamo al fatto che dopo te ne sei pentita, direi che è andata abbastanza bene come serata” ricordandosi il modo in cui a reagito abbassa lo sguardo, grattandosi con l’indice il collo scoperto.
“Mi sono già scusata una volta” mormora con la fronte corrugata, pronta a difendersi se dovessi riaprire l’argomento, cosa che non faccio.
“E anche fatta perdonare” rispondo, andando a prendere i pantaloni grigi lasciati sul letto.
“Mi dispiace per ieri” afferma, rimanendo ferma accanto alla porta da cui è entrata.
“È per questo che sei qui?” domando alzando la cerniera, prendendo una cintura dall’armadio. La guardo velocemente, osservando il modo in cui nonostante sia sicura di sé, sia agitata al punto da non sentirsela di avvicinarsi più del dovuto. “Perché pensi che ti abbia parlato di Noah ieri?” domando fermandomi ad osservarla “Se non ti avessi già perdonata non l’avrei fatto, non credi?” a quella frase alza lo sguardo, prendendo un respiro profondo.
“Come fai?” chiede stringendo le palpebre.
“A fare cosa?” sono consapevole di cosa intenda, ma voglio sentirglielo dire.
“A non essertene ancora andata”
“Nello stesso modo in cui tu mi sei rimasta accanto nonostante continuassi a pensare che avessi ucciso io il mio ex marito…perciò la vera domanda è, come hai fatto tu a non andartene?” le pongo la sua stessa domanda, sapendo nel profondo del mio cuore la risposta.
“Perché io-“ si blocca, storcendo la bocca, alzando gli occhi verso il soffitto. Sospira asciugandosi gli occhi. Mi avvicino a lei, prendendole il volto nelle mie mani, baciandola. Assaporo le sue labbra lentamente, sfiorandole la mandibola con delicatezza, sentendola fremere.
“Non devi dire niente” mormoro, permettendole di stringermi forte al petto.
“Grazie” afferma sommessamente vicino al mio orecchio, facendomi rabbrividire. Appoggio il capo nell’incavo del suo collo, inebriandomi del profumo che emana.
“Oggi sarà una giornata da ricordare” le dico, afferrando con forza il suo cappotto, non volendo che si allontani. “Stasera devi essere qui…organizzo una festa” ancora appoggiata a lei, la sento mormorare in assenso, cullandomi con le braccia.
“Qui? Intendi in questa casa?” sentendola non posso fare a meno di ridere, facendo di conseguenza sobbalzare la mia schiena ma anche lei che continua ad abbracciarmi.
“Continuate tutti a farmi la stessa domanda. Intendo proprio qui, si” confermo i suoi dubbi allontanandomi, dovendo ancora prepararmi per uscire. “Devi andare subito a lavoro?”
“Sono il CEO, credo di potermi permettere di tardare qualche volta” afferma, togliendosi il cappotto e andandosi a sedere sul letto. “L’auto mi è sembrata buona, quando pensi di provarla in una gara?” chiede, osservando i movimenti delle mie mani, intenti a truccarmi.
“Non riusciremo a fare niente fino a Settembre, siamo quasi a metà Marzo e le competizioni sono iniziate tutte. Ci tocca aspettare” ammetto, studiandola mentre si avvicina.
“Faccio io” le porgo il fondotinta, lasciandole fare quello che vuole. Le sue dita si muovono con destrezza, truccandomi al meglio. “Stai continuando con le sedute dalla psicoterapeuta?” chiede, cercando di non risultare invadente.
“Si, una volta a settimana almeno” rassicuro, mettendo a posto gli oggetti sparsi per il piccolo tavolo. Mi alzo dalla sedia ringraziandola, tenendo la porta aperta per permetterle di uscire, seguita a ruota da me. Scendiamo le scale in silenzio, guardandoci di sfuggita ogni qualora le nostre mani si scontrano.
“Noi andiamo!” urlo verso Arisa e Jeffrey che sono intenti a sistemare i fiori che si trovano nel giardino. “Non hai risposto alla mia domanda. Come mai sei qui? Potevamo vederci in azienda”
“Volevo parlarti in un luogo dove non dobbiamo nasconderci…” risponde aprendomi la portiera dell’auto.
“Parlarmi?” chiedo suggestivamente, studiando come sorride imbarazzata, evitando i miei occhi. Al sicuro tra le mura di casa, le afferro i fianchi coperti, mordendole il labbro inferiore. Ansima sulla mia bocca, le nostre lingue si scontrano, calde e bagnate, non lasciando spazio a nient’altro. Ad un certo punto i nostri denti si scontano, portandoci a staccarci e a sorridere.
“Dobbiamo andare” sussurra per niente convinta. La saluto un’ultima volta, prendendo entrambe direzioni diverse.
Arrivo in azienda alle otto, trovando l’edificio vuoto, visto che la giornata di lavoro inizia tra mezz’ora. Gli unici che trovo ad aspettarmi sono Kayden e Melissa, che seduti nel mio ufficio, chiacchierano spensierati tra di loro.
“Buongiorno. Posso sapere il motivo di tanta puntualità da parte vostra?” domando lasciando la borsa e il cappotto sull’appendiabiti.
“Sappiamo dell’apertura del caso…quando vuoi far partire l’accusa?” alla domanda di Kayden sorrido, cambiando discorso, rispondendogli in maniera indiretta.
“Perfetto, allora possiamo andare dritti al punto. Melissa, dovresti mandare a tutti quelli che conosco un invito per la festa di stasera”
“Una festa? Non ne so niente” afferma spaesata, guardandomi nervosa, pensando di essersi dimenticata qualcosa.
“Infatti, perché la organizziamo adesso. La facciamo a casa mia” Melissa mi studia con occhi sgranati, cercando di capire se stia parlando seriamente o no.
“Sei sicura?” chiede, girandosi poi verso Kayden, che non sembra per niente sconvolto dalla notizia, sussurrano un “Me lo aspettavo”
“Si, assolutamente sicura” confermo, battendo le mani sul tavolo. “Ora che abbiamo risolto anche questa questione, è ora di tornare a lavoro” i due escono, tornando a quello che devono fare, lasciandomi sola nella stanza. Sospiro, riuscendo a pensare solo a stasera e a quello che succederà. È arrivato davvero il momento di porre fine alle mie sofferenze? Mi sto davvero liberando di Noah e di qualsiasi cosa che mi ricollega a lui? I miei pensieri vengono interrotti da Melissa che bussa alla porta, e dalla sua testa che spunta da dietro al legno.
“C’è una signora che dice di conoscervi, la faccio entrare?” corrugo la fronte alzandomi dalla sedia, facendole cenno di sì con il capo. Ad entrare è Mary, che si fa spazio nella stanza senza lasciarsi intimidire da niente.
“Dobbiamo parlare” è la prima cosa che dice, rimanendo in piedi dietro alla scrivania, sfidandomi con lo sguardo. Ferma immobile non cambia espressione, continuando imperterrita a guardarmi con disprezzo e anche quello che riconosco essere disgusto.
“Certamente, vorresti qualcosa da bere?” chiedo indicando la bottiglia d’acqua accanto a quella di whisky.
“No. Andrò dritta al punto, devi lasciare in pace mia figlia. Amirah si merita qualcuno migliore di te” esordisce a denti stretti, scandendo ogni parola. Fermo le mie dita che stavamo grattando il tavolo sottostante, volendo capire il motivo di tanta ostilità da parte sua. Non ho mai fatto del male ad Amirah e sicuramente non sono stata io ad investire sua figlia minore.
“Non capisco…”
“Non c’è niente da capire, devi starle lontana, sono stata chiara?! A te non posso fare niente, ma ad Amirah si. Mi basta poco per toglierle l’azienda che si è creata, e fidati che lo farò dandoti la colpa di tutto!” minaccia stringendo la mandibola, con il volto rosso dalla rabbia.
“Non le ho mai fatto niente, ma lei mi ha sempre guardata con riguardo” dico, appoggiandomi con il palmi della mano sul tavolo che ogni volta sembra partecipare ad episodi del genere, sporgendomi in avanti. Vedo la madre della corvina indietreggiare, e solo allora mi accorgo della posizione intimidatoria in cui mi sono messa. Tossisco cercando di cambiare l’atmosfera che si sta creando attorno a noi, questa volta incrociando le braccia al petto, allontanandomi dalla scrivania.
“Hai fatto moltissimo…mi è bastato vedere come le hai urlato addosso alla festa. Parli tanto di come odi il tuo ex marito per quello che ti ha fatto, quando in realtà tu non sei tanto diversa” le sue parole mi feriscono più di quanto pensassi, portandomi a ripensare a tutte le volte che io e lei abbiamo litigato, a tutte le volte che le ho rinfacciato i suoi errori con le urla… la vittima che diventa carnefice.
Deglutisco a fatica, annuendo semplicemente, sbattendo le palpebre velocemente, cercando di rimuovere dalla mia mente quelle immagini pessime che mi ha fatto rivivere. Guardando la nostra relazione dall’esterno, chiunque reagirebbe come Mary…non posso biasimarla.
“Spezzale il cuore oppure lo farò io al posto tuo, e credimi, farò in modo che non ti voglia più vedere in vita sua” con quelle ultime parole si allontana, lasciandomi nella mia miseria.
Troppo persa in quello che la signora Aceveds mi ha rinfacciato, non mi accorgo di come le ore passano veloci, e di come sia ora di tornare a casa. Vengo richiamata da Melissa, che avendo finito con il suo lavoro, mi comunica la sua uscita. La saluto priva di entusiasmo, alzandomi dalla sedia su cui ero seduta fino ad ora, salendo in ascensore e tornando a casa.
Appena arrivo davanti al cancello, noto subito gli addobbi che stamattina non c’erano, luci, tavoli piazzati in giardino, cibo a non finire, bicchieri e camerieri che girano, tutti pronti ad accogliere chiunque arrivi. Le statue sono state tutte pulite, tanto che nel buio che sta piano piano calando, risplendono di un bianco quasi accecante. Parcheggio l’auto lontano da dove avverrà la festa, entrando nell’abitazione. L’interno non è diverso dall’esterno. I lampadari sono stati cambiati, divani spostati e rimpiazzati con poltrone che occupano meno spazio e aggiunti tavoli. Jeffrey e Arisa sono già pronti che controllano tutto sia apposto, eleganti come non mai. Salgo in camera a prepararmi velocemente per l’arrivo degli ospiti, avendo poco meno di un’ora per essere pronta.
La serata inizia in quarta, musica che parte qualche minuto prima che arrivi qualcuno, bicchieri che vengono presi in mano ogni qualvolta si varca la soglia della porta; non mi stupisce il fatto che molti siano riusciti a venire fino qui nonostante il poco preavviso, visto che sono quasi tutti uomini molto simili a Noah… e a me.
Le prime due persone a cui rivolgo la parola sono Diana e Hana, che arrivate con un leggero ritardo rispetto a tutti gli altri, mi si avvicinano tenendosi per mano, libere di mostrare il loro amore.
“Il motivo di tutto questo?” è Diana a parlare, che lasciando andare Hana, si protrae in avanti abbracciandomi
“Vedrai” rispondo, non dicendole altro. Le sorprese sono sempre le migliori. Offro loro del vino rosso, che accettano senza problemi, sorseggiandolo lentamente, mentre conversiamo.
È passata quasi un’ora e tutti gli invitati sono arrivati. Kayden è fuori in giardino che parla con altri impresari, Diana e Hana dopo essersi allontanate da me, si sono appostate in un angolo a tenersi compagnia a vicenda, per niente intenzionate ad interagire con altri , Melissa si muove con precisione mentre tiene d’occhio tutti, Arisa e Jeffrey sono presso uno dei tavoli che continuano a bere, probabilmente troppo brilli, mentre Amirah sta osservando con grande interesse la statua nascosta dietro ai cespugli alti. La raggiungo con il cuore pesante, misurando ogni mio passo.
“TI piacciono tanto le date” e la prima cosa che dice, studiando l’incisione sul coltello conficcato nella schiena della donna.
“Mi piacciono i misteri…i segreti e soprattutto chi sa risolverli” sussurro ricordandomi di quel giorno. “Hanno tentato di uccidermi l’ottobre del 2015, non esattamente il 19, però per inciderla sulla statua ho deciso di cambiare il giorno” affermo “Proprio come lei, hanno tentato di accoltellarmi alle spalle…senza successo ovviamente” continuo ridendo con ironia.
“Chi?” domanda semplicemente, osservandomi con la fronte corrugata.
“Non si sa. L’uomo non ha mai parlato” ammetto storcendo le labbra. “È vivo, se te lo stai chiedendo” chiarisco, volendo evitarle altre preoccupazioni. Dall’altra parte del giardino Kayden mi fa cenno con il capo, comunicandomi il loro arrivo. È arrivato il momento.
“Entriamo” dico senza indulgere oltre, appoggiando una mano sulla parte bassa della sua schiena, spingendola in avanti.
Pov Amirah
Ancora scossa dalla sua confessione, la seguo senza proferire parola, cercando di capire cosa stia facendo. Appena entrate si è scusata, allontanandosi di fretta. Ci troviamo in fondo alla sala, lontane dalla porta, lei con le mani incrociate dietro alla schiena e le spalle dritte e rigide, io a qualche metro di distanza. Al suono di passi pesanti che marciano con sicurezza, volta leggermente il capo, mostrando solamente una parte del viso. Qualche ciocca di capelli le cadono dalla coda, sforandole il volto dolcemente, una carezza che le illumina gli occhi e il sorriso soddisfatto che le dipinge le labbra.
Tutti si spostano dal centro della sala, creando un varco che raggiunge Miray, che nonostante tutti gli occhi addosso non si fa intimidire. Sui volti di alcuni ospiti si formano sguardi preoccupati, su altri invece un sorriso prende spazio sulle loro bocche, come consapevoli di quello che sta per succedere.
“Signora Tanner…” I poliziotti le si avvicinano e non posso fare a meno di fare un ulteriore passo indietro ed allontanarmi da lei, con una sensazione strana addosso.
“Non è me che state cercando, perciò fate quello per cui siete venuti” si limita a dire, immobile e impassibile, aspettando paziente che agiscano; era tutto preparato.
Vedo i tre uomini guardarsi da dietro le sue spalle ed annuire. Kayden raggiunge Miray, cingendole la vita. Lo vedo sussurrarle qualcosa all’orecchio che la fa sorridere entusiasta, quasi sollevata della sua presenza. Lui le lascia un bacio tra i capelli, accarezzandole il volto amorevolmente, guardandosi attorno. Probabilmente perché si accorge degli sguardi puntati su di loro, ma si avvicina più del dovuto a Miray, baciandola sulle labbra. Osservo la famosa impresaria, aspettandomi di vederla confusa e disgustata, invece si limita a continuare a sorridere, come se fosse abituata a questo tipo di comportamento da parte dell’uomo. Il diretto interessato dopo quel gesto d’affetto, mi passa accanto con un sorriso gentile sul volto, accennando con il capo un saluto veloce. Miray si gira, trovandomi ferma a guardarla. Si blocca, come un ladro trovato a rubare, rivolgendomi uno sguardo di scuse che ignoro allontanandomi, seguendo i poliziotti, curiosa di quello che vogliono fare. Joshua si dimena indemoniato, cercando invano di liberarsi. Viene trascinato fuori sotto gli sguardi di tutti i presenti, un arresto fatto di urla e insulti rivolti a chiunque senza distinzione.
“Me la pagherai!” urla un’ultima volta prima di essere fatto entrare con forza e fretta in auto, tanto che non si preoccupano di appoggiare una mano sopra al suo capo, come sono soliti fare con chi arrestano. Deglutisco non riuscendo come tutto questo sia potuto succedere in così poco tempo, prima il bacio e poi l’arresto. Cosa manca?
Troppo scossa mi allontano, cercando di scappare da Miray e dalle sue scuse.

POV Miray
Appena la vedo allontanarsi, la inseguo facendomi spazio tra la folla che assiste a quello che sta succedendo tra i poliziotti e Joshua.
“Lasciatemi andare, state commettendo un errore, è lei l’assassina!” urla indemoniato Joshua, indicandomi ferocemente con sguardo furioso. Amirah si ferma momentaneamente a guardarlo, per poi scappare via nuovamente, non riuscendo ad assistere ad un’altra scena non gradita. La raggiungo in una delle stanze decorate per la serata, afferrandola per un braccio.
“Fermati” l’oro degli eccessivi ornamenti che si trovano nella stanza, luccicano in ogni angolo, creando riflesso che rendono la figura di Amirah eterea. Mi perdo nella sua bellezza dimenticandomi il motivo per cui fosse scappata via frettolosamente.
“Lasciami andare” le afferro anche l’altro braccio, avvicinandola al mio petto.
“Smettila Amirah, ne abbiamo già parlato” esclamo stufa della sua insistenza.
“Non abbiamo mai parlato di come lo avresti baciato” sussurra a denti stretti, cercando di divincolarsi.
“Forse perché non era mai mia intenzione? È stato lui a farlo, non io” cerco di giustificarmi, pienamente consapevole del fatto che non servirà a niente, e così si dimostra essere.
“Non ne sembravi tanto dispiaciuta” accusa per niente intenta a lasciarsi abbindolare da delle semplici parole.
“Cosa dovevo fare? Spingerlo via ora che tutti sanno che ci stiamo per sposare?” chiedo retorica, entrambe a conoscenza della risposta a questa domanda scomoda. Sbuffa infastidita, riuscendo finalmente a scivolare via, strappandosi bel mentre parte del vestito che ha addosso. Uno lungo fino ai piedi, verde scuro, in contrasto con i suoi capelli neri come la pece, ma in perfetta sincronia con i suoi occhi.
“Non sai cosa voglia dire provare sentimenti!, sei solo un inutile pezzo di ghiaccio che nessuno vuole!” urla senza rimorso, troppo accecata dalla rabbia che prova. Il respiro mi si mozza in gola, la rabbia di poco fa dissipa lasciando spazio alla delusione, tornando a mesi fa quando l’unica cosa riuscivamo a fare era rinfacciarci a vicenda i nostri sbagli.
“Senza di me non sai cosa sia l’amore. Non ti frega niente degli altri, pensi solo a te stessa e ai tuoi obiettivi, ecco perché nessuno ti rimane mai accanto!” Amirah continua con il suo monologo, ma ormai non la sto più ascoltando. Se si fosse fermata forse non l’avrei fatto, forse avrei completamente ignorato le minacce di sua madre, ma sapendo ora che questo è quello che pensa davvero, credo sia meglio liberare entrambe da questo legame fatto di catene e spine.
“Vattene” sussurro freddamente stringendo le mani a pugno, volendo comunque evitare di ferirla.
“Non me ne vado, piuttosto insultami, ma da qui non mi muovo. Se per te valgo qualcosa, parlami” digrigno i denti dalla frustrazione, senza avere il coraggio di guardarla negli occhi.
“No, non ferisco deliberatamente le persone a cui tengo…questo è quello che ci contraddistingue”
“Cosa pensi di aver fatto fino ad adesso Miray?! Stai per sposarti con un uomo che dici di non amare mentre stai con me! Mi hai fatto firmare un contratto di riservatezza, mi hai mentito riguardo a tutto e hai il coraggio di dire che non ferisci le persone a cui tieni?!” sbraita rossa in viso, con le mani che le tremano dall’eccessivo risentimento.
“Si… perché tu non sei una di quelle” sussurro alzando lo sguardo, lasciando spazio solo ad una frase “Non la meriti” Qualcosa dentro di lei si spezza definitivamente. Mi guarda incredula con gli occhi sgranati; meglio finirla prima che una delle due si faccia troppo male. Siamo entrambe consapevoli che questa relazione non funzionerà a lungo, una di noi due deve fare un passo indietro.
“Non ti credo…” le gambe le cedono, e nonostante tutto quello che le ho detto, tutto quello che mia rinfacciato senza rimorso, allunga le mani verso di me in cerca di un appoggio, che però non riceve. Rimane lì, in ginocchio davanti al mio corpo impassibile, sperando in qualcosa che neanche lei sa. Un oggetto rotto può essere riparato, si, ma mai come prima, tutti lo sanno e cercano di preservare ciò di prezioso che hanno… io e lei? Lo distruggiamo e distruggiamo fino a farlo a pezzi, per poi cercare solo alla fine di riparare l’irreparabile.
“Da sola non so cosa sia l’amore, è vero, ma neanche con te sapevo cosa fosse…con Kayden invece è diverso” mento tra i denti, guardandola senza rimorso distruggersi davanti ai miei occhi. Con quelle ultime parole le volto le spalle andandomene, lasciandola con le lacrime che le scendono copiose sulle guance arrossate.
Prima di uscire mi fermo alla soglia della porta, sofferente e consapevole di non poter avere mai più indietro quello che di bello eravamo riuscite a costruire. “Anche io” sussurro senza girarmi, sentendo come le si mozza il respiro in gola, sperando possa un giorno perdonarmi, anche se forse sarà troppo tardi per entrambe.

Doppio aggiornamento!

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