2 - Il laboratorio di Hawkins

790 62 12
                                    

Dove si va a finire quando si muore? Forse esistono un inferno e un paradiso, o il vuoto totale... la certezza non esiste, ma nel raccontare questa storia so bene che l'inferno si, è reale, e si trova nel laboratorio di Hawkins. Per fortuna o sfortuna, dipende dai punti di vista, Tammy era viva quando mise piede lì dentro trasportata tra le braccia di quel misterioso ragazzo. Il giovane la adagiò su un lettino bianco, e lei era ancora drogata quando successe il tutto. Il ragazzo dal numero Uno tatuato sul polso sfilò delle cinture grosse e resistenti da sotto il letto, al quale erano legate. Ne strinse una ben salda sul petto di lei, a ricoprirne il seno e principalmente le braccia. Ne strinse un'altra, sempre per stretta, all'altezza del suo stomaco, immobilizzandole gli avambracci. Ancora un'altra, all'altezza del suo bacino. E un'altra, all'altezza delle sue ginocchia ad immobilizzarle le gambe. E un'altra, per finire, all'altezza delle sue caviglie, per renderla completamente inerme, una bambola.
Non c'era un vero e proprio motivo per cui Peter avesse voluto rapire proprio lei, fu l'istinto a dirglielo quella stessa sera. Uscì dal laboratorio di nascosto, durante la notte, attraverso un condotto di scarico vuoto, grande abbastanza da permettergli di attraversarlo. Si era recato a quella festa con un altro obiettivo in realtà. Voleva uccidere qualcuno, voleva affinare i suoi poteri, tenuti incanalati per tanto a lungo. Ma allora le cose erano cambiate. Da quando Undici lo aveva spedito lì, in quel posto che Peter iniziò a credere come un distaccamento temporale e parallelo, non aveva più nessuno microchip a tenerlo sotto controllo. Nonostante ciò i suoi poteri erano andati perduti dal momento in cui ebbe quell'incontro con sé stesso. Da allora cercò di riacquisirli in ogni modo. Torturò e uccise bambini, nell'intento di strappare loro i poteri, simulò dei traumi, per cercare di forzare la sua mente a scatenare tutte le sue forze, si fece addirittura torturare, per accendere la sua rabbia... ma niente. Aveva giocato al bel soldatino fino a quel giorno. Quella notte si diresse alla festa perché il suo istinto gli disse che lì avrebbe ritrovato la sua forza, ma poi vide lei. Decise subito che sarebbe stata sua, il suo giocattolo, che sarebbe stata lei la sua fonte dei poteri. Le avrebbe fatto tutto quello che avrebbe voluto, fino a quando non avesse ceduto. Non sapeva come, ma sentiva che tutto ciò che stava per farle sarebbe servito per riavere i suoi poteri indietro, per poter tornare nel suo vero mondo, quello con Undici e con Papà, per ucciderli.
Uno si sedette su una poltrona di fianco alla ragazza, attendendo il suo risveglio. Non sapeva per certo ciò che avrebbe fatto, ma non gli importava. Non gli importava nemmeno di venire scoperto, si poteva dire che lui aveva il comando di ogni cosa lì al laboratorio di Hawkins. Ma comandare non era abbastanza, non gli bastava nulla. Voleva rimodellare il mondo come lo conosceva, eliminare i confini dello spazio e del tempo, voleva esserne padrone. Manteneva gli occhi fissi sul corpo disteso della ragazza. A giudicare dalle sue forme doveva avere più di sedici anni, forse quello sarebbe dovuto essere il suo ultimo anno di scuola se non fosse scomparsa.
«Anita...» la giovane si dimenò, sussurrando nel sonno. Fino a quando non aprì gli occhi era convinta di trovarsi alla festa, addormentata forse per via dell'alcol. Ma fu lo sguardo instabile del ragazzo con il numero Uno tatuato ad accoglierla invece della sua amica. Tammy si dimenò con forza, rendendosi conto di trovarsi in un luogo a lei sconosciuto. Iniziò a sudare freddo quando si vide legata e indifesa. Chiuse gli occhi, sperando di svegliarsi da quell'incubo, ma la stanza bianca restava sempre lì, insieme a lui. «lasciami andare!» urlò tra le lacrime, ansimando. Il giovane le sorrise, allungando la mano verso di lei. Le accarezzò una guancia, asciugandole una lacrima con le nocche delle dita. Tammy rabbrividì, non sembrava umano.
«Shh, va tutto bene» continuava ad accarezzarle la guancia, scostandole i capelli dal viso. «Non c'è alcun bisogno di agitarsi» le sorrise, ma invece ottenne proprio l'effetto contrario. La giovane iniziò ad urlare e ad imprecare.
«Lasciami andare lurido verme!» pianse, dimenandosi. Le cinture erano tanto strette da farla stancare subito e graffiarle la pelle scoperta, ma nonostante ciò non si arrese. Lui la stava guardando attentamente con quei suoi occhi vitrei, la stava scrutando da cima a fondo senza battere ciglio. Si alzò dalla poltrona, dirigendosi verso un tavolo pieno di attrezzature. Quando si voltò nuovamente in direzione del letto con una siringa tra le mani Tammy rabbrividì, continuando a dimenarsi. «Se non mi dai altra scelta dovrò sedarti» le avvicinò la siringa al viso, in modo che potesse vedere bene e capire la situazione. Altre lacrime le bagnarono il viso. «Bene, vedo che iniziamo a capirci» le sorrise freddamente, compiaciuto della situazione. Adorava vedere la gente debole, impaurita ed indifesa al suo tocco. Ne ebbe la prova proprio in quell'istante. Trovò entusiasmante sfiorare la sua pelle e vederla cercare di ritrarsi in tutti i modi. Ghignò divertito. Avrebbe tanto voluto iniziare, ma non era ancora il momento. Iniziò a giocherellare con i capelli scuri e lucenti della ragazza, disegnando cerchi nell'aria con la punta delle dita. Le allungò presto sul suo viso, facendole scivolare sul suo collo e su parte scoperta del suo petto, per poi farle risalire nuovamente, in direzione delle labbra. Tammy avrebbe tanto voluto dargli uno schiaffo, e lo avrebbe fatto nonostante tutto, anche nonostante la paura, se solo non fosse stata legata. Peter trovava interessante il modo in cui la pelle di lei raggelasse ogni istante in cui le sfiorava le labbra o il collo.
«Che cosa vuoi da me?» lo supplicò lei, socchiudendo gli occhi. Lacrime amare le bagnavano il viso e le impedivano di vedere. Stava iniziando a mancarle anche il respiro e non riusciva a far altro che ansimare per l'ansia. Ancora sperava di risvegliarsi, o che qualcuno dei suoi amici uscisse da quella porta ad urlare "scherzo!", ma ormai stava perdendo le speranze. Solo si chiedeva perché lei... perché l'aveva rapita? Perché le stava facendo questo? La sua famiglia aveva deciso di trasferirsi ad Hawkins perché era una cittadina tranquilla, e allora com'era possibile che le stesse succedendo una cosa simile? Forse quelli sarebbero stati i suoi ultimi pensieri, perché quello era di certo un punto di non ritorno. Sospirò; lo avrebbe lasciato fare, gli avrebbe "permesso" di farle tutto ciò che aveva in mente. Cos'altro poteva fare ormai? Era finita, non poteva nemmeno difendersi. Che senso aveva ribellarsi se alla fine sarebbe forse morta lo stesso? Dopotutto forse accettarlo subito avrebbe fatto meno male.
«Tammy...» Peter si sedette al bordo del letto, poggiandole una mano sulla coscia. "Sa il mio nome", si disse. «Ti ho portata qui perché sei speciale» le sorrise, stringendole la mano. «Mi dispiace tanto per i modi, non voglio che tu abbia paura di me» i suoi occhi erano freddi e non li distoglieva mai da quelli di lei.
«I-Io non ho paura di te» certo che aveva paura di lui, ma era orgogliosa, persino in quel momento. Lui stava continuando a sorriderle. Avvicinò il viso al suo, immergendo gli occhi dentro i suoi.
«Allora mi faciliti di molto le cose» le sfiorò la guancia con le dita. «Io mi chiamo Peter, e sono il numero Uno» le mostrò il polso. Per Tammy era difficile capire, le sembrava tutta una follia, una condanna a morte. «Tu, Tammy, da oggi sarai la numero 27» continuava a non capire. Lui si alzò, iniziando a percorrere a piccoli passi la stanza. Un grosso specchio era piazzato sulla parete di fronte al letto. Si fermò proprio lì, con la mani strette l'una con l'altra, guardandolo fisso per pochi istanti. Le cose sarebbero cambiate una volta per tutte. «Ti aspettano grandi cose Tammy»
«Non capisco» la giovane lo guardò spaventata. Le si era seccata la gola e le tremavano le mani. Più lo guardava più vedeva il mondo spegnarsi davanti ai suoi occhi. Più si rendeva conto della situazione più sentiva la sua stessa vita, la sua indipendenza, scivolarle come sabbia tra le dita.
«Capirai molto presto» si chinò leggermente in avanti, sorridendole. «Ah, quasi dimenticavo le buone maniere. Benvenuta al laboratorio di Hawkins»

Under 001 - Stranger ThingsDove le storie prendono vita. Scoprilo ora