15 - Malattia

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L'esperimento del giorno prima era stato completamente frutto di Peter. Era stata una sua idea farle credere che con lui sarebbe stata al sicuro, ed era stata ovviamente anche una sua idea lasciarla al tocco di qualcuno che disprezzava.
Era tutto studiato alla perfezione; il medico, il ratto, l'abbandono.
Quando Tammy mise piede al laboratorio per la prima volta non si risvegliò il giorno dopo come tutti le vollero far credere.
Il ragazzo dal numero Uno tatuato sul polso l'aveva indotta in un coma farmacologico per diversi motivi. Uno di questi era valutare il da farsi, stendere la sua famosa scaletta grazie alla quale non doveva mai improvvisare. Un altro motivo era preparare tutto per il suo risveglio, farla diventare protagonista di un piano senza fine. Il motivo che si rivelò il più importante però era un altro: effettuare degli studi sul suo DNA e sulla sua mente. Fu così che Peter Ballard riuscì a capire che lei ne valeva veramente la pena, perché lei era la prima persona a riuscire a sopportare il DTH sia diluito che puro. Tutti gli altri esperimenti prima di lei erano morti con terribile pene. Gli altri ragazzi e bambini, il numero 8, 15, 19, 22 e 24, erano stati soggetti ad un diverso studio per evitare la sorte di tutti gli altri. Con loro era stata utilizzata una formula di DTH ripulita da tutti gli elementi corrotti. Aveva funzionato fino a un certo punto, ma lui aveva bisogno di qualcosa che andasse oltre.
Tammy fu la prima a sopportare il DTH puro senza morire, e l'ultimo esperimento aveva dimostrato che i calcoli di Peter erano andati anche meglio del previsto. Non solo Tammy aveva un potere, ma era anche un'arma.
Per fare in modo che tutto andasse per il verso giusto aveva studiato la sua mente, visualizzato i suoi traumi, rivisto la sua vita convinto che questo l'avrebbe portato a conoscerla abbastanza da riuscire a manipolarla.
Ciò che riuscì a vedere era che la ragazza fu vittima fin da piccola di relazioni tossiche con il padre e con la madre. Da qui l'abbandono.
Vide anche le sue difficoltà nel farsi degli amici da bambina quando viveva nella vecchia città, i suoi problemi a scuola. Veniva bullizzata dalle bambine più grandi, e lei si ribellava. Lei si ribellava sempre. Un giorno si ribellò fin troppo per i gusti delle piccole vipere, e queste la chiusero dentro uno sgabuzzino pieno di quelli che per la bambina erano mostri cattivissimi. Da qui il ratto.
Forse lei non ne aveva memoria, ma Peter vide perfettamente ciò che successe un giorno nell'infermeria della scuola. Dopo essere stata rinchiusa nello sgabuzzino alcuni insegnanti la trovarono e la portarono dal dottore locale. Era un uomo basso e tarchiato dai lineamenti molto simili a quelli del medico del laboratorio. Quell'uomo cercò di farle del male, ma lei scappò prima che lui ci riuscisse. Fu denunciato per pedofilia qualche anno più tardi. Da qui il medico.
Era tutto studiato alla perfezione per fare in modo che i traumi sepolti potessero svegliare dentro di sé un potere non ancora nato, e aveva funzionato anche meglio del previsto. Era fatta, Tammy sarebbe stata presto sua, in tutti i sensi.

«Come ti senti?» Peter era appena entrato nella stanza numero 27. La giovane era distesa sul letto e si era appena svegliata, esausta.
«I-Io... non lo so» la sua voce uscì fuori stentata. Socchiuse gli occhi, per poi tornare a guardare il ragazzo che le sorrideva dolcemente dal ciglio della porta. Si avvicinò a lei, sedendosi sul bordo del materasso al suo fianco.
«Ti riprenderai presto, vedrai» le accarezzò la mano.
«Sto bene, è solo che mi sento strana» stava fissando ora il vuoto. Il suo corpo era a posto, non provava alcun dolore fisico e non si sentiva nemmeno più stanca ormai. Sentiva semplicemente uno strano dolore alla testa, come se le galleggiasse lontana dal corpo. Insieme a questo sentiva nuovamente le sue emozioni litigare per quale tra loro dovesse diventare la principale. Poi, vuoto totale.
«Non è sempre un male sentirsi strani» le sorrise. La giovane abbassò lo sguardo sulle sue mani. Peter le stava accarezzando la mano destra ed aveva un tocco freddo, congelante. «Ascolta» le afferrò il mento con il pollice e l'indice e le sollevò il viso in modo che i loro occhi potessero incontrarsi. Cielo e terra, ghiacciai e sabbia. Era una fusione che univa anche le loro menti. «Hai fatto un ottimo lavoro. Ci hai stupiti tutti lì dentro. Sei salva, completamente salva» le sorrise.
«Perché non mi hai aiutata?» in altre circostanze avrebbe forse pianto, ma in quel momento era vacua più che mai.
«Perché non ne avevi bisogno. Ti sei aiutata da sola» quando lei abbassò lo sguardo lui sospirò e le afferrò entrambe le mani avvicinandole a sé. «Non dobbiamo essere sempre salvati. Ciò che importa di più è essere in grado da salvare noi stessi. Non devi cercare un eroe, ma esserlo, per te stessa».
La giovane accennò un sorriso forzato e si spinse indietro, sedendosi. Aveva una benda sulla pancia e delle flebo attaccate a un braccio. Non ricordava bene quello che era successo, ma sapeva di aver fatto qualcosa di strano, qualcosa che non aveva mai fatto prima d'allora. Ripensò alle parole che lui stesso le aveva detto qualche giorno prima, cioè che doveva diventare forte per riuscire ad andare via.
«Puoi aiutarmi a tornare a casa adesso?» a quelle parole Peter si irrigidì. Mantenne lo sguardo tetro fisso su di lei senza sbattere ciglio, poi mostrò un sorriso meccanico completamente distaccato dagli occhi vitrei.
«Si, ma devo studiare come fare. Non posso permettere che mi scoprano e ci separino» aveva uno sguardo spaventosamente ipnotico. Era in grado di plagiare chiunque con il solo sguardo. Senza i poteri erano i suoi occhi la sua arma, intrisi di veleno, e il suo fascino irresistibile. Sembrava davvero onesto, degno di fiducia. Come poteva un bel ragazzo come lui non essere una brava persona? Tammy lo abbracciò, staccandosi di dosso il tubicino che la teneva collegata alla flebo. Peter rimase impietrito, guardandola avvolgersi a lui. Non sapeva come comportarsi, come già era stato facile dedurre lui non era molto tollerante verso il contatto umano. Provò infatti fastidio, ma anche qualcosa di più strano, qualcosa che era sicuro di non avere mai provato. Dentro di sé sentiva nascere un legame consolidato dalla voglia di tenere quella ragazza più vicina possibile. Si sentì ammaliato dal suo odore, dal suo calore e dal rumore dei suoi battiti. Prima che se ne potesse rendere conto avvolse le braccia attorno a lei e fece sprofondare il viso tra i capelli morbidi della ragazza, lasciandosi andare a dei desideri che non avrebbe mai pensato di poter avere. Nel momento in cui il DTH aveva avuto sfogo il giorno prima successe qualcosa anche a lui. Fu come se un'interruttore fosse scattato, riuscendo a legare l'ospite e il parassita. Tammy e Peter erano legati dalla stessa alterazione del DNA.
Aveva previsto che sarebbe successo proprio perché era quello l'unico modo per far crescere dei poteri che avrebbe potuto riprendersi, ma non aveva previsto che insieme a quel legame sarebbe sorto qualcosa di vivo. No, non era solo ragione, ma anche sentimento. Le loro anime erano state legate insieme, unite e inseparabili. Era riuscito ad ottenere ciò che voleva, ma a quale costo? Era finito succube della sua stessa trappola.
«Lascia che ti aiuti» le disse. Si scansò dall'abbraccio e le estrasse l'ago dal braccio che era rimasto attaccato. Prese del cotone e del disinfettante, pulendole la ferita. Quando alzò lo sguardo i loro occhi si incontrarono. Era come se si stessero guardando per la prima volta. Avvicinò il viso al suo, scostandole i capelli dietro le orecchie. Sentiva il respiro affannato di lei sulle sua labbra e i suoi occhi immersi dentro i suoi. Le accarezzò una guancia, mordendosi con foga il labbro. Avrebbe tanto voluto averla.
«Non so perché ma...» si fermò subito quando Peter la zittì, poggiandole l'indice sulle labbra.
«Non assecondarlo» la guardò crudelmente, con gli occhi iniettati di sangue. Tammy deglutì, era difficile non assecondare qualcosa che andava per conto proprio e distruggeva ogni ostacolo. Quello non era amore, era una malattia.

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