I miei genitori avevano sempre voluto un maschio per pochi semplici motivi: avrebbe portato avanti il nome di famiglia e mio padre avrebbe potuto giocare a football con lui. Daniel era l'epitome del figlio perfetto agli occhi dei miei genitori. Era solo in terza media ma a 14 anni era già alto quasi un metro e ottanta ed era il miglior giocatore di football della sua squadra.
I nostri ruoli ci erano stati assegnati alla nascita. Il piano per me era quello di diventare la miglior studentessa della Ivy League e vivere i sogni di mia madre. Per questo motivo, aveva programmato lezioni di pianoforte, tutor e programmi extrascolastici. Ma dalla nascita di Daniel, le mie esibizioni di pianoforte erano passate in secondo piano rispetto alle partite di football. Le fiere della scienza erano state trascurate dai viaggi per gli allenamenti. Le medaglie della robotica erano appese dietro i trofei di MVP. Per me, ci si aspettava un GPA di 4,8, che equivaleva al fallimento. Per Daniel, anche se perdeva giorni di scuola, era perfetto. Giocava ai videogiochi per ore e non aveva bisogno di chiedere di uscire con i suoi amici.
Quando ero più piccola, avevo anche provato a giocare a football perché pensavo che a quel punto mio padre mi avrebbe amata davvero. E avevo davvero dato il massimo, l'unica ragazza ai provini. Purtroppo non avevo coordinazione e i miei genitori mi avevano fatto capire subito che il calcio era uno sport da ragazzi. Fortunati loro, Daniel era qui per svolgere quel ruolo.
Sfrecciai per portare Daniel al suo allenamento, quasi passai con due semafori rossi e superai almeno cinque auto per arrivare in tempo. Mio padre era già lì, chiaramente irritato con me per essere in ritardo, ma il suo viso si illuminò quando Daniel si avvicinò a lui correndo. Fondamentalmente ero solo un'autista, ma ero sua sorella, perciò restai un po' a guardalo prima di andarmene.
Tornai a casa verso le cinque, ma sul punto di iniziare i compiti mi ricordai del messaggio di Zack.
Non rispondere: hai pensato alla mia offerta?
Alzai gli occhi al cielo. Forse non avrei proprio dovuto rispondere. Lo schermo del mio telefono e io ci fissammo intensamente prima di cedere...
Amelia: No grazie
Risposta secco, per non dire altro, ma avevo bisogno di concentrarmi. Statistica era una vera spina nel fianco e erano passati solo pochi giorni dall'ultimo test.
Si prese il suo tempo per rispondere.
Non rispondere: non avresti retto
Scossi la testa.
Amelia: Immagino che non lo sapremo mai
Tornai ai miei appunti ma passò appena un minuto quando rispose.
Non rispondere: ho detto a DeMarco di andare a farsi fottere oggi
Le mie sopracciglia si alzarono.
Amelia: stai scherzando
Non rispondere: perchè dovrei?
Amelia: non lo so
Chiamata in arrivo: Non rispondere
Il panico mi attraversò mentre la suoneria sembrò suonare più forte del previsto e velocemente disattivai l'audio del telefono prima di entrare nella mia cabina armadio e chiudere la porta.
"Ciao?" Risposi.
"Non sto scherzando", disse. "Quel ragazzo è un coglione."
"E' tuo amico," gli feci notare.
"Esattamente."
Risi ma piano in modo che mia madre non avrebbe sentito.
"Ho una domanda," gli dissi, ricordando la mia conversazione con Ella prima.
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The Coach's Daughter ▪︎ ✔️ (Italian Translation)
Teen FictionIn una città dove la squadra di football liceale comanda la scuola, Amelia è una delle tante facce tra la folla. Nonostante suo padre sia il coach della squadra, l'idea del 'Friday night lights' di Amelia, ruota attorno allo studio fino a che non si...