«Ieri sera è stato bello» disse Uno, voltandosi a guardare la giovane ragazza, che incrociò presto il suo sguardo.
«Quale parte? Quando abbiamo fatto sesso o quando ci hanno scoperti?» rise lei, arrossendo leggermente. Si morse il labbro inferiore sentendo lo sguardo pungente di Peter sul suo corpo. Sorrise anche lui, infilando le mani nelle tasche dei suoi pantaloni.
«Tutto» sorrise, stringendo le labbra.
Presto avrebbe potuto smettere di mentire, di recitare quella parte. Presto avrebbe posto fine a tutto, avrebbe riavuto indietro i suoi poteri, avrebbe potuto smetterla con quella stupida farsa e mostrare il vero sé. Aveva fatto tutto perfettamente, nonostante qualche volta la situazione fosse andata fuori controllo. Quei giorni però erano stati cruciali; era riuscito a soggiogarla, a convincerla a fidarsi di sé, e addirittura a sentirsi affezionata a lui, come vittima di una sindrome di Stoccolma. Aveva giocato perfettamente le sue carte, specialmente quando aveva deciso di farsi torturare sotto gli occhi innocenti di lei, quando aveva fatto in modo che lo desiderasse, che lo volesse. Non poteva mentire a sé stesso, anche lui lo aveva desiderato, ma ora non era altro che un pretesto per averla avvicinata a sé. L'aveva usata, e il sesso non era stato altro che un mezzo per farlo, non avrebbe accettato altre ragioni. Nonostante ciò, era stato comunque un ottimo pretesto, sia per continuare il suo piano, sia per placare le sue voglie. Era grazie a questo che sarebbe riuscito a giustificare l'esperimento finale. Per il passaggio dei poteri sarebbero stati collegati l'uno all'altra, e grazie alla condivisione del DTH sviluppatasi in quelle ultime settimane non ci sarebbero stati problemi. Tammy era convinta che quell'esperimento non era altro che una punizione per il loro comportamento, ma una volta entrati a contatto non ci sarebbe più stato il bisogno di mentire. Non c'era più motivo di giocare al bravo ragazzo, era fatta.
Ma qualcosa balenò nella sua mente per un istante, rendendolo instabile, confondendolo. Si stava sabotando da solo, poteva capirlo benissimo.
«Sono stata bene anche io» sorrise guardandolo con occhi da cerbiatta. Abbassò lo sguardo sul pavimento, seguendo i suoi passi con gli occhi. Erano coordinati.
Tammy deglutì, sentendo un leggero dolore alla testa. Sapeva che le cose non sarebbero andate bene, non riusciva a capirne il motivo, ma lo percepiva. Percepiva che sarebbe successo qualcosa. Sospirò, per poi fermarsi. «Ci staranno aspettando» manteneva lo sguardo basso, fisso sul pavimento. Non aveva nulla da nascondere e non aveva nulla da temere dagli occhi cristallini del bel giovane, ma c'era qualcosa nel vuoto che l'attirava come non mai. L'abbraccio dell'oscurità è in grado di avvolgere come nessun altro.
«Non vuoi restare un altro po'?» non seppe nemmeno lui il motivo per cui stesse insistendo. Dopotutto lui stesso voleva che tutto finisse al più presto, no? Doveva tornare a casa, doveva andare via di lì, perché doveva avere senso perdere ancora tempo?
«Non credo che cambierebbe le cose» accennò un sorriso spento, alzando finalmente lo sguardo per incrociare gli occhi incavati di Peter, che la guardavano come ipnotizzati «Meglio toglierci il pensiero» sorrise pressando le labbra «Magari ci rivedremo dopo» mantenne il sorriso sul viso, come se fosse stato cucito. Sapeva anche lei che non sarebbe successo. Le probabilità che si sarebbero rivisti erano scarse, e per vari motivi. Era quasi certa che dopo quella punizione li avrebbero separati una volta per tutte.
"Non ci rivedremo" pensò Peter; sarebbe morta prima.Camminarono per meno di cinque minuti prima di ritrovarsi di fronte a quella porta. Quando entrarono le guardie chiusero presto a chiave, per poi scortarli verso il centro della stanza. Non era molto grande, ma essendo gremita del personale medico sembrava più piccola. C'erano due sedie metalliche, l'una di fianco all'altra, e degli strani tubicini sospesi a delle aste metalliche posizionate proprio in mezzo alle due sedie. Tammy si guardò intorno, incrociando lo sguardo del medico. Aveva la stessa espressione da ebete di suo padre, quel padre che l'aveva abbandonata, quel padre che odiava. Sentì ribollire il sangue nelle sue vene. Si sentiva arrabbiata senza una ragione vera e propria, anche se forse una di queste poteva essere il fatto che presto l'avrebbero sottoposta ad una tortura. Strinse i pugni, sospirando. Non era il momento di ribellarsi. Un inserviente la prese per il braccio, trascinandola verso la sedia alla sua destra, facendola sedere. Prese un respiro profondo, cercando di calmarsi. Sarebbe finita presto, in qualche modo si sarebbe ribellata. Non aveva bisogno di Peter per sopravvivere da sola. Due infermieri si avvicinarono a loro quando si sedette anche il giovane, ammanettandoli alle rispettive sedie. Uno degli infermieri si avvicinò a Tammy, facendole curvare la testa verso sinistra, in modo da scoprire un punto dietro l'orecchio. Teneva tra le mani uno dei cavetto collegati all'asta di metallo, alla cui estremità era collegato una sorta di microchip. La giovane sussultò vedendo un bisturi tra le mani dell'infermiere.
«Andrà tutto bene, sta tranquilla» Peter le strinse la mano. Non poteva voltarsi a guardarlo, ma c'era qualcosa di rassicurante nel suo tocco, tanto che l'incisione fatta sul suo collo non risultò nemmeno tanto dolorosa.
Guardò con la coda dell'occhio il cavetto; il chip era dentro, e il cavo era stato collegato al cavo di Peter, anch'esso infilato in un punto dietro il suo orecchio. Prese un respiro profondo, forse non sarebbe successo niente di grave.
«Inizia con 30» fu Peter a parlare. Tammy non riusciva a voltarsi verso di lui, il cavo lo impediva, ma riusciva a guardarlo con la coda dell'occhio.
«Cosa significa?» chiese lei. Sembrava quasi che stesse dando degli ordini ai medici.
«Prosegui poi secondo l'ordine che ti ho lasciato, finisci solo quando arrivi a 180. Non dovrebbe metterci molto» la ignorò completamente, continuando a parlare con il resto del personale. «Non interrompete il processo per nessun motivo, sentito?» la sua voce sembrava diversa, più profonda, roca, autoritaria.
«Che cosa cazzo significa Peter?» Tammy quasi urlò. Era stato così ovvio, eppure non lo aveva mai capito, non lo aveva mai voluto accettare. Lui continuava ad ignorarla. «Che cosa significa?» insistette alzando la voce. Peter sospirò.
«Benvenuta nella realtà, Tammy» un ghigno crudele si fece largo sul suo volto, illuminando i suoi occhi spenti ed opachi.
«Mi hai mentito... in tutto questo tempo mi ha mentito» sentì delle lacrime calde bagnare il suo viso. Si sentiva tradita, colma di rabbia, odio, emozioni che aveva tenuto dentro per fin troppo tempo che ora stavano riuscendo a salire a galla una volta per tutte.
Gli occhi di Uno si tinsero di rosso, iniettati di un veleno letale.
«Mentito? Oh, no, Tammy, io non ti ho mentito. Ho solo fatto in modo che pendessi dalle mie labbra» inclinò il viso verso il basso, ghignando.
«Sei un bugiardo» tremò, sentendo il respiro sempre più corto. Le pareti sembravano in movimento, e ancora una volta si sentiva distante dal suo corpo, esterna alla realtà. «Che cosa stai facendo? Perché ci stai facendo punire?»
«Non ci sto facendo punire, sciocca» la guardò irritato lui, squadrandola dall'alto del suo piedistallo. «Sto prendendo ciò che mi appartiene»
«Cosa?» la sua voce uscì flebile come un sussurro, spezzata.
«Ogni battito del tuo cuore, ogni pensiero fugace nella tua testa, ogni respiro inalato, ogni singola particella nel tuo corpo mi appartiene. Da quando hai messo piede qui dentro, Tammy, mi appartieni, ed ora è arrivato il momento di prendere ciò che mi spetta»
La giovane cercò di aprire bocca, ma nessuna parola ne fuoriuscì. Non aveva alcun senso. Tremò ancor di più, rabbrividendo istante dopo istante ripetendo nella sua mente ogni parola che lui aveva pronunciato poco prima.
«Mi hai usata...» non aveva più lacrime «e per cosa?» la sua voce era distrutta.
«Sta zitta,» le intimò «Voi iniziate, 30.» ordinò.
Tammy vide con la coda dell'occhio il tubicino riempirsi di una strana sostanza metallica che bruciava al contatto con le sue carni. Sentì una forte scarica elettrica, un dolore propagarsi dal collo a tutte le parti del suo corpo. Mentre lei si contorceva Peter era immobile, come se il dolore non gli dispiacesse, come se fosse lui stesso il dolore.
Migliaia di pensieri vagarono per la mente di lei. Suo padre che andava via, sia madre che iniziava a bere, i bulli a scuola, il medico che cercava di toccarla, sua madre che entrava in coma etilico, gli alcolisti anonimi, suo padre che tornava, Hawkins, i ragazzi più grandi che ci provavano con lei, i brutti voti a scuola, i genitori assenti, Peter Ballard, il laboratorio.
La sua intera esistenza non aveva senso. La sua intera esistenza era sofferenza. Cosa diavolo voleva Peter da lei? Perché le aveva mentito? Qual era il suo vero scopo? Non aveva alcun senso, nulla.
Si sentiva così dannatamente fuori posto, arrabbiata. Strinsi i pugni, cercando di sopportare il dolore, non riusciva nemmeno a parlare. Sentì presto delle strane fitte al petto, qualcosa di incontrollabile. Spalancò gli occhi, urlando. Era un urlò acuto, quasi impercettibile all'udito umano, distruttivo. Nessuno se ne sarebbe reso conto, se solo non fosse che l'intera stanza si fosse ribaltata sotto sopra insieme alle attrezzature scaraventate contro le mura insieme al personale. Come potevano sapere che era lei l'arma letale?
Poi, tutto nero, non era più al laboratorio, e al suo fianco c'era lui: 001.
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Under 001 - Stranger Things
FanfictionCome sarebbero le cose se nel momento in cui Undici creò il sottosopra fosse nato un distaccamento temporale parallelo? Una parte di 001 resterà intrappolata in un tempo diverso, dove nel quale riesce ad evitare la sua sorte maledetta, ritrovandosi...