28~Realtà Surreale

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"Oh grazie a Dio sei qui." Nel momento in cui Jungkook e io entrammo nel reparto di terapia intensiva, mia madre saltò da una sedia nel corridoio e si precipitò verso di noi.

Nel momento in cui la vidi correre verso di me, le braccia larghe per abbracciarmi, le lacrime mi minacciarono di riversarsi. I suoi occhi erano rossi e gonfi ed i vestiti erano stropicciati per essere stata seduta sulla sedia per così tanto tempo.

"Come sta?" chiesi mentre mi gettava le braccia al collo, tenendomi stretta tra le sue braccia.

Jungkook fece rispettosamente qualche passo indietro per darci un po' di spazio. Ero preoccupata per come mia madre avrebbe reagito alla sua presenza, ma non sembrava nemmeno accorgersene.

"I dottori hanno detto che lo hanno stabilizzato per il momento", disse mia madre in lacrime, tirandosi indietro. "Ma è in uno stato molto fragile."

"Cosa è successo esattamente?" chiesi, la mia voce leggermente incrinata. Mi rifiutai di piangere però. Odiavo farlo davanti alle persone. "Qualcun altro si è ferito?"

"Non lo so esattamente." Disse passandosi una mano tra i capelli. "Nessun altro è rimasto ferito, ma qualcuno ha trovato l'auto schiantata contro un albero lungo la strada".

Scossi la testa. Non aveva senso. Mio padre era stato quello che mi aveva insegnato a guidare ed era uno dei guidatori più sicuri del pianeta. Mi prendeva sempre in giro sulle cinture di sicurezza e i limiti di velocità. Non aveva mai ricevuto una multa in vita sua, e tanto meno non aveva mai fatto nessun incidente.

"Posso vederlo?" Chiesi.

Mia madre annuì. "I medici ci stanno concedendo solo cinque minuti, ma nessun visitatore oltre alla famiglia può visitarlo", aggiunse, apparentemente notando Jungkook per la prima volta.

Il semidio, con mio sollievo, non fece commenti e si limitò ad annuire, allontanandosi di un altro paio di passi da noi.

"E tesoro?" Mi afferrò per le spalle. "Solo... sii forte."

Essere forte? Avrei quasi voluto ridere in quel momento. Ero sopravvissuta a diversi attacchi folli da parte di una semidea greca sfrenata, a poteri di un semidio oceanico e ad altri quattro semidei egocentrici ed eccentrici. Ero così coinvolta in un mondo in cui esistevano magia e fantasia che ora che la realtà mi aveva colpito, lo aveva fatto duramente, come un pugno allo stomaco.

Immagino che si possa sognare solo per così tanto tempo prima di doversi svegliare di nuovo.

Lasciai il mio zaino con Jungkook mentre mia madre mi prese la mano. Insieme ci dirigemmo verso una porta, dove molto probabilmente c'era mio padre. Poco prima di raggiungerla, lanciai un'ultima occhiata alle mie spalle. Jungkook si stava lentamente sedendo su una sedia di plastica. I suoi occhi erano di nuovo sfocati e il filo di preoccupazione di prima crebbe.

Ma prima che i miei pensieri su Jungkook potessero andare oltre, mia madre ed io entrammo. La stanza era un unico spazio quadrato con delle brutte pareti giallastre e dei pavimenti in legno. C'era un'atmosfera soffocante e ovattata, fatta eccezione per deboli bip e ronzii, che provenivano dalle innumerevoli macchine.

Mi sfuggii un piccolo sussulto. Mi aveva detto di essere forte, ma già mi sentivo come se mi si stessero rompendo le viscere e un'ondata di lacrime minacciava di fuoriuscire dagli occhi.

C'era un letto in mezzo alla stanza, attaccato al muro, circondato da ogni sorta di apparecchio medico. E in mezzo a tutto questo giaceva mio padre, con gli occhi chiusi e la testa sul cuscino. Ombre scure a mezzaluna riposavano sotto le palpebre chiuse, la sua pelle era color cenere e in alcuni punti praticamente traslucida e le vene erano scure e visibili sotto la pelle. Dei tubi gli uscivano dal naso e alcuni fili da sotto le lenzuola, collegati a una specie di monitor. Non sapevo cosa mi mi sarei dovuta aspettare, ma di certo non questo.

Mia madre mi avvolse forte tra le braccia.

"Cosa accadrà adesso?" Sussurrai.

"Beh", disse con voce tremante, "i dottori stanno ancora eseguendo delle analisi per vedere quanto potrebbero essere gravi le ferite. Stava sanguinando in diversi punti, ma per fortuna i dottori hanno curato le ferite più gravi. Ora stanno esaminando le sue ferite al cervello".

Per il resto del nostro tempo rimanemmo in silenzio, a guardare il corpo immobile di mio padre. "Il nostro tempo è quasi scaduto e i medici torneranno da un momento all'altro". Mia madre alla fine mi ha tirò il braccio. "Andiamo."

Lasciai che mi trascinasse via, ma ogni passo che feci per allontanarmi dal suo letto mi sembrò sbagliato. Era come se i miei piedi fossero calamite e mi stessero attirando di nuovo verso di lui. Dovevo stare con lui, solo ancora un po'.

Ma no, eravamo già di nuovo fuori nel corridoio e la porta si chiuse. Il leggero clic mentre si chiudeva sembrava risuonare nelle mie orecchie. In lontananza sentii la voce di Jungkook dietro di me, lui e mia madre stavano conversando. Non riuscivo a capire cosa stessero dicendo però. Le loro voci risuonavano così lontane.

La sensazione di bruciore dentro agli occhi si stava intensificando e nessun battito di palpebre l'avrebbe trattenuta ancora per molto.

Prima di rendermi conto di quello che stavo facendo, mi ritrovai a correre lungo il corridoio. Avevo bisogno di nascondermi per poter piangere. Avevo bisogno di urlare. Avevo bisogno di scappare.

Sfrecciai oltre diversi medici e infermieri, anche se nessuno mi fermò. Eravamo in un ospedale, probabilmente erano abituati a vedere persone in difficoltà.

In qualche modo intravidi l'insegna del bagno in fondo al corridoio e, seguendo rapidamente le indicazioni, mi precipitai in quello delle donne. Entrai nel primo box e lo chiusi a chiave, per poi scivolare a terra per liberare finalmente i singhiozzi repressi.

Mio padre c'era sempre stato per me. Ovviamente a volte era iperprotettivo, ma era un orsacchiotto pieno di amore, da cui correvo sempre ogni volta che avevo bisogno. L'immagine di lui sdraiato impotente sul letto continuava a bruciarmi in testa, provocando la fuga di una nuova ondata di lacrime.

Non sapevo da quanto tempo quell'idiota fosse rimasto in piedi vicino alla porta del box. Tutto quello sapevo era che quando cominciai a calmarmi di nuovo, lo sentii chiamare dolcemente il mio nome attraverso la porta.

Con gli occhi ancora appannati dalle lacrime mi alzai in piedi e aprii la porta del bagno, quasi colpendolo in faccia. "Jungkook?" balbettai. "Che cavolo? Questo è il bagno delle donne."

Jungkook mi offrì un piccolo sorriso sarcastico. "Ah, peccato che io sia qui allora, perché nessuna donna può riposare adeguatamente nella stessa stanza in cui ci sono io senza il desiderio di-"

"Vattene. Sei così irritante!" gridai, afferrando la porta per chiuderla di nuovo.

Sfortunatamente la mano della bomba da bagno scivolò fuori in un attimo, afferrando la porta e interrompendone il processo di chiusura. Nonostante la quantità di strattoni da parte mia, la porta non si mosse dalla sua presa.

Il sorriso sarcastico di pochi secondi prima era scomparso e ora mi stava fissando cupamente. "T/N, smettila di resistere," mormorò.

La serenità nella sua voce mi fece venir voglia di urlargli contro. Come si poteva essere sempre così calmi?

Quando vide che continuavo a tentare di chiudere la porta, espirò pesantemente.

"Ascoltami." Una mano era ancora saldamente attaccata alla porta, l'altra mi prese il mento e guidò la mia faccia verso di lui. "Potrei essere in grado di guarirlo."

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He's a Demigod [ITA]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora