Svegliarsi in un letto ed una casa vuota ormai era cosa comune per me. La mia routine quotidiana consiste nel svegliarmi presto per prepararmi ad andare a lavoro, farmi una doccia calda o fredda a seconda di come mi senta quel giorno e indossare i soliti vestiti appesi uno accanto all’altro in un ordine preciso. Cose normali dopotutto, se non fosse per il fatto che ad ogni mio singolo movimento mi sento come se non fossi lì presente, come se stessi seguendo il tutto da fuori. Esattamente quella mattina vengo svegliata da una telefonata da parte di Melissa. Non è nella mia indole rispondere con dolcezza alle persone di cui non mi fido, oppure che non conosco a fondo, ma essendo che Melissa prima di essere la mia segretaria personale, è stata colei che a casa mi puliva le ferite procurate dal mio ex-marito, non riesco a essere irrispettosa nei sui confronti. Passare dal essere una semplice cuoca, ad una segreteria non è da tutti i giorni, soprattutto per una donna come lei che nella sua vita ha solo lavorato come domestica.
“Signora, spero di non averla svegliata.” sbadiglio ancora assonnata, borbottando una risposta insensata, prima di riprendermi e riuscire a formulare una frase con un senso compiuto.
"In realtà si. Dimmi che cosa hai da dirmi?" vado diritto al punto, sperando di poter tornare a dormire, non avendo intenzione di andare in azienda oggi, troppo esausta per poter affrontare continue lamentele e scartoffie.
“Ho parlato con la signorina Amirah Aceveds. Ho cercato di fissarle un appuntamento per questo pomeriggio, ma la signorina ha richiesto se era possibile per questa mattina. Sono stata obbligata ad accettare, altrimenti l'incontro si sarebbe spostato a settimana prossima.” sbuffo non piacendomi molto questa situazione, accarezzando il lato in cui non ho dormito.
"D'accordo, nel caso arrivi in azienda prima di me, falla accomodare nel mio ufficio." sposto le pesanti comperate che mi coprono, rabbrividendo dal freddo.
“Va bene signora. Lo farò. Arrivederci.” chiudo la chiamata, lasciando andare il telefono sul letto matrimoniale, . Appoggio i piedi scalzi sul pavimento, alzandomi definitivamente dal materasso su cui sono seduta. Mi sfilo la maglietta che ho addosso, rimanendo nuda nella stanza vuota e troppo grande per ospitare una sola persona. Con passo lento mi reco verso l'armadio bianco appoggiato a lato della stanza, aprendo le ante che scricchiolano al minimo movimento. Picchiettando con il dito sul legno, osservo tutte le gonne scure e le camice che uso solo a lavoro, cercando qualcosa di ideale da indossare. Per niente intenta a rimanere ferma a lungo per cercare gli indumenti, tiro fuori una gonna stretta, quella che mi capita a portata di mano, con una maglietta a maniche lunghe anch’essa stretta. Appoggio il tutto sul dorso di una sedia accanto all'armadio, recandomi verso il bagno per farmi una doccia. Sfioro la manopola, optando per l'acqua fredda volendo rilassare i muscoli irrigiditi del mio corpo stanco. I muscoli tesi premono con forza sulle vertebre della schiena, creando un disconforto che pare non volersi allontanare presto. Allungando il collo cercando di stendere i muscoli doloranti, mi infilo sotto la doccia, lavandomi in fretta e massaggiandomi le spalle. Le gocce d'acqua che sbattono sul mio fisico, mi fanno venire la pelle d'oca e tremare dal freddo, ma non ci faccio caso essendoci abituata. Finisco di sciacquare via lo shampoo che ho sui capelli, chiudendo l'acqua con estrema lentezza, intenta a voler approfittarne del piccolo momento di spensieratezza che riesco a ritagliarmi solo la mattina. Appoggio un piede sul piccolo tappetto, protraendomi in avanti ed afferrando l'asciugamano bianco appeso fuori dalla cabina, legandolo attorno al mio corpo bagnato, uscendo definitivamente dalla doccia. Osservo il mio viso che riflette sullo specchio appannato, spostando le ciocche bagnate che mi ricadono sul volto lucido e pieno di goccioline trasparenti. Il riflesso si interrompe poco sotto la clavicola, dove si può intravedere l’inizio di una cicatrice lunga quattro centimetri, che con i polpastrelli sento scendere fino al mio seno sinistro, interrompendosi poco sotto. Lo sfioro con le dita, sentendo ancora anche dopo molti anni, la bottiglia rotta squarciare con forza e imprecisione la pelle. Ricordo ancora vividamente quel giorno.
Flashback
Stare rinchiusa a casa è ancora peggio che girare per il quartiere malfamato in cui vivevo prima di sposarmi. Almeno a East St. Louis, Illinois, che è considerato uno dei quartieri più malfamati al mondo, potevo uscire e girare libera per le strade, nonostante la parola libertà sia un concetto sconosciuto da quelle parti. Nonostante ciò, mi bastava avere un'arma appresso ed ero al sicuro per tutto il tempo che ero fuori. Ma rinchiusa qui dentro? È come essere in gabbia; e come se stessi volontariamente aspettando che il mostro venga a prendermi per farmi fuori. Un destino da cui inevitabilmente non posso scappare. Melissa è l'unica persona qui dentro con cui posso parlare liberamente, tutte le altre domestiche che si occupano di pulire la casa, stanno in disparte, osservandomi di sottecchi, chi con sciagurata scontentezza, chi con menefreghismo. .
"Dici che posso uscire?" chiedo innocentemente a Melissa, avendo bisogno di respirare aria fresca, volendo essere come le foglie che dalla finestra svolazzano senza essere fermate, vite senza un limite.
“Preferirei che lei stesse qui signora Strandford” si guarda attorno prima di continuare con il suo discorso, abbassando la voce per non farsi sentire. “Non vorrei che quando il signor Strandford torni a casa se la prenda con lei più di quanto non lo faccia già” annuisco delusa della sua risposta, ma grata della sua preoccupazione nei miei confronti. Sposto lo sguardo dalle foglie, accendendo la tv con estrema noia, cercando qualcosa da guardare per far passare il tempo in fretta e forse anche per sempre. Passano due ore che guardo la tv assente e Noah non è ancora tornato. Non avendo intenzione di farmi comandare da nessuno, men che meno da qualcuno con cui non ho alcun vero legame,, mi allontano in punta di piedi dal salotto, raggiungendo la porta che si trova sul retro. Indosso un paio di scarpe lasciate accanto alla porta, uscendo fuori in giardino, nonostante non sia quello che avevo intenzione di fare sin dall’inizio; meglio di niente dopotutto. Respiro a pieni polmoni, assaporando l'aria fresca che smuove i mie capelli sciolti, che a causa del vento mi coprono la vista. Allargo le braccia, godendomi quel poco di libertà che mi è permesso, sospirando contenta. Quel piccolo sorriso che era nato sulle mie labbra, svanisce subito sentendo le grida disperate di Melissa.
“Signora!! Signora, torni subito dentro, il signor Strandford è appena tornato. La prego torni dentro!!” sento dei movimenti bruschi dentro casa, e poi la porta principale sbattere. Il silenzio cala nella villa, non si sente più il vociferare confuso delle domestiche, e neanche i passi frettolosi di Melissa intenta a raggiungermi. Tutto per un momento è calmo, come le strade innevate d'inverno che permettono il passaggio. Sentendo gli occhi di qualcuno alle mie spalle, deglutisco forzatamente, sapendo già quello che accadrà tra un momento all'altro. Qualcosa che si spacca, dentro la villa, mi fa reagire. Avendo paura che Noah faccia qualcosa a Melissa, mi affretto ad entrare, dimenticando di togliermi le scarpe che ho ai piedi; errore stupido visto che più è più volte Noah mi ha ripetuto quanto gli dia fastidio vedere i segni di scarpe altrui nella casa. .
“Dov'è quella stupida di mia moglie?!?!” sento la voce pesante di Noah rimbombare per tutta la villa. Raggiungo la sala principale, dove sono tutti riuniti davanti a Noah con lo sguardo basso, silenziosi ed obbedienti. Melissa è l'unica che lo sfida con lo sguardo. Prego tra me e me che la smetta di fare la dura, e che questa volta abbassi lo sguardo come tutti gli altri. Mi mordo il labbro osservando Noah avvicinarsi pericolosamente a lei, con in mano una bottiglia rotta. Punta l'oggetto affilato contro di lei, appoggiandolo sulla sua guancia minacciando la a denti stretti. “Dimmi subito dov'è se non vuoi che faccia lo stesso con te” lo sguardo fermo e deciso di Melissa, mi fa uscire da dietro la porta in cui mi ero nascosta, non volendo che le faccia qualcosa per cui mi sentirei in colpa.
"Sono qua, ti prego lasciala stare" mi avvicino a passo lento, non volendo farlo arrabbiare più di quanto non lo sia in questo momento. Un sorriso sinistro nasce sulle sue labbra screpolate e bianche. Si allontana da Melissa, avvicinandosi a me, prendendomi per un braccio e tirandomi contro il suo petto, questa volta puntando la bottiglia verso la mia guancia, parlando contro il mio volto indifeso.
“Non scapperai mai da questo posto. È inutile che cerchi di farti proteggere da questa qui” sento il suo alito pesante scontrarsi contro la mia faccia. Arriccio il naso non sopportando l'odore di alcol che emana la sua bocca, cercando di voltare il capo da un’altra parte.
“Andatevene tutti” comanda nei confronti dei domestici, che senza fiatare si allontanano, tutti tranne una. La supplico con lo sguardo di seguire gli altri, fino a quando non si allontana a sua volta. Non appena la sua figura scompare, il respiro accelera, sapendo quello che tra poco mi farà. Sento il cuore sbattere sulla gabbia toracica, quasi a rompermi le costole che lo tengono imprigionato. Uno schiaffo deciso da parte sua, mi fa sanguinare il naso già dolorante dai giorni prima; sempre lo stesso trattamento. Vengo spinta a terra, andando a sbattere il polso sul duro marmo, sentendo subito un dolore lancinante propagarsi per tutto il braccio che pulsa. Troppo intenta a tenermi la mano, non mi accorgo di lui che si avvicina salendo a cavalcioni su di me, tirandomi un pungo sullo zigomo destro. La vista si offusca mentre la leggera camicia che ho addosso viene strappata subito, appena mi tira su per il colletto. Come un forsennato punta a la bottiglia contro il mio petto scoperto, guardandomi con sguardo folle, tagliandomi dalla clavicola, scendendo in giù fino al seno. Il dolore provocato dal taglio mi fa cadere in ginocchio e gridare a pieni polmoni. Osservo il mio stesso sangue sporcare l’indumento bianca che ho addosso e cadere sul lucido marmo sotto di me. Un altro schiaffo colpisce la mia guancia ormai gonfia, facendomi perdere i sensi.
Fine Flashback
Ricordare quei momenti difficili e oscuri della mia vita, mi fanno sempre un certo effetto. Appoggio il palmo della mano sopra di essa, coprendo la cicatrice completamente volendo rimuovere quei ricordi. Quella ragazzina di vent'anni, che lasciava che gli altri facessero quello che volevano con lei, è morta insieme a suo marito, seppellita sei metri sotto terra accanto a lui fra le sue braccia.
Osservando l'orario sul telefono mi asciugo in fretta i capelli bagnati, truccandomi attentamente, dovendo essere impeccabile di fronte alla signorina Aceveds. Aprendo la finestra del bagno per far uscire l’umido che inizia a crearsi nella piccola stanza, torno verso la camera indossando i vestiti precedentemente scelti, combinandoli con dei tacchi neri a spillo. Il rumore delle scarpe mi accompagna giù per le enormi scale fino in cucina. Il rumore cessa solo una volta raggiunto il tavolo apparecchiato per fare colazione, preparato apposta per me, venendo sostituito dal rumore del forno a lavoro. Annusando l’odore di brioche intente ad essere preparate, mi limito ad un pane tostato sapendo di non avere il tempo di aspettare che siano pronte, uscendo di casa frettolosamente. Salgo in auto, mangiando con calma nel tragitto verso la mia azienda, mentre con una mano tengo fermo il volante. Le strade trafficate di New York mi fanno arrivare al luogo di lavoro più tardi del previsto, tra clacson e frenate brusche ogni talvolta qualcuno si decide ad attraversare la strada senza far caso ai veicoli in movimenti. Più ansiosa di prima accosto la macchina al solito bar in cui mi fermo la mattina, ordinando un caffè da portar via. L’ordine mi viene consegnato dopo qualche minuto, caldo e fumante come mi piace, perdendo altri minuti a sorseggiarlo con calma, volendo evitare scottature che possano in qualsiasi modo farmi del male. Torno in auto subito dopo aver pagato, perdendo altri minuti per arrivare fino in azienda, riuscendo ad accostare nel mio apposito parcheggio senza ulteriori intoppi. La porta mi viene aperta da uno dei miei impiegati, che fa un leggero inchino, salutandomi in maniera troppo esagerata ma non per questo poco apprezzata. Scendo con eleganza, fregandomene di lui e della sua gentilezza, non avendo né il tempo né la voglia di fermarmi a parlargli. Chiudo la macchina alle mie spalle, salendo sull'ascensore. Intenta ad aspettare che raggiunga l'ultimo piano, controllo le mail che mi sono arrivate dai miei soci, appoggiandomi ad una delle pareti. Rispondo ad alcune di esse, ricordandogli di chiamarmi appena possibile, per mettere su bianco e nero certi aspetti dei nostri investimenti. Appena raggiungo il piano desiderato, esco salutando Melissa che mi guarda con sguardo preoccupato.
“Sta bene signora?” alla sua domanda le rispondo con un cenno della testa, non avendo tempo di fermarmi a parlare con lei. “L'ho fatta accomodare nel suo ufficio così come voleva lei” afferma prima che possa entrare. .
La ringrazio per il suo lavoro, raggiungendo la porta del mio ufficio, con su scritto "CEO Miray Tanner", aprendola. Trovo una donna dal corpo formoso, girata di spalle che guarda fuori dalle enormi vetrate con in mano un bicchiere, riempito da quello che sembra scotch. Chiudo la porta alle mie spalle, attirando la sua attenzione. Si gira a guardarmi, inchiodandomi con i suoi occhi. Rimango ferma senza reagire, incantata dai suoi occhi verdi che non posso fare a meno di notare subito. Mi riprendo appena noto di essere fermata davanti alla porta come una stupida. Non la saluto, recandomi verso la mia scrivania. Appoggio tutto ciò che ho in mano sul tavolo, togliendomi il cappotto dalle spalle. Sento i suoi occhi bruciarmi addosso come lava, scrutandomi attentamente.
“È così che si da il benvenuto agli ospiti?” mi provoca con voce roca. Per avere soli ventidue anni ha davvero un certo fascino e anche molta sicurezza di sé. Alzo lo sguardo verso di lei, sorridendole sarcastica.
"A quanto pare non c'è bisogno che io ti offra qualcosa" indico il bicchiere che ha in mano. Un attimo di insicurezza prende il sopravvento nel suo sguardo, ma si riprende subito.
“Ho dovuto aspettare molto. Mi sono presa la briga di versarmi qualcosa mentre la aspettavo. Spero non sia un problema per lei” ammiro la sua tenacia, trovando in lei una forza che non si nota in molti. Mi avvicino con passo lento a lei, passandole accanto e andando verso il tavolino vicino alle enormi vetrate per versarmi anche io qualcosa. Riempio il bicchiere con del Whiskey, sorseggiando lentamente la bevanda alcolica.
"Touchè signorina Aceveds" le rispondo canzonatoria. Mi appoggio sulla scrivania, incrociando le mani davanti al petto guardandola con attenzione. Osservo il suo sguardo studiarmi dal basso verso l'alto, soffermandosi a guardarmi per un attimo le labbra prima di spostare lo sguardo. Sorrido beffarda mordendomi l'interno della guancia per non dire niente di poco professionale.
"Osserva qualcosa di interessante signorina?" le mando una frecciatina, non riuscendo a fermarmi, prendendomi gioco di lei. Alla mia affermazione sgrana gli occhi deglutendo rumorosamente, spostando lo sguardo nervosa verso il pavimento.
“No signora Strandford...” mi irrigidisco subito appena pronuncia il cognome del mio defunto marito.
"Signora Tanner..." la correggo autoritaria, disprezzando il cognome di Noah. Gira la testa da un lato, guardandomi attenta cercando di captare qualcosa dal mio comportamento remissivo.
“Da quel che so suo marito è Noah Strandford, e quest'azienda è sua...” mi guarda dritto negli occhi sfidandomi. Digrigno i denti, stufa della sua insistenza. Mi avvicino a lei come un felino pronto ad azzannare la sua preda, lasciando qualche centimetro di distanza tra i nostri corpi.
"Mio marito, è morto ormai da quattro anni, quindi non sono più sposata signorina Aceveds. E quest'azienda appartiene a me ormai" mando giù il restante del Whiskey, sbattendo il bicchiere sulla superficie della scrivania, sedendomi sulla poltrona in pelle. Le indico con la mano il divano in pelle "Prego si sieda. Non siamo qui per parlare di questioni personali, ma di affari" tronco subito la conversazione, cambiando argomento. Si accomoda sul divano accavallando le gambe, annuendo.
"Ha ragione signora Tanner... parliamo di affari"
STAI LEGGENDO
Who wins? (girlxgirl)
RomanceMiray Tanner, CEO di una delle più grandi aziende automobilistiche del mondo. Conosciuta da tutti per la sua capacità di mantenere in piedi la sua impresa, una volta di suo marito.Tutta la sua vita gira attorno a menzogne, ad un marito morto di cui...