CAPITOLO 29

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La porta dell’ufficio viene spalancata con forza. Un Kayden affannato e completamente fuori posto, giacca stropicciata, capelli all’aria e respiro affannato, si presenta davanti I nostri occhi.
“Che sta succedendo?” chiede cercando di riprendere il respiro, appoggiandosi una mano sul petto. “Ho corso. Ero uscito a piedi” ci fa sapere notando le nostre espressioni confuse e preoccupate. Annuisco frettolosamente, girandomi verso Melissa.
“Fagli vedere le foto” dico con convinzione, invitando i due a sedersi sul divano. Melissa fa come richiesto, per niente diffidente nei confronti del suo ragazzo. L’uomo le afferma senza farselo ripetere due volte, studiandole attentamente con le sopracciglia aggrottate. Sia io che Melissa aspettiamo una sua reazione, lei seduta accanto a lui, io appoggiata alla scrivania con me braccia incrociate.
“Come hai fatto ad incastrarlo?” domanda l’uomo in questione, porgendomele con mano e sguardo fermo.
“Non c’era un solo investigatore, ma due” confesso, lasciando andare le foto dentro alla busta, sigillandola. “Dobbiamo farlo ora. Prepariamo l’accusa e risolviamo la questione” dico, cercando qualche obiezione da parte loro. Kayden annuisce d’accordo con me, mentre Melissa è in disaccordo.
“Questa cosa non mi convince. Sei sicura? Non credo possano bastare come prove per farlo finire in carcere” dice mordendosi il labbro inferiore.
“Hai ragione. Finirà in prigione per un paio d’anni se non meno. Per questo è importante lavorare insieme e provare che sia stato lui ad investire Amanda” Melissa si alza in piedi incredula, mentre Kayden ci guarda confusi.
“Chi è questa Amanda?” domanda spostando lo sguardo da me alla sua ragazza, cercando di capirci qualcosa.
“La sorella di Amirah. Oggi eravamo fuori, quando è avvenuto l’incidente” dico ad entrambi con un sospiro. “Credo volesse uccidere me, colpendo invece Amanda che era a qualche metro di distanza”
“Perché pensi che volesse fare un’azione del genere?” domanda Kayden, prendendo per mano Melissa, portandola a risedersi.
“Credo che lui sia venuto a conoscenza delle prove di cui siamo in possesso…” ammetto ai due che rimangono impietriti davanti alla scoperta. “Uno degli investigatori che ho ingaggiato è palesemente stato corrotto…forse ci ha in qualche modo sentite parlare” dico a Melissa che evita il mio sguardo. “Che c’è Mel?” le chiedo, avvicinandomi per sedermi accanto a lei.
“Ho un brutto presentimento…” il suo nervosismo non fa altro che farmi dubitare di quello che sto per fare, ma in fin dei conti, o agiamo ora che abbiamo qualcosa con cui poterlo rinchiudere, oppure dovremmo aspettare mesi, anni per riuscire a trovare altro con cui incarcerarlo dopo che queste prove verranno considerate nulle.
“Non siamo soli, abbiamo dalla nostra parte Amirah e ben presto anche Diana” la donna seduta accanto a Kayden si irrigidisce subito.
“Ti fidi così tanto di lei?” domanda in un sussurro, guardandomi di sottecchi. Annuisco brevemente, capendo subito che sia parlando della donna dagli occhi verdi, probabilmente ancora in ospedale accanto alla sorella.
“Ha dimostrato più e più volte di meritarsela” non solo perché c’è tra di noi un rapporto che va oltre quello professionale, ma perché non ha mia messo in dubbio una mia decisione lavorativa, ha sempre collaborato e contribuito quando veniva richiesto. Inoltre, non metterebbe in repentaglio il progetto che abbiamo in corso. “Per ora farò finta di essere troppo intenti ad assicurarmi che Amanda sta bene, così tanto da non poter fare altro, mentre voi due fingerete al contempo di star pensando solo al progetto. Mettete quell’auto a gareggiare, subito” comando autoritaria, nell’esatto momento in cui suona il telefono.
“Non potevi trovare momento migliore per chiamarmi. Dobbiamo parlare. Riesci a raggiungermi in ufficio?” Diana risponde affermativamente, mentre Hana, probabilmente accanto a lei, le urla qualcosa talmente forte che riesco a sentirla pure io.
“Ci vediamo tra mezz’ora” risponde, urlando qualcosa di rimando alla sua ragazza, prima di spegnere la telefonata. Kayden e Melissa sono nel loro mondo, affiatati come non mai, si stringono l’uno all’altro sul divano in pelle, ignari del mio sguardo puntato su di loro. Sorrido alla vista di un amore del genere. Il giovane Forbes le accarezza la guancia, guardando la mia segretaria con affetto, quasi incantato dalla sua bellezza. Melissa d’altro canto, gli bacia il palmo della mano, chiudendo gli occhi sotto alle dolci carezze del suo amato. Sono entrambi molto diversi da me e Amirah. Se loro sono simili a due docili farfalle che si amano in piena primavera, io e lei siamo la loro controparte. Sconquasso i due bruscamente, risvegliandoli dal loro sogno ad occhi aperti.
“Ora iniziano i giochi” affermo ai due, stringendo la mandibola con forza. A pagarne le conseguenze di queste azioni saremo noi quattro.
Diana entra dalla porta, buttando la borsa che ha sulla spalla per terra, portando le mani ai fianchi, con uno sbuffo.
“Non sono pronta a sposare Hana. La amo, si, ma quando mi obbliga a preparare da mangiare proprio non la sopporto. Cosa si aspetta che le prepari? Un panino?” borbotta sedendosi in mezzo a Kayden e Melissa che la guardano confusi. Le loro mani vengono staccate dalla polinesiana, che guardando le loro dita intrecciate, fa una faccia disgustata. “Non anche voi, grazie” dice appoggiandosi allo schienale del divano, spalla contro spalla con i due. “Allora? Che cosa mi volevi dire?” chiede mentre cerca di farsi spazio per stare comoda. Melissa sbuffa infastidita, alzandosi in piedi. Diana la ringrazia raggiante, non accorgendosi della poca contentezza della bionda, che le sorride falsamente; sono sempre andate d’accordo, ma a quanto pare l’intromissione di Diana non le è andata bene. Cammino verso la porta chiudendola, prendendo la borsa lascia a terra, cercando di pulirla con le mani.
“Dobbiamo incastrare il signor Barton” dico osservando il modo in cui ferma i suoi movimenti. Se fino a poco fa stava scherzando con Kayden, che leggermente perso di fronte alla sua esuberanza annui a semplicemente, si blocca all’improvviso, sgranando gli occhi.
“Ok…come vorresti fare?” domanda accavallando le gambe. Riprendo le foto di prima, porgendogliele con un sospiro.
“Nono faremo subito. Dobbiamo preparare l’accusa, e per questo avremo bisogno di un buon avvocato – mentre parlo Kayden si alza, afferrando il telefono dalla tasca dei pantaloni – ora come ora dobbiamo raccogliere tutto quello che abbiamo e discutere sul da farsi. Quando lo faremo? Come? Dove? Tutti dettagli a cui dobbiamo pensare” dico nell’esatto momento in cui Diana sta sfogliando le ultime foto. “Deve essere fatto in grande. Più pubblico possibile, meglio sarà per noi. Le prove che abbiamo non sono abbastanza per farlo incarcerare per anni, ma se mettiamo in mezzo anche i giornali, potremmo guadagnare qualcosa in più. Più persone sanno, più pressione avranno i giudici quando dovranno prendere una decisione” faccio sapere ai presenti. Diana annuisce, riponendo le foto nella busta.
“Hai ragione. Queste foto sono un inizio, ma non bastano. Stiamo parlando di un tuo socio e non solo, ha soldi abbastanza per corrompere chiunque. Se riusciamo a rendere tutto più grande di quello che è, forse avrà più difficoltà ad uscirne pulito” commenta con un sospiro. “Chiederei ad Hana di farti da avvocato, ma è stata contattata da un cliente in questi giorni, perciò non è disponibile. Se vuoi posso mostrargliele – alza le foto per farmi capire di cosa sta parlando – per farci un’idea” conclude con un mezzo sorriso. Annuisco di fronte alla sua proposta, nell’esatto momento in cui Kayden esulta.
“La signora Sawyers, l’avvocato personale della famiglia Forbes è disponibile, ma non sarà qui entro settimana prossima. Vediamo cosa dice Hana riguardo alle foto, poi non appena lei torna, fissiamo un incontro. Le manderei tutto ora, ma non si fida a parlare di questioni importanti via messaggi” dice continuando a scrivere.
“Perfetto, faremo così. Ora dobbiamo solo aspettare. Come ho detto prima, facciamo finta di niente” dico, mentre Melissa alle mie spalle batte il piede sul pavimento con nervosismo.
“Non mi convince. Forse è meglio se non lo facciamo” dice “È una persona scellerata, si, ma facendo ciò, rischi di danneggiare anche te stessa. Quando dicevo che dovevamo liberarci di lui, intendevo allontanarlo dall’azienda, non questo” continua ansiosamente, mordendosi il labbro inferiore e corrugando la fronte.
“Persone empie come lui, si meritano di peggio” sibilo girandomi verso di lei. “Vuoi per caso dirmi che esecrare individui del genere sia sbagliato?” chiedo avvicinandomi pericolosamente al suo volto; non è mai successo che io e lei fossimo così in disaccordi.
“Miray-“
“Stanne fuori Kayden” sibilo senza spostare lo sguardo da quello di Melissa.
“Mi sono sempre presa cura di te. Quello che sto cercando di fare adesso, non è diverso da quello che facevo quando eri più piccola” risponde a denti stretti, non allontanandosi di un centimetro. L’atmosfera in ufficio si fa più pesante, piena di rabbia e parole non dette.
“Non sono più quella ragazza indifesa di allora. Capisco che tu stia cercando di proteggermi, ma ora non è il momento” dico rilassando le spalle, non appena la donna che ho di fronte sospira arrendevole.
“Questione di abitudine” mormora con un piccolo sorriso, scusandosi a suo modo.
“Ok, ora che avete risolto – batte le mani l’una contro l’altra – possiamo uscire e andare da qualche parte? Sono stufa di stare qua dentro, troppo stress per i miei gusti” esclama Diana, guardandoci da seduta uno ad uno. Sospiro con poca convinzione, ma accorgendomi del modo in cui Kayden e Melissa cercando di stare vicini senza sentirsi a disagio in questo ambiente, annuisco d’accordo con lei.
“Va bene…ma da domani si fa sul serio. Voi andate pure, scherzate e ridete, fate finta di non sapere niente delle foto, io devo raggiungere Amirah. Voglio assicurarmi che stia bene” alle mie parole, i tre non se lo fanno ripetere due volte, uscendo dall’ufficio in fretta. L’unica a fermarsi qualche secondo in più e Melissa, che si scusa per la discussione che abbiamo avuto poco fa, chiudendosi la piega alle spalle quando la congedo.
Sei in ospedale?  Mando un messaggio veloce ad Amirah, mettendomi alle spalle il cappotto, tenendo gli occhi puntati sullo schermo nero che si  illumina qualche secondo dopo, indicando un messaggio da parte della corvina.
Si, sono sola. Risponde, conscia del fatto che non la raggiungerei se i suoi genitori fossero lì con lei. Non le scrivo nient’altro, avviandomi verso l’ascensore. Scendo in poco tempo all’ultimo piano, salutando qualche dipendente che spaventato mi saluta frettolosamente, mettendosi a lavorare ancora con più intensità. Sorrido sotto i baffi, non potendo fare a meno di sentirmi appagata di fronte al loro rispetto nei miei confronti; che sia rispetto o paura, non cambia molto, finche fanno quello che devono senza lamentarsi o sbagliare.
Esco dall’azienda, trovando Kayden, Melissa e Diana litigare animatamente per scegliere un posto dove andare nel tardo pomeriggio. Li saluto da lontano, entrando in auto, avviandomi verso l’ospedale. L’arrivo è leggermente diverso dall’ultima volta. La preoccupazione è sempre presente, ma al contempo minore rispetto a ieri. I gradini fino all’entrata gli salgo più velocemente, la segretaria seduta dietro alla scrivania non cerca di fermarmi, ormai riconoscendomi e il tragitto verso la stanza non è fatta di fermate e tentativi di deviare. Picchietto le nocche sulla porta bianca, aspettando il permesso di entrare.
“Come sta?” è la prima cosa che chiedo, non appena metto piede nella stanza non più completamente buia. Amirah si alza in piedi, lasciando la mano della sorella, per lasciarsi andare fra le mie braccia. Le stringo forte le spalle, baciandole la tempia con affetto.
“Meglio. I suoi parametri sono stabili, riesce a respirare da sola senza bisogno di essere aiutata come qualche ora fa. Dovrebbe svegliarsi tra qualche giorno” sussurra senza lasciarmi andare. Le borse sotto gli occhi sono l’indicazione necessaria per farmi capire che ha dormito poco, se non zero.
“Sei riuscita a riposare?” chiedo accompagnandola verso la sedia. Scuote la testa in dissenso, sospira di stanca.
“No, non riesco. I miei genitori non restano a dormire qui la notte, e l’idea di non essere pronta ad aiutarla se le dovesse succedere qualcosa, non mi alletta per niente. Di giorno invece devo occuparmi dell’azienda – indica alcune scartoffie lasciate disordinatamente sul piccolo tavolo – quindi no, non credo riuscirò a dormire nei giorni a venire, così come oggi non ho potuto fare altro che preoccuparmi di lei mentre la operavano e adesso che è qui sola” le afferro il viso, portandola ad alzare lo sguardo. Le accarezzo gli zigomi, guardando i suoi occhi verdi studiarmi con attenzione. Avvicino le labbra alle sue, lasciandole piccoli baci a stampo.
“Resto io qui. Dimmi quello che stai facendo con quei fogli, che risolvo tutto mentre dormi” sussurro ad un passo dalla sua bocca. Con occhi socchiusi annuisce, baciandomi con più trasporto. Assaporo le sue labbra, stringendole i fianchi.
“Vai” mormoro, spingendola verso il piccolo divano che le è stato portato per poterci dormire.
“Stavo valutando i bilanci per capire se è tutto apposto” dice con uno sbadiglio, sdraiandosi stanca. Si stiracchia esausta, mentre la copro con una coperta troppo sottile per il clima che c’è a New York.
“Me ne occupo io. Dormi”
Chiude gli occhi lasciandosi andare con un sospiro fra le braccia di Morfeo.
Mi siedo sulla sedia in cui Amirah si trovava poco fa, prendendo i fogli, lanciando un’occhiata al volto di Amanda. Il suo petto si alza e si abbassa autonomamente, senza il bisogno di tubi o altri accessori. Sbuffo massaggiandomi la fronte, leggendo con occhi stanchi le piccole lettere scritte su ogni foglio.
È nata da poco come azienda, questo lo sapevo già, ma ogni volta che vedo i suoi rendimenti, non posso fare a meno di rimanere a bocca aperta di fronte a tanta capacità di gestire un’azienda senza farsi mettere in piedi da nessuno. A quest’ora, un’azienda come quella di Amirah se venisse gestita da qualcuno altro, sarebbe già agli sgoccioli. Comprata da qualcun altro oppure portata al limite fino a dichiarare bancarotta…lei invece è riuscita ad approfittare della mia offerta, si è fatta pubblicità nella maniera più intelligente possibile, continuando a gareggiare con altre aziende che hanno un patrimonio molto più grande del suo. La mia offerta ha ovviamente giovato a suo favore, ma sono sicura che se non l’avesse accettata, sarebbe riuscita comunque ad arrivare fino a questo punto.
Non mi sono mai fidata così tanto di qualcuno dopo quello che è successo con Noah, ma con lei è stato diverso. Forse la sua intraprendenza, forse il fatto che sia una donna o forse perché in fondo in fondo provo dei forti sentimenti per lei, ma l’ho fatto, e il modo in cui anche lei si fida di lasciarmi il compito di occuparmi di controllare il bilancio della sua azienda, dimostra che forse non ho sbagliato ad avvicinarmi a lei. Ha accettato in fretta quando me ho parlato dell’idea che avevo di modificare l’auto, come se le bastasse il fatto che io fossi d’accordo e convinta della mia idea, così come anche Diana non ci ha pensato due volte a dire di sì.
Prendo la penna lasciata sulla scrivania, appuntando qualche suo punto debole sul foglio, sottolineandole le problematiche più evidenti e rischiose.
Finisco che sono le ventuno e trenta. Amirah dorme ancora, rannicchiata in sé stessa, cercando calore. Le appoggio sulle spalle anche il mio cappotto, osservando come piano piano la sue espressione sofferente, si distende in una più rilassata. La lascio riposare, sapendo che non potrò starle accanto le notti a venire, e che quindi non dormirà; anche se è la prima di tante che starà qui, è meglio se dorme.
La porta della stanza viene aperta lentamente, cercando di non fare rumore. Inizialmente penso sia  un infermiere venuto per controllare come sta la paziente, ma a rivelarsi è Gerald, che si ferma osservando la situazione che si mostra ai suoi occhi; le sue due figlie che dormono, vulnerabili e alla preda di tutti, che vengono tenute d’occhio, in un certo senso anche protette, da chi è considerata dalla sua famiglia la causa dell’incidente della figlia minore. Un paradosso.
Inizialmente non reagisce, stringendo la maniglia in plastica, mentre mi guarda impassibile. Faccio per alzarmi, ma senza proferire parola l’uomo alza la mano, facendomi segno di stare lì dove sono. Faccio come dice, osservandolo entrare nella stanza in cui è calata la notte, e chiudersi la porta alle spalle.
“Non ti ritengo colpevole” sussurra lasciando una carezza sul volto di Amirah, studiando il cappotto che le ho messo per coprirsi, per poi avvicinarsi ad Amanda, lasciando la figlia maggiore con un sorriso sulle labbra, come se avesse riconosciuto il tocco del padre. Alle sue parole abbasso semplicemente lo sguardo, non accettando pienamente quello che dice. Se io sono la prima a ritenermi colpevole di quello che è successo alla giovane ragazza, come posso sentirmi sollevata alle sue parole? Non posso, ed è per questo che non dico niente. Deglutisco forzatamente, incrociando le braccia al petto e accavallando le gambe sentendomi indifesa.
Sposta lo sguardo da Amanda, osservando i fogli che ho appoggiato sulle mie gambe con un cipiglio.
“Ha un vizio, uno che neanche sua madre apprezza ma che io ho sempre adorato. Lo conosci?” sposto gli occhi su Amirah, ricordando quella volta che è scesa in cucina quando è rimasta a casa mia.
“La mela. Ne mangia una ogni singola notte, alle tre del mattino” dico, sorridendo con leggerezza, indicando il piatto che ho preparato per lei, con il frutto in questione. Gerald sorride a sua volta, annuendo per poi pormi un’altra domanda.
“Sai quali sono le sue più grandi paure?” chiede stringendo la mando di Amanda.
“Perdere la sua famiglia” dico in un sussurro.
“Quello credo sia la paura di tutti. Lei ne ha altre, dalle più serie alle più bizzarre” afferma con voce bassa, non potendo parlare normalmente con la corvina alle sue spalle.
“L’alta velocità, per essere più specifici quando qualcuno guida al suo posto e lei è in macchina con loro” rispondo, alzando con cautela gli occhi. Con un piccolo sorriso annuisce, scuotendo la testa probabilmente ripensando a qualcosa.
“Non ha mai permesso a nessuno di guidare, oltre che a suo padre…se si parla di andare veloci, accetta solo me alla guida” dice volgendo lo sguardo verso la persona di cui stiamo parlando.
“Non più…” mormoro, ricordando quella volta che per farsi perdonare è salita a fare le prove insieme a me, troppo testarda per scendere. Gerald si gira improvvisamente verso di me, osservandomi con occhi sgranati.
“Non è possibile. Lei non…” non riesce a finire la frase, ancora troppo incredulo. Boccheggia, cercando di dire qualcosa, ma senza successo. Alla fine si limita a sospirare, lasciando andare la piccola Aceveds, avvicinandosi a me.
“Ti ha permesso davvero di guidare al posto suo?” chiede conferma a qualche passo da me. Mi alzo in piedi, cercando di essere al suo livello, ma con poco successo.
“Si…voleva farsi perdonare per una discussione che abbiamo avuto” rispondo, capendo l’importanza che come padre ha dato all’esclusività che aveva fino a poco fa con sua figlia, frantumata da una persona esterna e a lui sconosciuta. Ride con ironia, portando la mano ai capelli, stringendo forte.
“Ti ama…” sussurra bianco in volto. “Che cosa sta combinando?” domanda tra sé e sé, girandosi verso Amirah, con l’intento di svegliarla. Lo afferro subito per l’avambraccio, fermandolo in tempo.
“So che non apprezza quello che c’è tra sua figlia e me…ma non ne parli con lei ora. Ha bisogno di riposare, lo faccia domani” supplico senza lasciarlo andare, aspettando che si tiri indietro da ciò che voleva fare.
Quando sono pienamente convinta che non la svegli, mi allontano.
“Non capisci Miray. Mi dispiace” dice guardando un’ultima volta le sue due figlie, uscendo dalla stanza. Confusa da questo incontro e dalle sue ultime parole mi risiedo, cercando di non addormentarmi e riuscendoci fino a domattina. Una notte lunga e lenta, fatta di Amirah che si è svegliata a mangiare, senza però proferire parola, ignorandomi completamente, troppo assonnata per accorgersi della mia presenza.
Amirah si sveglia verso le nove, trovandomi intenta a leggere un giornale che ho trovato la notte nell’armadio che c’è in stanza. La pila di tutti gli altri che ho letto durante la notte sono per terra che mi fanno da poggia piedi.
“Buongiorno” mormoro chiudendo il giornale, mentre lei si mette seduta strofinandosi gli occhi.
“Sei davvero rimasta sveglia tutta la notte?” domanda sbalordita, alzandosi per avvicinarsi a me.
“Te l’avevo promesso” dico lasciandomi andare allo schienale, prendendo i fogli con i bilanci. “E ho controllato anche questi” affermo, porgendoglieli. Con i muscoli della schiena indolenziti, mi alzo a fatica, recapitando il cappotto. “Forse è meglio se vado” le faccio sapere, mentre è ancora intenta a guardarmi stupita. Mi avvicino, prendendo le sue mani sulle mie. “Devo davvero andare. Se tua mamma dovesse trovarmi qui, non credo lo apprezzerebbe” si risveglia dai suoi pensieri annuendo, lasciandomi un bacio casto sulla guancia.
“Grazie” sussurra, accompagnandomi fino alla porta. “Quando se ne vanno ti faccio sapere, così se puoi passare vieni”
“Ricordati di tornare a casa qualche volta, hai bisogno di una doccia” la prendo in giro, tappandomi il naso, facendo finta di non sopportare l’odore che ha addosso. Per niente offesa mi dà uno schiaffo sul braccio coperto, spingendomi fuori.
“Questo vorrà dire che non ci vedremo per un po’ allora, visto che non mi apprezzi in queste condizioni” afferma con un sopracciglio alzato, sfidandomi con lo sguardo. Alzo le spalle con disinvoltura, facendo finta che non mi interessi.
“Va bene, per me non è un problema” le dico mentre mi allontano. Mi giro camminando all’indietro, guardando la sua espressione.
“Miray!” urla in mezzo al corridoio, uscendo dalla stanza solo con la testa.
“Prenditi cura di te!” le urlo a mia volta, girando l’angolo solo dopo averla vista sorridere, tornando a casa per cambiarmi.

Who wins? (girlxgirl) Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora