6 - Incubi

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Peter afferrò Tammy per i polsi, sollevandola con forza dal pavimento. La trattenne stringendola a sé con un braccio, mentre con l'altra mano tastava sulla parete. La giovane si chiese cosa stesse facendo, ma non aveva più nemmeno la forza di girare la testa e guardare. Avvicinò il viso all'incavatura del collo di lui, poggiandosi sulla sua spalla. Aveva un buon profumo, pensò, ma lui, differenza sua, non sembrava soffrire di alcun effetto della vicinanza, sembrava addirittura infastidito. Sentì un rumore, e quando Peter la spinse verso il basso sentì il suo corpo sprofondare in acque gelide. Aveva in qualche modo aperto uno sportello dal muro, di cui Tammy non si era nemmeno accorta, e da lì era uscita una strana vasca.
«È una vasca di deprivazione sensoriale» le disse, aiutandola a distendere le gambe. Non riusciva a sentire nemmeno il suo tocco. «Serve semplicemente a monitorare le tue cognizioni psichiche» le sorrise. La ragazza cercò di rilassarsi, preferiva convincersi che non sarebbe successo niente, che sarebbe andato tutto bene. Le prese un polso, e lì agganciò un cavo. Non sentì alcun dolore quando lo infilò nella sua pelle, solo un pizzico fastidioso, come corrente elettrica. Fece lo stesso nell'altro polso e subito dopo nelle sue tempie. «Non avere paura, respira» le sussurrò avvicinandosi al suo orecchio. Lei sussultò al contatto delle sue labbra sfiorare la sua pelle, e socchiuse gli occhi. Odiava che il suo corpo dovesse reagire in quel modo. Paura e attrazione... niente di più pericoloso di queste due emozioni che si fondono insieme. Sentì le sue dita sfiorarle il petto insieme a qualcosa di freddo e metallico. Non sapeva se l'insensibilità si sarebbe propagata presto fino a quel punto, ma in quel momento le faceva male anche il solo tocco delicato di quella mano fin troppo crudele. «Shh» allontanò lentamente le labbra dal suo lobo, vedendola tremare. Tammy abbassò lo sguardo verso il suo petto che faceva su e giù. Vedere le sue mani su di lei le avrebbe accelerato il battito cardiaco in altre circostanze, ma in quel momento le andava rallentando sempre di più. Peter teneva stretto tra le mani un altro di quei cavi, e lo stava collegando ad una capsula di vetro contenente una strana sostanza che a sua volta era collegata ad un ago molto grosso e lungo, diverso da quelli che le aveva inserito nei polsi. Accarezzò la sua pelle pallida con le dita, distendendo la zona per inserire il cavo. Lo stava facendo proprio all'altezza del cuore. Tammy quasi urlò quando premette lentamente l'ago. Lo sentiva perforargli la carne e le ossa, e non poteva farci niente. Si sentiva come se fosse paralizzata e non riusciva più a muovere un muscolo. Aveva iniziato a fare effetto. Nel momento in cui delle lacrime calde iniziarono bagnarle le guance dal dolore si morse il labbro, cercando di non urlare. Lentamente continuava a farlo penetrare nelle sue carni, o almeno questo era quello che vedeva lei. Era convinta che l'avrebbe uccisa, che sarebbe finita così, con lui che le pugnalava un ago nel cuore e lei sciocca abbastanza da lasciarglielo fare. Più entrava più faceva male e sentiva di perdere i sensi. Piano piano le immagini si facevano sfocate e ciò che vedeva erano solo ombre e luci. Socchiuse gli occhi, le immagini si erano quasi perse del tutto, ma non abbastanza da impedirle di vedere il ghigno stampato sul volto di lui, che le sussurrava di stare tranquilla con gli occhi iniettati di sangue e odio.
Si ritrovò presto in un corridoio buio, da sola. Si guardò intorno, ma non riusciva a capire come potesse ritrovarsi lì; era il liceo di Hawkins. Iniziò a correre, cercando di aprire una qualsiasi porta, nella speranza di ritrovare qualcuno in grado di aiutarla. Ma non c'era nessuno. Si fermò, accasciandosi per terra. Solo allora si rese conto che c'era qualcosa che non andava. L'aria sembrava avere una forma, era visibile come nebbia ed al suo interno fluttuavano dei pezzetti di cenere. Era irrespirabile, puzzava di morte e putrefazione. Si coprì bocca e naso con la mano, e riprese a camminare. Per terra c'erano delle radici che sembravano serpenti, e si propagavano anche sulle mura e sul soffitto. Il pavimento era viscido e appiccicoso, rallentava di molto i passi. Tammy notò che la sostanza era proprio la stessa che aveva visto nella stanza arcobaleno... Deglutì, che razza di luogo era quello? Come c'era finita? Udì un rumore non molto in lontananza provenire dalla direzione dalla quale era venuta. Si voltò di scatto, ed in quel momento il rumore sembrò provenire dall'altra parte. Fece dei passi indietro, andando a sbattere contro il muro. Ancora una volta il rumore sembrava provenire da dietro di lei. Socchiuse gli occhi, e cercò di affidarsi completamente ai suoi sensi. Sembrava quasi che i suoni si spostassero, e non era un buon segno. Quello che prima sembrava il fruscio di passi in lontananza divenne una voce lontana, roca, dissolversi pian piano in un urlo che si faceva sempre più vicino, forte da rompere i timpani. Si portò d'istinto le mani a coprire le orecchie, accovacciandosi. Proprio in quell'istante svanì ogni rumore, era rimasta sola, ma era sempre lì, in quello strano corridoio di quel posto che le ricordava tanto il liceo di Hawkins. "Tammy..." si sentì chiamare da una voce roca e suadente, quel tipo di voce a cui non si può dire di no. Quando vieni chiamato non puoi resistere. Si alzò e prese a camminare come ipnotizzata, come se si trovasse sotto un incantesimo, una maledizione. Ad ogni passo che faceva seguiva il ticchettio delle lancette di un orologio che segnava il tempo, come se il tempo non avesse perso la sua importanza... Sentì il tonfo di qualcosa di grosso e pesante che cadeva per terra; schizzi di uno strano liquido viscido e puzzolente le bagnarono la pelle, ustionandola. Tutto ad un tratto il coraggio che l'aveva guidata fino a quel momento svanì, lasciandola denudata da ogni sua certezza. Era tutto buio, erano diventate impercettibili addirittura le particelle di cenere che fino a qualche istante prima erano ben illuminate, quasi come se loro stesse fossero una fonte di luce. Socchiudendo gli occhi i due tipi di oscurità erano indistinguibili. I rumori erano stati rimpiazzati quasi completamente dal silenzio incombente che spezzava le ossa più degli stessi. Voleva andarsene, si sarebbe anche accontentata di quel laboratorio, tutto pur di abbandonare quel luogo. Si sentiva a disagio, in ansia. L'atmosfera divenne ad un tratto bollente, soffocante come l'inferno, ed allora i rumori che erano cessati da poco divennero un unico suono compatto, provenienti da una strana figura oscura che si era innalzata di fronte alla giovane. Lei volle gridare, ma era quasi come se quell'essere fatto di fumo e ossa rotte le avesse risucchiato la voce insieme al resto delle sue funzioni vitali. Un dolore acuto si propagò per tutti il suo corpo, partendo dalla sua mente. Credette che il cervello le sarebbe esploso e l'avrebbe ricoperta come gelatina, ma fu qualcos'altro a deteriorarsi dentro di lei. Abbassò lo sguardo verso il suo stomaco; lo stava trattenendo con le mani sporche di sangue. Le sue interiora erano saltate fuori. Quella cosa le stava strappando via gli organi, la stava squarciando viva, mangiando i resti di sé. Iniziò a piangere e a dimenarsi, ma il suo corpo non rispondeva ai comandi, era paralizzata. Era costretta a vedersi morire.
Strizzò gli occhi, era impossibile si trattasse della realtà, non poteva essere vero. Non poteva succedere così. Ancora dolore, ancora sangue. La mano fatta di ombra le squarciò il petto a metà, estraendole il cuore. Il dolore era troppo reale, era tutto troppo reale per essere un sogno, per essere solo un esperimento in una vasca. Il ragazzo dal numero Uno tatuato sul polso l'aveva presa in giro, non voleva aiutarla, voleva ucciderla.
«Va tutto bene, sei ancora qui» si sentì catapultare da un mondo a un altro, precipitare da cento metri di altezza per finire in un'acqua gelida. Era tornata lì, con un forte mal di testa ma con il corpo tutto intero. Alzò lo sguardo dal suo petto al viso del ragazzo, che la stava fissando con il fuoco negli occhi, senza battere ciglio. Digrignò i denti, dimenandosi con forza. Riuscì a mettersi seduta, aveva ripreso il comando dei suoi arti e anche se esausta era finalmente in grado di proteggersi da sola. Allungò le mani al collo di Peter, tirandolo verso il basso, cercando di affogarlo nelle stesse acque in cui lui aveva quasi fatto affogare lei. Ma lui si tirò subito indietro, spingendola. Le afferrò il collo con una mano, stringendo sempre di più mentre la avvicinava a sé. «Non riprovarci» non servì dire nient'altro per minacciarla, i suoi occhi dicevano tutto. Erano iniettati di sangue e spruzzavano rabbia. Vedendo il viso di lei assumere un colorito rosaceo per via dell'assenza di ossigeno dovuta alla stretta al collo un ghigno reprobo si fece largo sul suo viso scarno. La lasciò andare. Subito Tammy si portò le mani al collo, massaggiandoselo. Respirò ansante, cercando di riprendersi.
«Quello che è successo lì...» pianse, coprendosi gli occhi con le mani. Lui sospirò, avvicinando una mano a quella di lei, accarezzandola.
«Era una prova, e l'hai superata egregiamente» le sorrise, afferrandole il polso. La ragazza alzò gli occhi, osservando quel volto privo di emozioni di lui.
«Che cazzo di prova era?!» urlò, cercando di rimettersi in piedi. Lui le strinse leggermente il polso, mantenendola ferma.
«Sta buona» le disse, mostrandole uno sguardo severo. Lei sussultò, cercando di allontanare il braccio dalla presa di lui, che la manteneva ben salda. Si avvicinò a lei, sedendosi al bordo della vasca. Iniziò ad accarezzarle i capelli, giocherellando con le ciocche bagnate prima di estratte i cavetti dalle sue tempie. «Sei stata molto brava» fece scivolare le dita sul suo seno, sfiorandolo per pochi istanti prima di afferrare il cavo posizionato sul suo cuore. Tammy si morse le labbra, sapeva bene il dolore che avrebbe sentito. Il giovane sorrise vedendola in quello stato, e prima che lei potesse essere pronta estrasse di fretta l'ago fuori da lei. Gemette, ansimando di dolore anche dopo. Il suo petto faceva su e giù e stava cercando di riprendere fiato. Deglutì, respirando pesantemente. Poi accennò un sorriso beffardo, mordendosi un labbro.
«Quindi?» ansimò «Soddisfo i tuoi requisiti? Sono ciò che volete che io sia?» gli volse uno sguardo di profondo odio, continuando a respirare con affanno. Finalmente si riconosceva, finalmente era in grado di ribellarsi, di proteggersi da sola. Nessuno l'avrebbe salvata, perciò era arrivato il momento di farlo lei stessa.
«Di solito gli altri muoiono subito» disse impossibile, con un tono insopportabile. «E per il momento tu sei viva» accennò un sorrisetto falso, che svanì subito. Si alzò da dove era seduto e si diresse verso il tavolo metallico. Afferrò una tuta e fece per porla a Tammy. «Vai a riposare, domani c'è altro da fare. Certo, sempre se non muori prima» le sbatté i vestiti contro, spingendola poi con violenza contro la porta. «Faremo dei giochi più belli, più fisici»

Era fatta, aveva avuto la conferma che di quel ragazzo non avrebbe dovuto mai fidarsi.

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