CAPITOLO 36

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“Non ti hanno trattato bene.” biascico stringendo gli occhi non appena un dolore lancinante si propaga per tutto il capo. Prendo un respiro profondo cercando di rimanere concentrata, ma la testa pulsa incessantemente, rendendomi impossibile guardarlo negli occhi come vorrei. Le dita ormai non le sento più, probabilmente tutte fuori posto, avendo ad un certo punto perso il conto di quante me ne abbia rotte. Gira attorno alla sedia aspettando qualcosa, le mani incrociate dietro alla schiena come un avvoltoio pronto a liberarsi di una carcassa.
“Si può dire di sì…ho imparato ad essere paziente là dentro, sai?” afferma retoricamente, trascinando i piedi sul cemento sottostante. “Ho capito che molte volte la diplomazia non serve a niente e che forse è meglio rivolgersi alla violenza per raggiungere i propri obiettivi”
“Sarebbero?” la domanda arriva a voce bassa, ma nonostante ciò rimbomba per tutto l’edificio vuoto, arrivando direttamente alle orecchie di Joshua. Con grande teatralità il diretto interessato apre le braccia girando su se stesso con il capo rivolto verso l’altro.
“Pazienza e violenza, secondo te?” chiede piegandosi in avanti per guardarmi in faccia. “Ucciderti lentamente. Mi prenderò tutto il tempo di cui ho bisogno.” Sussurra sadicamente, sfiorandomi con l’indice la ferita che ha smesso di sanguinare. Con l’unghia gratta via il sangue dalla mia guancia, premendo troppo forte e graffiandomi. “Ho imparato anche altro.” afferma mentre si indica le borse sotto agli occhi “Queste? Ci sono perché ero in cella con un pazzo che continuava solo a parlare di leggende…una ogni sera.” Si piega sulle ginocchia, mettendosi allo stesso livello dei miei occhi. “Ora ti starai chiedendo perché non ho dormito, giusto? Prima di iniziare a raccontarle mi minacciava…se la mattina dopo non sarei riuscito a raccontargli la stessa leggenda della sera prima, mi avrebbe facilmente ucciso” le sue palpebre non si chiudono neanche una volta, abituato e obbligato a guardarsi attorno anche mentre dormiva. “Quella che mi è piaciuta di più, parla delle rose. In origine tutte le rose erano bianche, ma un giorno Venere, correndo incontro ad uno dei suoi innamorati, mise un piede su un cespuglio di rose e le spine la punsero. Le rose, vergognandosi per l’offesa recata alla Dea, arrossirono, rimanendo così per sempre” afferma improvvisamente, ricominciando a girare attorno alla sedia su cui sono legata. Le sue dita accarezzano poco sopra le mie spalle. “Partiamo dal presupposto che siano nate tutte bianche, che quelle rosse siano diventate rosse per l’imbarazzo provato dopo aver ferito Venere. Niente e nessuno spiega come quelle gialle, abbiamo preso quel colore… Personalmente penso che alcune rosse siano diventate gialle nell’esatto momento in cui altre sono diventate rosse. Credo tu sappia già che il sangue degli dei sia dorato, e sicuramente, quando le spine l’hanno punta, ha perso del sangue… Sangue dorato, giallo, che ha bagnato le rose incolore.” continua a girare attorno alla sedia, brandendo nelle mani un coltello svizzero nascosto nella tasca dei suoi pantaloni, sfregandolo sulla sedia, causando un rumore fastidioso, troppo per una persona che è stata colpita alla testa. “Chissà di che colore potrebbe diventare questa rosa, con il tuo sangue.” afferra una rosa bianca, appoggiandola sulla mia coscia.
“Perché lo stai facendo?” chiedo, cercando nel frattempo di liberare le mani legate dietro alla mia schiena, ma non riuscendoci, provando solo dolore.
“Inizialmente perché volevo vendicare Noah, poi quando ho scoperto che ti eri innamorata di Amirah, i miei motivi sono cambiati.”  aggrotto le sopracciglia, mordendomi il labbro inferiore, osservando la lama avvicinarsi sempre di più.
“Cosa c’entra Amirah in tutto questo?” La sua risata malsana rimbomba in tutta la stanza. Un’eco che si propaga in ogni angolo dell’edificio.
“La prima volta che Amirah mi ha raccontato quello che era successo tra di voi in ascensore, non ci ho creduto, ma devo dire che è stata brava. Poche ore dopo ti ha presa in giro un’altra volta, ed è riuscita anche a prendere il tuo telefono e leggere i messaggi che scambiavi con un investigatore privato… Impressionante come tu sia stata fregata.” Il cuore sembra fermarsi per qualche secondo, tutti i momenti passati insieme con lei riaffiorano nella mia mente.
“Di cosa stai parlando?” sussurro insicura della risposta che potrei ricevere. La lama fredda a contatto con la mia pelle mi fa rabbrividire.
“Non ti vuole Miray, né ora né mai, perciò rassegnati.” non ho il tempo di reagire alle sue parole, che mi taglia in profondità la coscia, bagnando la rosa del mio sangue. “Speravo in un altro colore, ma come sempre, sei solo una delusione” esclama burlandosi di me, anche lui consapevole che il fiore non avrebbe mai cambiato magicamente colore. Non potendo stringere le mani a pugno mi piego in avanti, gemendo dal dolore. Butta la rosa per terra, pulendo la lama sui suoi pantaloni con un sospiro. La pelle si allarga, lasciando spazio al sangue di sgorgare fuori. Zampilla incessantemente, probabilmente avendo tagliato una vena, se non di più, ma pur di non dargli la soddisfazione di vedermi soffrire digrigno i denti con forza fino a farmi male. Un altro taglio e un altro ancora. Avvicina il coltello al mio volto, appoggiando la punta poco sotto al mio occhio, l’unico con il quale riesco ancora a guardare visto che non è coperto da sangue. Sbuffa storcendo la bocca “Anche se vorrei tanto, non posso farlo. Devi ancora aspettare di vedere Amirah – sussurra, ma come se fosse appena stato colpito da un’illuminazione sorride – però sai cosa sarebbe ancora più divertente? Se a farlo fosse lei”
Ancora con le mani legate, mi slega le caviglie trascinandomi fuori. Zoppicante e tramortita riesco a stargli dietro, tra spintoni e insulti. Il sole mi acceca, facendomi stringere le palpebre, cercando di non far passare i raggi del sole che ora sono più accessi di prima. Camminiamo per almeno mezz’ora, minuti che sarebbero dimezzati se non fossi ferita, lasciandoci alle spalle l’edificio in cui ci trovavamo, giungendo ad un campo aperto pieno di fiori, fortunatamente non rose. Mi fa inginocchia sull’erba soffice con prepotenza, portandomi a soffocare un urlo all’impatto, sentendo la ferita pulsare. La terra sottostante, leggermente bagnata e molliccia, sprofonda sotto il mio peso. Il rosso si mischia con il marrone dando vita ad un colore molto simile al nero. Le ginocchia si infossano nella terra, tenendomi imprigionata, impedendomi di alzarmi e tentare di scappare. Rimaniamo lì per ore, io per terra e lui che gira attorno a me con il telefono in mano ignorandomi completamente. Il clima cambia, il sole viene coperto e i raggi del sole vengono bloccati dalle nuvole ma non solo. Una fitta nebbia si espande lentamente per tutto il campo. I fiori scompaiono insieme alle lontane case e a Joshua che compare solo quando si accorge che sto per perdere l’equilibrio e cadere a terra. Mi guardo attorno cercando qualcosa, una via di uscita che sembra introvabile, alzandomi in piedi a fatica, mentre l’uomo che fino a poco fa mi tirava su non si fa vivo. Ogni passo sembra portarmi verso la fine di qualcosa, un vuoto nascosto e imprevedibile. La terra dissestata sottostante mi fa inciampare e premere la ferita su rami spezzati caduti da l’unico albero presente. Urlo non riuscendo più a trattenere il dolore, attirando l’attenzione di Joshua che mi stava inseguendo lentamente, consapevole del fatto che non possa correre.
“Non ti preoccupare, la tua amata ci sta raggiungendo, aspetta ancora un po’” aspettiamo lì, fermi e in silenzio, circondati dal rumore degli uccelli e del vento che muovono i fiori. La guancia appoggiata sull’erba soffice, il fango che si impadronisce della mia guancia e la spalla che diventa un tutt’uno con la terra, mentre l’unica cosa che posso fare è bearmi per pochi attimi di quella calma, prima che Amirah ci raggiunga. Joshua mi rialza in ginocchio, pulendosi le mani con una faccia disgustata, cercando di togliere il fango tra le dita.
Ed eccola, elegante come sempre e sicura di sé. Non mi degna di uno sguardo e si avvicina a Joshua, lasciandogli un bacio casto sulle labbra. A quella vista chiudi gli occhi con un sospiro, sperando solo di poterla far finita.
“Scusate il ritardo, mi sono dovuta liberare di Kayden. È stato più difficile di quanto mi aspettassi.” sgrano subito gli occhi, iniziando a tremare pensando all’unico uomo che è riuscito a farmi sentire al sicuro, riversato nella sua stessa pozza di sangue senza un battito.
“Cosa gli hai fatto?” alla mia domanda, sposta gli occhi da quelli di Joshua e mi guarda con sguardo spento e senza sentimenti, il solito che porta avanti da due mesi. “Cosa gli hai fatto Amirah?!” Urlo in mezzo ai fiori e alle foglie che svolazzano attorno a noi incontrollati.
“L’ho ucciso con l’aiuto di Hana” Il respiro mi si mozza in gola… Hana, la ragazza di Diana; questo vuol dire che anche la mia migliore amica sapeva tutto? Sposto lo sguardo guardando per terra, puntando gli occhi sull’erba che si muove una volta a destra e una volta a sinistra a seconda della direzione del vento. Le lacrime scendono copiose, incontrollate e piene di dolore. Ecco perché mi ha evitata…lei sapeva.
“Joshua, sta calando la notte, quanto hai intenzione di stare qui?” Sento i due mormorare tra di loro, ma il dolore che provo è talmente grande che non penso neanche ad un modo per uscire da questa situazione. Ha senso? A cosa tornerei una volta riuscita a scappare da questa situazione?
“Uccidetemi e fatela finita… Prendete tutto quello che volete; la mia vita e la mia azienda.” sussurro sfinita e avvilita. Delle paia di scarpe schiacciano i fili d’erba che stavo ancora osservando e una mano appoggiata sotto al mento mi fa alzare il capo.
“Ti arrendi così facilmente?”
I suoi occhi verdi mi guardano attentamente. Uno sguardo irriconoscibile, una rabbia e un dolore inconfondibile si scontrano con me.
“SÌ…” sussurro arrendevole. “Ho sofferto abbastanza tutta la mia vita. Ho perso i miei genitori, la mia dignità, l’amore per me stessa, Kayden e adesso anche te…che motivo ho di continuare a vivere?”
“Prima di morire devi scoprire un’altra cosa.” sussurra aggressiva, stringendomi la mandibola, facendomi spostare lo sguardo su un’altra donna che si sta avvicinando. “Io ti ero vicina, si, ma mai quanto lei” cerco di divincolarmi dalla sua presa, non avendo il coraggio di guardare negli occhi lei, quella donna che avevo iniziato a considerare come una figura materna.
“No.” il suono esce strozzato, senza forze. “Per favore…” supplico cercando di allontanare la mano di Amirah. Un tocco non più dolce e gentile me freddo e tagliente.
“Guardami.” sussurra ormai a un passo da me “Devo darti una spiegazione, o non vuoi sapere il motivo di questo tradimento?” Melissa si inginocchia di fronte a me, afferrandomi le guance fredde, ancorandomi a lei. Tira fuori un fazzoletto dalla tasca dei pantaloni, tamponando la ferita sul capo, cercando di togliere più sangue possibile mentre continua a parlare, monotona e senza sentimenti. “Lo amavo…prima che arrivassi tu, noi due stavamo insieme” Joshua che torreggia su noi due, sorride sempre più.
“Vi conoscevate quindi.” Affermo flebilmente, osservando come l’uomo dietro di lei non sembra per niente sconvolto dalla notizia. La bionda ancora accovacciata ed intenta a pulire il sangue ormai secco annuisce, spostandomi i capelli con una dolcezza di cui solo lei è capace.
“Per molti anni, sin da quando ho iniziato a lavorare per Noah.” confessa, spostando lo sguardo sulla mia coscia, spostando i pantaloni cercando di osservarne meglio la profondità. Accorgendosi di non poterne fare niente, mi slega i polsi lentamente sotto lo sguardo indagatore di Joshua. Le braccia mi cadono ai fianchi, sanguinanti e senza forze.
“Non posso muovermi.” mormoro cercando ostinatamente di spostarle, riuscendo ad allungare solo di qualche centimetro verso di lei. Mi afferra entrambe le mani, e solo allora constato le loro condizioni; tutte le dita rotte tranne i pollici, per evitare che potessi slegarmi da sola. “Perché non hai mai detto niente?” chiedo costretta ad appoggiare il capo sulla sua spalla.
“Perché sei la mia bambina – mi sussurra all’orecchio – più andavo avanti a vivere con te, lavorare insieme e a conoscerti, iniziavo a pentirmi di quello che stavo facendo. Quando anche dopo anni hai mantenuto il segreto, non ero più sicura di quello che avrei dovuto fare”  ammette sommessamente.
“Devi andartene…subito Mel” la imploro, stringendo con le uniche dita ancora funzionanti il suo cappotto. “Kayden lui…” non riesco a finire la frase che un singhiozzo fuoriesce dalle mie labbra.
“Mai più Miray. Se oggi muori, muoio con te, anche se dovessi lasciare Kayden solo...Perdonami per tutto quello che ho fatto” afferma alzandosi in piedi, sferrandomi un schiaffo in volto continuando a fingere.
“Lui è…” Melissa annuisce in fretta, alleggerendomi il cuore. Sta bene, Amirah stava mentendo.
La donna con cui ho parlato fino ad ora non se ne va, assistendo a tutto.
“Non pensavo fossi così intelligente” schernisco Joshua con un sorriso ironico in volto, tossendo quando il sangue si impossessa della mia bocca, provando ad allungare il più possibile qualsiasi sua azione, anche se forse sarebbe meglio se gli lasciassi la possibilità di uccidermi.
“Solo perché sono una donna, non vuol dire che non possa essere crudele e vendicativa. Tutta questa farsa? L’ho pianificata io. Avvicinarmi a te? Idea mia. Baciarti e venire a letto con te? Sempre idea mia, Joshua è stato più un burattino, lo usavo per distrarti, e farti pensare che sarebbe stato lui a fare qualcosa, ma in realtà sono sempre stata io a farti del male. Quieta, mi sono insidiata dentro di te, avvelenandoti piano piano, portandoti fino a questo punto, perciò se vuoi dare la colpa a qualcuno, dovresti darla a me” la sua ammissione ferisce più del taglio che Noah mi ha provocato e che ancora oggi è visibile. A fatica mi rialzo in piedi. Le ferite aperte bruciano e tirano mentre cammino verso di lei. Ancora prima che possa raggiungerla le gambe mi cedono, finendole addosso con tutto il peso. Le sue braccia mi avvolgono, sorreggendomi con tutte le sue forze, stringendomi a sé, più forte di quanto dovrebbe visto che vuole liberarsi di me.
“Perché? Tutto questo solo per prendere la mia azienda?” le domando mentre mi lascio andare fra le sue braccia con gli occhi chiusi, immaginando che in questo momento mi stia semplicemente abbracciando.
“Non è la tua azienda! È quella di mio fratello!” il cuore smette di battere, mentre cerco di realizzare le sue parole. Ancora appoggiata a lei deglutisco forzatamente, respirando a fatica sulla sua spalla.
“Ecco perché tua madre mi ha sempre odiata…il motivo per cui tuo fratello e sorella mi chiedevano di non deludere tuo padre, perché lui stesso mi ha implorato più e più volte di prendermi cura di te, perché a prescindere da tutto si fidava…nonostante ogni singolo membro della tua famiglia dubitasse che fossi stata io ad ucciderlo” mormoro realizzando, guardando verso Melissa che alle sue spalle ci guarda incredule. “Tuo fratello…quindi sei una Strandford.” affermo scivolando nuovamente a terra. “Ironia della sorte, non credi?” chiedo con un sorriso amaro “Eravamo legate sin dall'inizio - realizzo con un sospiro divertito - chi erano le due persone con cui lui viveva?”
“I miei zii” risponde semplicemente mentre annuisco, collegando tutto.
“Tua nonna, quando mi ha accusata a capodanno...”
“Sapeva” confessa “Tutti nella mia famiglia sanno” ammette indietreggiando di poco.
“Sei ancora convinta che sia stata io ad uccidere Noah, tuo fratello maggiore?” Melissa a quella domanda mi fa cenno di sì con la testa, incoraggiandomi ad andare avanti. Quello è il suo modo di chiedere perdono, il suo modo di redimersi.
“Ogni volta che continuavi a ripetermi che non fossi tu, iniziavo a crederci, fino a quando non l’ho fatto. In questi mesi però mi sono ricreduta. Chi altro se non tu l’avrebbe fatto fuori?”
“Manca un tassello a tutta questa storia. Ti ricordi tutte le date che ti ho detto? – mi ascolta attentamente, volendo capire dove voglia giungere – ne manca una, l’ultima di tutto questo. Sei date fino ad ora, ma ne servono sette…ultima giocata Amirah, facciamolo insieme” Il terrore dipinge il suo volto smunto, affaticato dagli ultimi avvenimenti mentre io troppo stanca mi piego sulle mie stesse spalle. “Sorridi piccola, stai finalmente raggiungendo il tuo obiettivo” Non sorride, e immobile come una statua mi guarda con occhi spenti e lontani, cercando di capire se si deve fidare o no.
“Puoi pure chiudere la bocca Miray, non farai cambiare idea ad Amirah con i tuoi giochetti. Non l’hai ancora capito che si è presa gioco di te? Lei ama solo una persona, e puoi starne certa che quella non sei tu. La grande imprenditrice che cede all’amore e perde tutto per una cosa così stupida. Sei patetica”
Ignoro Joshua continuando a tenere gli occhi puntati su quelli verdi.
“Va bene…giochiamo” sussurra Amirah ad un passo da me. Si accovaccia, stando al mio livello.
“Dimmi la settima data”
“Così è troppo facile Amirah. Partiamo dal loro significato, non quello che già sai perché te l’ho raccontato io, ma da quello nascosto”
“Non prendermi in giro Miray, non c’è qualcosa di nascosto in quelle date e lo sai benissimo anche tu. Ammetti di aver ucciso Noah, e finiamola qui questa storia. Non ti sarà fatto niente, andrai in carcere per omicidio e sconterai la tua pena” sibila afferrandomi per la maglietta sporca.
“È davvero questo quello che vuoi? Tutto quello che abbiamo passato insieme era così finto che mi chiuderesti in una stanza dietro a delle sbarre? Niente amicizia, niente rispetto, men che meno amore…sono stata proprio ingenua” rido amaramente abbassando lo sguardo, trattenendo le lacrime che minacciano di uscire. “Non ti è mai venuto il dubbio? Non hai neanche pensato per un momento che stessi cercando di dirti qualcosa?” mi guarda accigliata, cercando di cogliere qualcosa in quello che le sto dicendo.
“Conta Amirah, 13 Dicembre 2014, trentunesima lettera dell’alfabeto”
“5 Febbraio 2015, quinta lettera dell’alfabeto”
“12 Maggio 2015, dodicesima lettera dell’alfabeto”
“19 Aprile 2013 e Ottobre del 2015, diciannovesima lettera dell’alfabeto”
“9 Ottobre 2015, nona lettera dell’alfabeto”
Guardo la realizzazione farsi largo nei suoi occhi.
“Ultima data che conosci molto bene, 1 Maggio 2020…il giorno del mio matrimonio” mormoro con un sorriso diabolico “Solo una lettera è fuori posto…”
Si alza in piedi, allontanandosi da me sconvolta.
“Perché l’ha fatto?” chiede incredula, girandosi verso Melissa che la guarda impassibile, lasciandola nella sua miseria. La mia riposta arriva breve e concisa.
“Per salvarmi” sussurro tra me e me. Joshua si avvicina improvvisamente sferrandomi uno schiaffo, l’ennesimo della giornata.
“Che cosa le stai dicendo?” urla arrabbiato. La distanza mantenuta da me ed Amirah non gli ha permesso di ascoltare quello che stavo dicendo, l’unica indicazione che ha avuto per capire il peso delle mie parole è stata la reazione della corvina.
“Niente di tutto questo ti riguarda Barton. E visto che vuoi ficcare il naso ovunque, perché non le dici di essere stato tu ad uccidere quasi sua sorella?” domando retoricamente, osservando come indietreggia con gli occhi sgranati. Deglutisce rumorosamente, girandosi verso Amirah scuotendo la testa in dissenso.
“Non è vero…”
“Non sei neanche riuscito ad uccidermi quella volta. Sei patetico!” sputo velenosamente, vedendo come la sua corazza inizia a frantumarsi. “Sono sopravvissuta allora e lo farò anche adesso” sibilo a denti stretti.
“No Miray! Quel giorno non volevo ucciderti, ma solo fermarti dall’accusarmi di fronte a tutto il mondo. Suo fratello e sua sorella erano gli unici che potevo colpire. Fermo Amirah, di conseguenza fermo te, e così è stato”
Amirah non si muove, ferma con lo sguardo puntato a terra mentre le lacrime le scendono copiose.
“E tu – sposto lo sguardo su Melissa che sconvolta non si muove a sua volta – non capisco perché tu l’abbia fatto…lo amavi, ma nonostante ciò l’hai ucciso” dico stringendo la mandibola, dovendo continuare a fingere che non sia dalla mia parte. “Vedi Amirah, sei circondata da una parte da chi ha ucciso tuo fratello maggiore e dall’altra da chi ha tentato di uccidere tua sorella…sono stata l’unica ad amarti e rispettarti veramente” affermo cercando una reazione da parte sua ma a parlare è Melissa.
“Ti ho vista vivere, soffrire, amare e perdonare…e ho ceduto” la sento sussurrare sommessamente. La pistola puntata alla fronte, gli occhi di Amirah che mi guardano indifferenti, Melissa che non accenna a fermare Joshua… l’inizio della fine. Uno sparo, il buio seguito dal vuoto e dal mio corpo che cade al suolo. Un urlo addolorato, di rabbia e di vendetta e poi la luce. Bianca e accecante, calda e accogliente… ma comunque fredda, incolore e placida.
“Miray” le urla continuano, incessanti. Voci spezzate dal dolore, mani che mi toccano e tirano su con disperazione e speranza. Quel profumo che tanto amo…
La fine.

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