CAPITOLO 8

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<Pensa che questo possa andare bene fatto così?> Studio lo stemma che ho in mano, toccando il freddo ferro. I particolari sono identici a quelli del disegno che avevo scelto, l'unica cosa che non mi convince è il colore, un rosso accesso accecante agli occhi. "Cambiate colore. Non penso che il rosso sia adatto a ciò che voglio che questa macchina rappresenti." Incrocio le braccia davanti al petto, studiando le persone attorno a me lavorare duramente. <Signora Tanner, penso che questo colore sia perfetto per quello che lei sta cercando> scruto lo stemma ormai di un altro colore, definitivamente contenta del risultato. "Rispecchia tutti i criteri che avevo in mente. Bel lavoro signori e signore" appoggio l'oggetto che ho in mano sul tavolo di lavoro dinanzi a me, sorridendo soddisfatta. "Passami il telefono per favore" chiedo ad uno dei lavoratori. Il cellulare mi viene consegnato qualche secondo dopo dal ragazzo, che dopodiché si allontana. Compongo il numero della persona con cui voglio parlare, aspettando che risponda. <Salve signora, come sta?> Indico a Melissa con la mano, lo stemma appoggiato sul tavolo, facendole segno di prenderlo e portarla nell'altra sala "Salve. Come stanno procedendo le indagini" mi allontano dalla stanza affollata da persone, camminando per i corridoi quasi deserti <Bene signora. Qualcosa è venuto a galla, ma appena avrò informazioni più dettagliate le farò sapere> annuisco tra me e me osservando le unghie colorate "D'accordo, mi faccia sapere. Arrivederci" <Arriv...> Spengo la telefonata, cacciando il cellulare all'interno della borsa che penzola dal mio braccio, recandomi all'ultimo piano dell'edificio. Il breve tragitto in ascensore, mi da il tempo di riflettere attentamente sui miei prossimi progetti. L'auto è in fase di costruzione. Prima passaggio: Organizzare il progetto; fatto. Secondo passaggio: Scegliere lo stemma; fatto. Terzo passaggio: Trovare la persona adatta da avere accanto; fatto Quarto passaggio: Stilizzare il marchio; fatto. Quinto passaggio: Trovare un terreno in vendita per costruirci un autodromo; non fatto.
Prendo questa volta il telefono d'ufficio, digitando il numero della signorina Aceveds, aspettando pazientemente che risponda. <Buongiorno, qui Amirah Aceveds della A.A Enterprise, come posso aiutarla?> sorrido ai suoi modi umili e amichevoli di rivolgersi a persone apparentemente estranee "Buongiorno signorina, sono Miray Tanner..." Un silenzio si sente dall'altra parte, portandomi a controllare se la chiamata si sia improvvisamente interrotta. <S-signora Tanner, mi scusi, ero molto impegnata nel firmare alcune scartoffie, mi dica pure.> Mi mordo il labbro inferiore, non volendo dire qualcosa fuori dal contesto. "Non si preoccupi signorina. Allora, essendo che fa parte di questo progetto tanto quanto me, volevo solo invitarla a venire in giro per New York a trovare un luogo dove costruire l'autodromo, sempre se è libera" la sento mugugnare qualcosa in sottofondo prima di ricevere un si. Dopo averle comunicato il luogo di incontro, comunico a Melissa ciò che deve fare qui in azienda mentre non ci sono, prima di uscire. Nel corridoio vuoto, l’unico rumore che si sente, è il ticchettio dei miei tacchi che sbattono sul pavimento in marmo. Sbuffo stanca, volendo solo tornare a casa a rilassarmi con un bagno caldo e un calice di vino rosso mentre guardo dei stupidi programmi che trasmettono in tv. I miei pensieri vengono interrotti da un colpo di tosse. Prendo un respiro profondo alzando lo sguardo, pronta ad affrontare uno dei soliti imbecilli che mi fermano per i corridoi solo per discutere di cose futili. Rimango sorpresa dallo sguardo gelido e rigido di Joshua Barton. Sorrido forzatamente in sua direzione, cercando di mantenere un atteggiamento distaccato e il più disinvolto possibile. Lo guardo, aspettando che dica qualcosa, non sapendo esattamente come comportarmi nei suoi confronti. <Salve signora. Ho sentito del suo progetto, è vero?> un sorriso sghembo si fa largo sulla sua faccia, facendomi rabbrividire. Rispondo imperturbabile alla sua domanda "Si, è tutto vero. Ho intenzione di ampliare l'azienda" con le mani dietro alla schiena si avvicina pericolosamente al mio viso, sussurrando tre brevi parole <Non si fidi...> Mi oltrepassa, allontanandosi con passo lento, mantenendo le spalle ritte e irrigidite. Respiro profondamente mantenendo la calma, rispondendogli. "So di chi fidarmi" la sua risata si sente per tutto il corridoio vuoto, come un suono ovattato proveniente dagli inferi. Stringo forte il telefono che ho in mano, canalizzando tutta la rabbia su quel piccolo aggeggio, allontanandomi il più possibile da lui. Durante il lungo tragitto che percorro dall'azienda fino al parcheggio sotterraneo, le sue parole accompagnate dalla sua risata, continuano a ripetersi ininterrottamente come una maledizione. Sbatto la portiera dell'auto con rabbia, lanciando il telefono sul sedile del passeggero, ingranando la marcia, uscendo dal parcheggio pieno tutt'attorno di altre auto. Sfogo la mia frustrazione schiacciando l'acceleratore, superando i limiti di velocità, raggiungendo in poco tempo il luogo di incontro prestabilito con la signorina Aceveds. La radio accesa trasmette una canzone lenta, rilasciando nell'abitacolo un suono soave utile alle mie emozioni che si mischiano con il ritmo che si sente tutt'attorno, portando la calma necessaria per affrontare questa giornata. Appena la canzone si conclude, tolgo le chiavi uscendo dalla lussuosa auto, raggiungendo il piccolo bar. La prima cosa che adocchio sono i capelli voluminosi di Amirah che si muovono da una parte all'altra, ogni volta che passa la mano in mezzo ad essi. Studio la sua figura mordendomi il labbro inferiore, cancellando dalla memoria la corta conversazione avuta con Joshua. Il modo in cui i vestiti che ha addosso fasciano il suo corpo mi fanno girare la testa, assetata. Cammino decisa verso di lei, appoggiandole una mano sulla spalla per attirare la sua attenzione. Appena i suoi occhi si posando su di me, sento una piacevole sensazione nel basso ventre. Trascino la mia mano, toccando tutto il suo braccio appoggiato sul tavolo fino alle sue dita per poi sedermi di fronte a lei con disinvoltura. Non rivolgendole neanche una parola, alzo il braccio chiamando il cameriere che si avvicina nervoso. <D-desidera signora?> Lo guardo negli occhi con un mezzo sorriso, appoggiando la mano sotto il mento scrutando il suo viso attentamente. Mi tocco con l'indice le labbra, facendo finta di pensare a cosa prendere, per poi ordinare. I suoi occhi che stavano guardando con avidità le mie labbra si spostano frenetiche per il bar appena gli parlo "Qualcosa di forte per favore. Ho bisogno di lasciarmi andare per un momento" la sua laringe scende e sale visibilmente. Perso, annuisce allontanandosi inciampando nei suoi passi. Appoggio la cartella che ho in mano sul tavolo, spingendolo verso la direzione di Amirah "Lì dentro trovi i diversi luoghi dove vorrei costruire l'autodromo" inchiodo i miei occhi marroni nei suoi verdi, leggendo emozioni contrastanti combattere tra di loro. Mi sporgo verso di lei, tenendo la mano ancora sopra la cartella, abbassando la voce "Presta attenzione...Amirah" sussurro il suo nome con estrema lentezza, scandendo bene. Rimane incantata a guardarmi con la bocca semi aperta. Appoggio l'indice sotto il suo mento, picchiettando tre volte, indulgendola a ricomporsi. Tossisce risvegliandosi dai suoi pensieri, prendendo la cartella dalle mie mani, iniziando a controllare i fogli al suo interno. Il cameriere di prima torna al nostro tavolo con la mia ordinazione. Appoggia il bicchiere riempito d'alcool fino all'orlo, con all'interno una cannuccia, rimanendo fermo accanto a dove sono seduto. Balbettando leggermente, si azzarda a rivolgermi la parola <P-posso avere il tuo n-numero?> Fermo la mano con cui avevo iniziato a girare la cannuccia all'interno della bibita, stringendo la mandibola. Se non fosse per la situazione scomoda in cui mi trovo, avrei riso per la faccia terrorizzata che mi rivolge Amirah. È da poco tempo che mi conosce, ma sa già come sono con le persone che invadano la mia privacy con domande invadenti e fuori luogo. Volgo lentamente lo sguardo verso il ragazzo che mi guarda con occhi pieni di speranza, aspettando la mia risposta. "Che cosa ti fa pensare che io voglia darti il mio numero?" Domando con voce ferma e decisa. Il ragazzo sembra acquisire un po' di fiducia, rispondendo con spavalderia <Dal modo in cui hai flertato con me poco fa. Ho notato come mi stavi mangiando con gli occhi. Non fare la timida ora, possiamo divertirci insieme> la mano di Amirah stringe il mio braccio, cercando di fermarmi dal fare qualcosa di avventato. Bevo tutto in un sorso la bibita alcolica, non rispondendo. Mi alzo dalla sedia, facendo segno a Amirah di fare la stessa cosa, volendo uscire da lì. Faccio un passo in direzione dell'uscita, ma vengo schiacciata contro il tavolo in cui eravamo sedute, dal ragazzo, che mi guarda con desiderio. Le immagini di quando Noah faceva la stessa cosa si confondono con la situazione che sta accadendo in questo momento, facendomi andare fuori di testa. Stringo il collo del ragazzo, conficcando le unghie nella sua pelle, stringendo sempre di più, facendoli quasi perdere il respiro. Con l'altra mano gli tiro uno schiaffo in faccia, allontanandolo da me. Amirah, preoccupata che si possa riavvicinare, si interpone tra me e il ragazzo, che mi guarda con occhio fuori dalle orbite. Non volendomi mostrare debole davanti a lei, mi avvicino ancora scossa al ragazzo, che assomiglia sempre di più a Noah, sbattendo una banconota da venti dollari sul suo petto, spingendolo con forza, facendolo quasi cadere per terra. Sentendo il terrore salire stando così vicino a lui, esco a passo spedito dal bar sotto gli occhi stupiti di tutti gli altri clienti, entrando in auto. Appena a debita distanza, rilascio un sospiro di sollievo, appoggiando una mano sul petto, sentendo il cuore battere con irregolarità. La portiera a lato del passeggero si apre, mostrando una coscia colore latte entrare, seguita da delle braccia del medesimo colore, per poi mettere a fuoco lo sguardo preoccupato di Amirah. <Miray...stai bene?> Chiudo gli occhi, concentrandomi sulla sua voce vellutata. "Ripetilo..." Sussurro sommessamente. La guardo con sguardo supplichevole, avendo bisogno di sentire il mio nome essere sussurrato con così tanta dolcezza da qualcuno "Il mio nome...ripetilo"
"Miray"
L'ansia di poco fa si scioglie come il ghiaccio a contatto con il fuoco.
                                                                                       ***
"Abbiamo visitato tutti i posti possibili ed immaginabili e nessuno ti è ancora piaciuto? Dobbiamo costruire un autodromo Miray, non chissà che cosa" dallo spiacevole episodio al bar sono passate due ore, due ore che giro da una parte all'altra per cercare un luogo adatto per costruire l'autodromo, con Amirah seduta accanto a me; dopo quell’episodio spiacevole, ho scoperto che fosse venuta fino al bar in taxi. Abbiamo visitato almeno cinque aree in vendita, ma nessuna di esse mi ha colpita, portando Amirah a brontolare dell'esasperazione e dalla stanchezza. "Abbiamo un ultimo posto da visitare signorina, dopo possiamo tornare alle nostre abitazioni" camminiamo una accanto all'altra in silenzio, tornando al mio veicolo per poi avviarci verso l'ultimo pezzo di terra in vendita; sperando che ne valga la pena. I tacchi che ho addosso sbattono scomodamente contro la strada ancora non asfaltata del cantiere facendomi sbuffare. <Miray...> L'insicurezza con cui si rivolge nei miei confronti, mi fanno fermare in mezzo al cantiere osservandola attentamente aspettando che esponga la sua paura <Può sembrare fuori luogo ma...potresti almeno chiamarmi per nome quando non ci troviamo in ufficio oppure insieme a qualcuno con cui lavoriamo? Mi farebbe sentire più a mio agio> le sorrido ampiamente per la prima volta, lasciando cadere le mie barriere. "Si certo. Scusami, ma è un abitudine ormai. Nel caso dovessi farlo ancora, fammelo notare senza problemi" risolvendo questo piccolo equivoco riprendiamo la nostra camminata verso l'auto con la mente leggera.
Guido per le strade di New York con Amirah accanto a me, guardandomi attorno catturata dalle luci che avvolgono la città. Sono le 18.23 e il sole sta calando, portando con sé il buio. Mi fermo al semaforo aspettando pazientemente che diventi verde con la testa appoggiata sul finestrino. L'atmosfera all'interno dell'auto, anche se nessuna delle due sta parlando, è leggera.
<Ti è mai capitato nella vita qualcosa che ti ha reso ciò che sei oggi? Che ti ha reso più forte e sicura di te.>
Diverse immagini della mia vita passata si accavallano tra di loro cercando di prendere il sopravvento e uscire per ripetersi e ripetersi fino al tormento. Un sorriso sarcastico non può fare a meno di spuntare sulle mie labbra contornate da un lucidalabbra.
"Non ne hai idea... più di quanto qualcuno si possa aspettare"
Il semaforo non sembra intenzionato a spostarsi dal rosso, che continua a rimanere lì fermo come a costringermi a raccontare un pezzo della mia vita a Amirah.
"31 Dicembre 2014"
Sono le uniche parole che riescono a sfuggire dalle mie labbra e galleggiare per l'abitacolo in direzione di Amirah.
<Che cosa vuol dire?>
Schiaccio l'acceleratore appena il semaforo diventa verde, seguendo il navigatore verso l'ultimo cantiere.
"È l'unica cosa che riesco a dirti"
Non proferisce parola per tutto il viaggio, rimuginando sulle mie parole, cercando di capire qualcosa. Appena parcheggio l'auto, un uomo vestito elegantemente ci aspetta poco fuori dal cantiere, con un sorriso amichevole stampato in volto. Ci presenta il luogo, entrando nei minimi particolari, rassicurandoci che questo sia il terreno migliore su cui investire. Si trova poco fuori New York, affacciato sulla strada principale da cui siamo venute, dando la possibilità a qualsiasi cosa sia costruito in questo preciso punto, di essere avvistato da tutti quelli che passano di lì. Uno sguardo di intesa tra me e la mia socia, mi fa annuire verso l'uomo sulla trentina d'anni, stringendo la sua mano comprando il terreno.
Firmiamo velocemente dei fogli che ci sono stati porti dall'uomo, per poi andarcene da lì. Accompagno Amirah fino a casa, non assecondando le sue suppliche di lasciarla tornare fino alla sua abitazione con il taxi, a notte piena.
Accosto la macchina per la millesima volta sul ciglio della strada avendo raggiunto la sua villetta. Le rivolgo stanca un sorriso di ringraziamento, lasciandola andare.
Schiude le labbra per dire qualcosa, ma si ferma come se avesse paura di dire qualcosa di sbagliato. Aspetto paziente che faccia qualcosa non volendo pressarla. Scuote solamente la testa in segno di negazione prima di aprire la portiera per uscire .
<Buonanotte Miray>
Le afferrò il polso, non pronta a lasciarla andare, permettendole poi di allontanarsi con un ultima frase che rimane sospesa nell'aria, pentendomi subito dopo averle sussurrate.
"Le date...sono la cosa più importante che uno possa mai avere. Raccontano tutto, basta solo cercare"

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