CAPITOLO 13

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Il mio sguardo si posa un'ultima volta sulla bambina che corre via, per poi entrare in macchina, chiedendo a Dina di venire in azienda. Ci mettiamo più del dovuto a tornare, il traffico sembra non volere diminuire. Appena arrivate davanti all'azienda, mi accorgo di due macchine della polizia parcheggiate malamente sul ciglio della strada, come se fossero scesi di fretta all'inseguimento di qualcuno. Parcheggio con calma sotto le nuvole ormai scure, uscendo dalla macchina, aspettando Diana. Appena mi raggiunge entriamo nell'edificio, passando tra i diversi impiegati che lavorano diligentemente, non prestando attenzione a noi. Entriamo in ascensore in rigoroso silenzio, nessuna delle due si sente pronta a dire qualcosa, lei perché non capisce cosa stia succedendo, io perché non voglio far trapelare niente. Le porte si aprono, mostrandoci un corridoio vuoto, circondato dal silenzio assoluto. Mi avvicino alla postazione della mia segretaria, trovando Melissa che rigira la penna tra le sua dita mordendosi il labbro. Appoggio la mano sulla sua stringendola affettuosamente, richiamando la sua attenzione. "Mel..." I suoi occhi si riempiono di lacrime <Signora... Non capisco-> la voce le si spezza, i singhiozzi fanno tremare tutto il suo corpo. "Shh, andrà tutto bene, risolverò la questione. Non entrare nel mio ufficio se non ti chiamo e non far entrare nessuno" annuisce asciugandosi le lacrime, prendendo in respiro profondo <È sicura signora? N-non è un problema per me e-entrare con lei> le rivolgo un sorriso, scuotendo la testa in segno di negazione "Diana, ti dispiace restare qui con Melissa?" corruga la fronte, pronta a controbattere ma la fermo "Per favore Diana, è una questione molto delicata, appena ne avrò la possibilità ti dirò tutto, però questo non è il momento" anche se non completamente sicura, si arrende, avvicinandosi a Melissa, porgendole un fazzoletto "Io vado dentro. Mi raccomando, qualsiasi cosa accada, non entrate"
Apro la porta, trovando quattro poliziotti, due seduti sul divano e altri due che girano per l'ufficio controllando tra gli scaffali e i libri posti nella biblioteca. "A cosa devo l'onore?" incrocio le mani dietro la schiena, camminando con passo cadenzato verso la mia scrivania, puntando lo sguardo sui due seduti ma tenendo d'occhio gli altri che da quando sono entrata, non si sono fermati. <Lei è la signora Tanner, giusto?> annuisco verso l'agente che ha appena parlato, aspettando che continui con le sue domande <Moglie di Noah Stranford?> rimango composta, annuendo un'altra volta "Esatto. Dove vuole arrivare con queste domande? Siete finalmente riusciti a trovare qualcosa? Non posso negare che, se fosse così, ne sarei stupita" sorrido falsamente verso l'agente. Vedo in lui aumentare la rabbia, ma non mi fermo "Siete proprio dei buoni annulla, se mi mettessi ad investigare al posto vostro, troverei sicuramente qualcosa. Forse dovrei farlo" uno dei due che si trovano in piedi si ferma, infastidito. Avanzo verso la bottiglia di whisky posta accanto ad una bottiglia d'acqua, andando avanti a parlare. "Visto che voi sapete già chi sono, mi sembra più che normale sapere almeno il vostro nome" <Jhonas... Forse si ricorda di me> mi mordo il labbro inferiore cercando di ricordarmi dove ho sentito quel nome prima d'ora, ma non riuscendoci <Era venuta da me qualche anno fa a sporgere denuncia...> stavo per versare del whisky nel bicchiere, ma le sue parole mi fanno fermare "Siete quello stronzo che al posto di aiutarmi, ha fatto finta di niente e mi ha derisa? Mi ricordo molto bene di voi, come potrei non farlo" - È meglio se la smette di usare questo linguaggio con noi - uno degli altri agenti mi rivolge la parola in maniera minacciosa. Lo ignoro completamente ponendo una domanda a Joshua "Volete un po'?" domando senza girarmi, mentre riempio il mio bicchiere <Un po' d'acqua va più che bene> prendo un altro bicchiere, riempiendolo questa volta con dell'acqua. Glielo porgo dopo qualche secondo, andandomi a sedere dietro alla mia scrivania. Mentre continuo a parlare, prendo il telefono in mano, facendo finta di controllare qualche mail, per avviare il registratore “Ora che so chi siete, potete dirmi che cosa volete da me? Come potete vedere sono molto impegnata” Muovo il telefono nella sua direzione per enfatizzare le mie parole. Lo osservo mentre si mette le mani nelle tasche dei pantaloni, inclinando la testa verso destra con una smorfia che gli dipinge il volto  <Non pensavo fosse possibile tanta arroganza in una donna. Ora capisco perché suo marito la picchiava, come biasimarlo. Doveva rimetterla in riga in qualche modo, no?> Sorrido, non facendomi minimamente toccare da quello che dice “Allora crede in quello che anni fa gli dissi? Strano, perché allora non mi è sembrato così, si ricorda?” i due poliziotti che stavano setacciando il mio ufficio si fermano, guardando prima me e poi i due poliziotti che si trova di fronte alla mia scrivania. “Oh, nessuno di loro lo sapeva?” mi mordo il labbro inferiore cercando di trattenere un sorriso più ampio “Lasciate che vi racconti come è andata, la farò molto breve-” <Zitta, non siamo qui per parlare di quello che è successo anni fa> Annuisco, spostano una penna fuori posto per poi picchiettare le dita sulla scrivania “Ok, quindi non sei venuto qui per accusarmi di aver ucciso mio marito per quello che è successo anni fa, vero? In questo momento non stai pensando che io mi sia vendicata per quello che ha fatto? Perché se non è così, non capisco il motivo per cui voi dobbiate essere qui, nel mio ufficio, a gironzolare come delle galline senza testa” Il suo volto cambia tonalità, così come le sue nocche. Mi alzo dalla sedia, allungando il braccio verso la porta “Potete pure uscire” I tre poliziotti si avviano verso la porta senza fiatare, trascinando per un braccio un Jhonas furibondo.
Qualche minuto dopo vengo raggiunta da Diana e da Melissa, che ha tutto il trucco colato sugli zigomi e sulle guance. Mi avvicino a quest’ultima, abbracciandola dolcemente, posandole un bacio sulla fronte. “Non è successo niente, stai tranquilla. Non permetterò a nessuno di portarti via da me” Percepisco che annuisce contro il mio petto in maniera meccanica. - Mi potete spiegare cosa sta succedendo? - Guardo Diana, riflettendo su cosa fare, per poi sospirare e farle un cenno con la testa di sedersi. “Ci sono tante cose che ancora non sai”

***

Dopo aver raccontato a Diana quello che è realmente accaduto, siamo tornate a lavoro. La polinesiana è tornata nella sua azienda, mentre la mia segretaria è andata a sedersi dietro alla sua scrivania. Durante tutta la giornata Melissa era spaventata, ogni volta che qualcuno usciva dall’ascensore, sobbalzava per la paura e alzava lo sguardo verso di me. Da dietro alle vetrate cerco di rassicurarla il meglio che posso, ma con scarsi risultati; è distratta e stanca. Prendo il telefono fisso che si trova sulla scrivania, chiamando Melissa dall’altra parte, chiedendole di raggiungermi nel mio ufficio. <Mi dica signora> La faccio accomodare sul divano, sedendomi accanto a lei “Puoi pure tornare a casa, qui è tutto a posto. Prenditi del tempo per stare un po' da sola senza dover pensare al lavoro” <Ma signora> scuoto la testa in segno di negazione, non facendola continuare “No Melissa, vai a casa, qui ci penso io” annuisce grata, stringendomi in un abbraccio inaspettato <So che non ti piacciono gli abbracci, e so anche che pensi di non avere un cuore, ma non è così. Non ho mai avuto accanto una persona come te Miray...grazie” le rivolgo un sorriso debole, lasciandole una carezza sulla guancia <Vai>. La osservo uscire dall’ufficio e prendere le sue cose per poi salire in ascensore. Appena le porte si chiudono mi lascio andare in un sospiro. Rimango seduta sul divano, chiudendo gli occhi. Il silenzio regna sovrano attorno a me, con l’uscita di Melissa, l’ultimo piano dell’edificio è vuoto. Molte domande mi frullano per la stessa, ancora senza risposta. Chi ha manomesso l’auto? Chi ha lasciato quella lettera? Cosa vuole Joshua? Chi è quella bambina dagli occhi azzurri? E soprattutto, devo fidarmi di Amirah?
Esasperata, mi strofino il volto con le mani. <Sapete, è la prima volta che vi vedo così> alla sua voce mi pizzico il naso con le dita, per poi aprire gli occhi e rivolgere lo sguardo verso la persona che ha parlato. “Signorina, prima entra nella mia camera di ospedale senza bussare, e adesso anche nel mio ufficio? Non pensa di star prendendo troppa confidenza con me e i miei spazi?” Non rimane offesa davanti alle mie parole, anzi, sorride e si siede accanto a me <L’ospedale non mi sembra che fosse suo, e per quanto riguarda adesso, sono salita ma Melissa non c’era, quindi ho fatto di testa mia> Ed è qui che si sbaglia signorina, l’ospedale è mio” la sua espressione sbalordita mi fa sorridere, talmente tanto che per non farglielo notare, mi copro la bocca. <Ha davvero comprato tutto l’ospedale?> annuisco divertita “I soldi non mi mancano” I suoi occhi verdi sono puntati su di me, scrutandomi attentamente <Me lo sarei dovuta aspettare, siete abituata ad avere tutto quello che volete… > il sorriso di poco fa sparisce. Alzo un sopracciglio, inclinando leggermente il capo “E con questo cosa vorrebbe dire signorina?” le domando in modo aggressivo. Come per difendersi dal mio tono, incrocia le braccia al petto <Semplicemente che da quando avete ereditato questa azienda, pensate che tutto vi sia dovuto, o sbaglio? > Il suo tono di sfida mi fa storcere la bocca e digrignare i denti, ma cerco di mantenere la calma “E da cosa lo deduce? Da quando sono diventata CEO di questa azienda, ho lavorato duro, niente mi è stato regalato, non qui dentro e non nella mia vita privata. Ve lo ripeto un’altra volta, non sapete niente di quello che ho passato, quindi gradirei che la smetteste di puntare il dito contro di me”
Scuoto la testa sbuffando; chi avrebbe mai pensato che una donna così bella e intelligente, potesse trarre conclusioni affrettate sugli altri “Ci conosciamo da poco tempo, perciò non capisco da dove venga tutta questa ostilità nei miei confronti. Se non sbaglio le ho offerto la possibilità di lanciare nel mercato internazionale una macchina nuova insieme a me, cosa che non faccio mai. Le sto dando la possibilità di rendere la sua azienda molto più nota di quanto non lo possa mai essere, il tutto, senza chiedere niente in cambio” <È proprio questo il problema, nessuno dà mai ad un’altra persona un’opportunità del genere, senza volere qualcosa alla fine. Ho il presentimento che una volta immessa nel mercato la nostra invenzione, dopo aver approfittato di me e della mia azienda, lei mi pugnalerà alle spalle. Non ha mai tradito qualcuno nella sua vita signora Tanner?” Mi alzo in piedi raggiungendo l’attaccapanni, prendendo il mio cappotto, indossandolo” Se mi sta accusando di qualcosa, che me lo dica in faccia, e non con questi giochetti” Raggiungo spedita la porta, uscendo dall’ufficio, con la signorina Aceveds dietro che mi segue <Può biasimarmi?! La mia azienda nei confronti della sua, non è niente. Devo tutelare me stessa e i miei impiegati!!> Schiaccio il pulsante sul muro, facendo di conseguenza aprire le porte dell’ascensore “Non ne voglio più parlare” Entro, seguita ancora da lei, che non la smette di accusarmi <È proprio perché non so niente che sono così restia a fidarmi di lei, e credo che capisca perché> Appena le porte si chiudono, stringo nelle mani la sua giacca in pelle, per poi sbatterla al muro con forza. Il suo volto si contorce ed un mugolio di dolore esce dalle sue labbra “Mi ascolti molto attentamente. Fino ad ora sono stata molto gentile nei suoi confronti, ma adesso basta. La smetta con queste fesserie e magari mi dimenticherò di quello che è appena successo, altrimenti…” <Altrimenti cosa?! Mi caccia dalla sua azienda? Mi uccide?! Che lo faccia pure, non ho paura di nessuno, e tanto meno di lei!>. La osservo mentre continua ad urlare. I suoi occhi di un verde smeraldo adesso sono scuri e non la smettono di guardarmi. Le sue labbra rosee e leggermente tagliate sono vicine al mio volto, sicuramente arrossato per la rabbia che bolle dentro di me. Le parole di Melissa rimbombano nella mia testa, facendomi tremare e stringere di più la giacca che ho tra le mani “Smettila…” sussurro lentamente “Smettila, altrimenti te ne pentirai…” ci guardiamo negli occhi, entrambe infuriate, ma per motivi diversi. Vedo la sua mano alzarsi e appoggiarsi sul mio collo, stringendolo leggermente, facendoci di conseguenza avvicinare più di quanto non lo fossimo già <Non me ne frega un cazzo di quello che dite, e non me ne frega un cazzo delle vostre minacce> il suo respiro affannato si scontra sul mio volto. Allungo una mano, schiacciando il pulsante che ferma l’ascensore. “Ti ho detto di smetterla, cosa non ti è chiaro delle mie parole?” Se i suoi occhi alla mia azione mi guardavano incuriositi, adesso sono tornati a guardarmi con rabbia. <E a te cosa non è chia-> non la lascio finire, lasciandomi andare, e ascoltando il consiglio di Melissa. Appoggio famelica le mie labbra sulle sue leggermente dischiuse, premendo il mio corpo contro il suo. Le nostre labbra inizialmente si toccano con cautela, come se avessero paura l’una dall’altra, per poi avvicinarsi sempre più vogliose. La sua bocca è calda e bagnata contro la mia, facendomi fremere per l’eccitazione e per la voglia di toccarla. La sua lingua entra con prepotenza nella mia bocca, impossessandosi di essa. Non ho quasi più fiato, ma non voglio staccarmi; ho bisogno di continuare ad assaporarla. Si stacca con uno schiocco <Che cosa stiamo facendo?> sussurra a fior di labbra. “Stai zitta per una volta” gemo. I suoi occhi luccicano e mi guardando con un intensità travolgente. Lascio andare la giaccia, appoggiando una mano sul suo fianco e una sul polso della sua mano, che stringe ancora il mio collo. Vengo spinta e fatta indietreggiare fino alla parete opposta. Rimane ferma, con il corpo appoggiato al mio, quasi incredula di quello che sta succedendo. “Amirah” pronuncio il suo nome per spronarla a fare qualcosa, qualsiasi cosa. Con la stessa mano con cui mi stringeva, mi fa voltare il capo lateralmente, appoggiando la forte sulla mia guancia, facendo scontrare il suo naso con il mio collo <Ripetilo ancora…> Il suo sussurro mi fa venire i brividi su tutto il corpo. Deglutisco, gemendo involontariamente il suo nome. Mi stringe un fianco, appoggiano la bocca sull’incavo del collo, lasciandoci dei baci umidi. Cerco di cingere le sue spalle, ma mi blocca, incrociando i polsi uno sull’altro, sopra la mia testa <Stai ferma> ricomincia a lasciare dei baci sulla mia pelle calda, scendendo fino al mio petto, lasciato scoperto dalla camicia aperta, ma non ha il tempo di andare oltre, che l’ascensore inizia a muoversi. Ci stacchiamo in fretta l’una dall’altra prima che le porte si aprano, cercando di sistemarci al meglio. Non ci guardiamo negli occhio e ci incamminiamo con disinvoltura verso la mia auto. Nessuna delle due parla per tutto il tragitto. <Vorresti uscire a cena stasera?> mi fermo accanto all’Audi r8, guardandola incredula <Non credo che quello che è successo in ascensore abbia risolto i problemi tra noi due… Abbiamo bisogno di parlare, per il nostro bene e quello delle nostre aziende> Mi mordo il labbro inferiore riflettendo sulle sue parole, prima di annuire. “Hai ragione, dobbiamo parlare” Sorride leggermente per poi allontanarsi senza aggiungere altro. Entro in auto, togliendomi il cappotto e lanciandolo nel sedile del passeggero, sentendo ancora sulla pelle i suoi baci e le sue mani che mi stringono. Metto in moto, ma prima che possa uscire dal parcheggio, mi arriva un messaggio.

Ti vengo a prendere alle 21, conosco un ristorante che sicuramente ti piacerà.

Rispondo con un semplice ok, per poi avviarmi verso casa con in testa l’immagine dei suoi occhi verdi e delle sue labbra.

Who wins? (girlxgirl) Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora