5 - Sotto controllo

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Tammy prese a guardarsi intorno, alla ricerca di qualcosa di utile alla sua fuga. Era rimasta intrappolata in quella stanza da ormai un'ora, e sin dal primo minuto in cui era stata lasciata lì dal ragazzo con il numero Uno tatuato sul polso aveva studiato tutti i dettagli del luogo. Le telecamere erano fisse, ed ogni quindici minuti cambiavano nastro, perciò per qualche secondo non registravano. Purtroppo non era molto utile, e senza la possibilità di verificare il tempo preciso in cui smettevano di coprire l'area non sarebbe arrivata a niente. Lo specchio era uguale a quello che era presente nella stanza nella quale si era svegliata, e come aveva precedentemente dedotto doveva esserci un'anticamera nascosta proprio dall'altra parte. Ci passò davanti un buon numero di volte, studiandolo con attenzione alla ricerca di punti deboli. Aveva semplicemente notato un piccolo punto in basso in cui lo specchio era danneggiato, e dal quale fuoriusciva aria, ma niente di che. Le era utile semplicemente a confermare la sua teoria. Dietro quello specchio c'era una stanza, al cui interno molto probabilmente c'era qualcuno a spiarli. Aveva anche notato qualcosa di strano su uno degli arcobaleni, come una sostanza appiccicosa e viscida, da un colore molto simile a quello di sangue vecchio e coagulato. Qualcosa di strano però accadde proprio nel momento in cui si era avvicinata alla parete. Aveva visto con i suoi stessi occhi una strana protuberanza nel muro, muoversi quasi come se stesse respirando. In un batter di ciglia questa sostanza era evaporata, e ciò la portò a credere per un attimo di esserselo immaginata, nonostante il ricordo fosse così vivido nella sua mente. Aveva provato a parlare con qualcuno dei presenti, ma nessuno di loro sembrava volerla nemmeno voler incrociare il suo sguardo. Sembravano intimoriti, traumatizzati... si chiese se di lì a qualche giorno non si sarebbe trovata lei al loro posto. Doveva assolutamente andarsene. E lo avrebbe fatto in qualsiasi modo, e ad ogni costo.
«Andiamo» Il ragazzo vestito completamente di bianco aprì la porta con compostezza, invitando Tammy a seguirlo. La stava guidando verso un'altra sezione del corridoio, diversa da quella che avevano percorso dalla sua stanza a quella degli arcobaleni. Il corridoio in quel punto sembrava più cubo. Le luci lampeggiavano e sembrava ci fosse qualcosa nell'aria che la rendesse rarefatta in modo innaturale. La giovane sussultò quando urtò contro la schiena di Peter, troppo occupata a guardarsi intorno per essersi resa conto che si fosse fermato. Lui ignorò il fatto che fosse quasi caduta a terra, fissandola con occhi tetri e privi di emozioni.
«Che posto è questo?» chiese lei quando il giovane volse in avanti il braccio, indicandole di andare per prima. Aveva capito benissimo che non era un gesto di gentilezza, ma che si trattava di qualcosa di inevitabilmente pericoloso. La porta che si trovava davanti ai suoi occhi era metallica e rinforzata, piena di graffi e bozzi dalla parte interna. Le mura della stanza erano imbottite ed erano rovinate da graffi e quelli che sembravano sfortunatamente schizzi di sangue vecchio. Il giovane non le rispose subito, ma la spinse in avanti, in modo che potesse entrare nella stanza. Per un attimo Tammy credette che voleva imprigionarla lì dentro, ma invece varcò la soglia anche lui, e solo allora chiuse la porta alle sue spalle. Deglutì, voltandosi lentamente verso di lei. Ora che erano lì dentro la stanza era diventata più buia di quanto non lo fosse già precedentemente.
«È il nostro posto magico» ghignò, facendo dei piccoli passi avanti verso di lei. «dovrò farti degli esami, per verificare se sei ciò che vogliamo tu sia» allungò una mano verso un tavolo metallico pieno di attrezzature mediche. Afferrò un bisturi, tenendolo stretto in un pugno mentre lo sbatteva su tutti gli altri aggeggi per fare rumore. Più le si avvicinava più lei indietreggiava, impaurita.
«Che cosa vuoi farmi?» chiese, continuando ad indietreggiare. Lui mostrò un sorriso tetro sul suo volto pallido.
«Con questo?» alzò il bisturi «niente di che. È con questa che devo fare il mio lavoro» indicò la sua testa con lo stesso bisturi che teneva tra le mani, puntandolo sulla sua tempia. Quando lo allontanò del sangue iniziò a scorrergli sul viso. Le si avvicinò ancora, con uno sguardo maniacale stampato sul viso. Tammy indietreggiò, ma andò a sbattere contro il muro. Non aveva via di scampo. Peter le si avvicinò talmente tanto da eliminare del tutto ogni singola distanza tra loro. I loro corpi erano schiacciati l'uno contro l'altro, talmente tanto che Peter poteva sentire il cuore della giovane rimbombargli nel suo petto. Per Tammy era un po' diverso invece, per quanto fossero vicini non riusciva a sentire niente, come se dentro di lui non vi fosse nulla, come se il suo cuore non fosse in grado di battere. Immerse il viso nei capelli di lei, odorandoli. La giovane iniziò a tremare mentre migliaia di brividi le scendevano lungo la schiena nel momento in cui lui le prese ad accarezzare il collo con le labbra. Socchiuse gli occhi. Avrebbe voluto evitarlo, avrebbe voluto uscire e scappare via, ma come poteva farlo? Lui era l'unico in grado di aiutarla, eppure le veniva difficile credere che quel tocco potesse avere qualcosa a che vedere con il suo aiuto per la fuga... Sentì un forte dolore dietro la nuca, come un pizzico che andava aumentando di intensità istante dopo istante. Teneva gli occhi serrati, non voleva vedere. Non voleva vedere, ma sentiva, sentiva il dolore e sentiva il sangue gocciolarle sui vestiti. Sentiva il respiro affannoso di lui, che le stringeva il collo con una mano mentre le affondava il bisturi nella pelle. Sentì il peso del suo corpo cedere alla presa di lui, ed un forte mal di testa le invase ogni singola parte del suo corpo ormai inerme e fuori dal suo stesso controllo. Aprì gli occhi per un istante, vedendo il ragazzo posare il bisturi sul tavolo ed afferrare una scatolina, continuando a mantenerla ancorata al muro con la mano stretta attorno al suo collo dolorante. L'immagine si fece sfocata e presto anche i suoi sensi la lasciarono sola in mezzo al buio pesto che si era venuto a creare.

Non appena si risvegliò si ritrovò completamente denudata, coperta semplicemente dal suo intimo, distesa per terra, mentre Peter era di spalle e stava armeggiando con qualcosa sul tavolo. Urlò, facendo per nascondere subito il seno coperto semplicemente dal reggipetto in pizzo con le braccia. Lui continuava a darle le spalle.
«Non ti ho fatto niente, puoi stare tranquilla» disse. La giovane si strinse le gambe al petto, guardandolo con occhi pieni di risentimento e paura, emozioni che avevano preso di gran lunga il posto delle lacrime che le sarebbero scese in altre circostanze. Lo sentì sbuffare, e solo in quel momento si voltò per guardarla in faccia. Era più pallido che mai e sembrava che le occhiaie scavante intorno agli occhi burberi e spenti fossero diventate più scure. Aveva anche delle macchie di sangue secco sotto al naso e nelle orecchie. «So cosa credi, ed hai tutti i motivi per farlo. Ma non tollererò più altri pensieri del genere. Non l'ho fatto, ma se continui a pensarlo farò molto di peggio» la minacciò. Come faceva ad ascoltare i suoi pensieri? Tammy abbassò lo sguardo sul suo corpo. Non osava immaginare per quale altro motivo si trovasse in quello stato. Strinse le labbra, abbassando le gambe, distendendole sul pavimento mentre continuava a coprirsi il petto nudo. Guardandosi con attenzione notò dei puntini sulle cosce e sul ventre. Distese la zona con le dita, allungando la pelle in modo da vedere bene. Si trattava di piccoli puntini rossi, come dei buchetti fatti da aghi sottilissimi. Erano sparsi, e in alcuni punti erano più visibili di altri, dove invece erano tanto chiari da confondersi con i pori. Al tatto erano lisci ed impercettibili, e non facevano nemmeno male, ma era sicura che fossero lì. Sapeva bene quel che vedeva. «Si tratta di sonde» disse lui, fissandola dall'alto. Tammy curvò le sopracciglia, confusa. Era solo una coincidenza o davvero quel ragazzo riusciva a capire ciò che le passava per la testa? Si disse che doveva essere solo un caso, probabilmente dovuto al suo essere molto espressiva e a una probabile empatia di lui. Inspirò profondamente, cercando di mettersi in piedi. Non appena si alzò le sue gambe cedettero sotto il peso del suo corpo, facendola cadere nuovamente sopra al pavimento imbottito.
«Cazzo» esclamò, cercando di alzare le gambe con le mani. Non rispondevano a nessun segnale, nemmeno a pizzicotti o a schiaffi. Sentì i battiti accelerarle nel petto, il terrore penetrarle le ossa.
«È l'effetto che danno. Non preoccuparti, non le hai perse» le sorrise leggermente. Aveva perso del tutto l'espressione gelida e crudele che aveva assunto precedentemente, era tornato composto e pacato, con quel sorriso calmo stampato sulle labbra. Più Tammy lo guardava più sentiva che non doveva fidarsi. Lui accennò un ghigno e si calò, mettendosi in ginocchio di fianco a lei, in modo da trovarsi alla sua stessa altezza per poterla guardare negli occhi.
«Che cosa mi hai fatto?» chiese lei, lasciando cadere le braccia lungo i suoi fianchi. Aveva appoggiato la tasta alla parete imbottita e lo stava guardando con lo sguardo perso. Si sentiva cosciente, ma istante dopo istante sentiva il mondo perdere i suoi confini, come se una mano che cancella le linee di un disegno. Non sapeva descriverlo, ma qualcosa di strano stava succedendo dentro di lei e il suo corpo si stava abbandonando ad un controllo a lei estraneo. Lui sorrise dolcemente, scrutandola da cima a fondo.
«Non dovrei dirtelo, ma visto che qui dentro siamo soli e nessuno può sentirci o vederci» si guardò intorno, indicando le pareti insonorizzate «non sarà un problema se ti spiego la situazione» le accarezzò la spalla, senza distogliere lo sguardo dai suoi occhi lucidi dalla rabbia. Con l'altra mano le sfiorò il ventre, passando con delicatezza le dita sui punti in cui erano stati infilati gli aghi. Le venne la pelle d'oca ed iniziò a tremare a quel contatto leggero. «Hai notato questi buchetti, non me lo aspettavo» respirò pesantemente, accennando un piccolo sorriso. «Ho iniettato LSD nei tuoi muscoli»
«Che cosa?» le mancò un battito. L'aveva appena drogata, ma ciò non spiegava il fatto che fosse svenuta fino a qualche minuto prima e che fosse nuda. «Cosa diavolo hai fatto?» urlò, tremando.
«Shh...» avvicinò una mano al suo viso, coprendole le labbra con un dito, intimandole di fare silenzio mentre si avvicinava ancora di più. «È solo l'inizio Tammy, non ho ancora fatto niente»

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