Occhi Negli Occhi

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~ Episodio 1 ~

- 5 Ottobre, lunedì -

L'orologio sulla grande parete verde petrolio segnava le dodici, ormai il piano di riuscire a sfruttare la pausa pranzo per fare il colloquio più importante della sua vita per poter poi tornare all'università in tempo per frequentare l'ora di economia era stato abortito, non avrebbe mai fatto in tempo neanche se avesse corso immaginando di avere il diavolo in persona alle calcagna.

Roteò gli occhi spostando la lingua all'interno della bocca in modo da gonfiare la guancia – un tic che si portava dietro ormai da anni – pensando che ancora davanti a lui c'erano altre due persone, la tizia che veniva dalla sua stessa università e che aveva dovuto sorbirsi sul bus per tutto il tragitto, con la sua voce da papera ed i suoi concetti triti e ritriti su quanto fosse ingiusta la discriminazione che ancora permeava il mondo della finanza nei confronti delle donne anche se queste fossero Alfa provenienti da famiglie benestanti e che avevano un curriculum perfetto. L'aveva vista molte volte nell'aula magna con i suoi tailleur firmati, gli interventi calcolati e ficcanti e quell'aria di chi sapeva di avere tutte le carte giuste da giocare nella vita solo perché era nata con il gene del secondo genere giusto. In quei quasi quattro anni di studi non lo aveva mai degnato di uno sguardo e poi, improvvisamente, quella mattina nell'ufficio del preside, dopo la comunicazione della possibilità di fare un colloquio con il presidente di una delle società più in vista di Seul, erano diventati migliori amici.

Poi c'era il tizio occhialuto, era entrato in quell'ufficio quasi trenta minuti prima ed ancora sembrava non volerne sapere di uscire. Aveva il suo nome scritto in chiare lettere su uno stupido tesserino attaccato al petto, in bella vista risaltava il cremisi sgargiante della Korea University, un degno e pericoloso avversario ma per fortuna la Luna non era stata molto generosa con lui visto che la sua chiara imperfezione agli occhi lo identificava, senza alcun dubbio, come Beta. In quei pochi minuti che erano rimasti insieme nella sala d'attesa non aveva parlato con nessuno – neanche lui lo avrebbe fatto se non fosse stato obbligato dalla diarrea verbale che aveva colpito la sua collega di università – aveva trascorso il tempo immobile davanti alla grande finestra che si affacciava su una qualsiasi strada di Seul uguale a tutte le altre, intento a fissare i passanti o forse a ripassare quelle poche risposte che il suo professore di economia lo aveva esortato di non scordare.

«Signorina Han, tocca a lei», prima di entrare nell'ufficiò la ragazza cercò di carpire con lo sguardo le espressioni che costellavano il volto del suo contendente per capire se fosse fuori gioco o meno ma l'altro prontamente si voltò nella direzione opposta per non guardarla in viso.

«Non posso dirti nulla», fu questa la prima frase che pronunciò dopo pochi secondi dalla chiusura della porta voltandosi verso l'unico ragazzo che era rimasto nella stanza.

«Ed io non ti ho chiesto di dirmi niente», fu la risposta che gli venne data con sprezzante sicurezza e strafottenza.

«Signorina?», se avesse avuto sufficiente esperienza la ragazza avrebbe capito subito che quella domanda era mirata semplicemente a minare le sue certezze, perché l'uomo dietro la scrivania sapeva perfettamente chi fosse colei che aveva davanti ma ciò che voleva davvero sapere, l'informazione più importante di tutte le altre, era se quella persona fosse capace di sopportare la pressione data da quel tipo di lavoro.

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