Per quanto, nei suoi diciotto anni di vita, Tammy avesse avuto la sua buona dose di momenti drammatici e di traumi, prima di allora non si era mai svegliata con la certezza che avrebbe ricordato quel giorno per tutto il resto della sua vita.
Fu infatti un giorno strano, seppur del tutto fittizio ed ideato dalla comunione tra le loro menti, venute fuori come contorte quasi in egual maniera.
Tammy si era immaginata con addosso un paio di Levis e una camicetta color fiordaliso decorata da piccoli rombi sparsi di vari colori pastello. Aveva presto capito che grazie all'immaginazione lì diventava possibile qualunque cosa. Per quanto potesse apparire sciocco cambiare il proprio abbigliamento, invece non fu altro che una liberazione per la giovane donna, che si era vista costretta tanto a lungo ad indossare quella sporca tuta grigiastra che il solo vedersi con addosso qualcosa di diverso era una piena vittoria, forse vicina a farla sentire nuovamente sé stessa. Ma la verità era che non era più tanto sicura che dentro quel corpo esistesse ancora quella giovane ragazza che era prima del laboratorio, di lei non era rimasto altro che un flebile respiro morente.
Peter le aveva chiesto dove avrebbe preferito fare l' "appuntamento", ma a quella domanda lei non seppe rispondere. Non aveva in mente nessun luogo che volesse deturpare con l'immagine di quel losco individuo dal numero 001 tatuato sul polso.
Allora decise lui, e presto l'ambiente si trasformò in una collina sul ciglio di una grande strada extraurbana. Dal lato sinistro della strada vi era il deserto, con tanto di cactus e balle di fieno spinte dal vento che soffiava solo in quel lato, mentre a destra della carreggiata vi era quella bella collina immersa nel verde estivo di un ricordo sfocato d'infanzia felice. Da quel lato il sole sembrava appena sorgere dal mare tempestoso che si andava schiantando contro gli scogli ai piedi della collina.
Si trattava quasi della rappresentazione di un ricordo che si era rivelato essere condiviso da entrambi i ragazzi. Si trattava della lunga strada che precedeva il casello autostradale per proseguire per Hawkins, che entrambi avevano percorso in automobile in compagnia della loro famiglia, seppure in tempi diversi. Gli ambienti che circondavano la strada erano completamente diversi da quelli della realtà, se non altro erano fittizi solo in parte. La collina con la notevole sporgenza sugli scogli era un ricordo del piccolo Henry, forse l'unico ricordo a potersi meritare il titolo di "felice", o comunque "gradevole", "pacato", ed il mare mosso sotto di essa era un ricordo che aveva la piccola Tammy del Big Sur nella sua tanto amata California, mentre il deserto dall'altro lato della strada non era altro che un deserto del tutto immaginario. All'unione, formavano il luogo dell'appuntamento tra Peter e Tammy.Sulla collina, vicino alla sporgenza, c'era un grande picnic, con una tovaglia a quadretti rossi e bianchi colma di cibi in abbondanza, all'ombra di una grande quercia.
Peter si trovava proprio sul ciglio della strada quando cinse la mano alla ragazza, invitandola a seguirlo oltre la carreggiata. Camminavano a piedi nudi sul prato immerso dalla rugiada del mattino, un tappeto d'erba umido, morbido e nodoso. Un lieve venticello scompigliava i loro capelli accarezzandoli con dolcezza, accompagnandoli fino alla grande e distesa tovaglia fino a scomparire una volta sedutivisi sopra, l'uno di fronte e di fianco all'altra.
Era strano che quasi nessuno dei due sapesse come comportarsi, per svariate ragioni. Peter non era mai stato ad un appuntamento, nemmeno come Henry, né mai si sarebbe immaginato di dover cambiare la situazione, mentre per Tammy era un po' diverso. Aveva già visto altri ragazzi prima di allora, ma nessuno di quegli incontri si era mai potuto definire un appuntamento, avesse voluto o meno che lo sembrasse. La vita di Tammy prima di Hawkins, seppur quella di una ragazzina di appena 15 anni, non era stata il modello di una giovinezza. Ragazzi grandi uscivano ed entravano dalla sua vita giorno dopo giorno, privandola sempre di più della sua innocenza da bambina. Le relazioni promiscue intente a colmare il vuoto di un amore mai ricevuto dalla figura paterna sempre assente erano il suo picnic sulla collina. Oltre a quelle, non aveva mai avuto un appuntamento prima di allora, per quanto anche quello si potesse definire reale; dopotutto era nella loro menti.
«Vuoi del vino?» Peter era visibilmente agitato, cosa parecchio strana da parte sua.
«Perché no» la giovane afferrò il calice di vetro e lo avvicinò alla mano del ragazzo che stava tenendo la bottiglia. Era curiosa di sapere che gusto avevano le cose in quel "luogo".
«È uno Chatæu Lafite del 1789, uno dei vini più pregiati al mondo» le versò il vino nel bicchiere.
«Te lo sei inventato?» sorrise, osservando il liquido corposo all'interno del calice. Incontrò gli occhi di lui attraverso il vetro, notando un ampio sorriso.
«No, lo avevo sentito nominare a mio padre una volta» quasi tremò a nominare quell'uomo. Parlare della sua famiglia lo sconvolgeva ancora, era come pigiare il dito in una piaga.
Tammy rise, scuotendo leggermente il bicchiere per osservare il movimento del liquido rosso, denso quasi come il sangue.
«E sai pure che sapore ha?» chiese, con il sorriso stampato sulle labbra morbide.
«No, ma puoi immaginare quello che vuoi» la guardò dolcemente, ma con un tono quasi quasi seccato «prova a immaginare che sappia di uva appena raccolta, con un retrogusto dolce di vaniglia e rose, e che sia delicato, forte» osservò con attenzione la ragazza appoggiare il bicchiere alle sue labbra, socchiudendo gli occhi. Mandò giù un sorso, staccando le labbra con uno schiocco umido.
«È buonissimo» sorrise. Non era mai stata ad un appuntamento del genere, ed in quel momento era felice che fosse iniziato proprio in quel modo, con quella dolcezza mai ricevuta, né da nessuno, né da Peter.
Poi sospirò, ricordando il vero motivo per cui si trovavano lì. Peter Ballard l'aveva ingannata, aveva provato a rubarle dei poteri di cui lei non era nemmeno a conoscenza, e ora stava semplicemente cercando di rientrare tra le sue grazie per chissà quale losca ragione.
«Ti ho chiesto un'appuntamento per conoscerti meglio» disse lui, come se avesse letto nella sua mente. Lei corrugò le sopracciglia e un linea d'increspatura si formò sulla sua fronte.
«Ed io sono stata tanto stupida da cascarci» fece per alzarsi, ma Peter l'afferrò per un polso, impedendole di andare via. Lui sospirò, stringendole le mani tra le sue con fare paterno. Tammy sentì un forte dolore al basso ventre, sentendo le viscere contorcersi. Era come se quel vuoto la stesse piano piano risucchiando dall'interno come un buco nero.
«Ti prego, aspetta» disse lui, mordendosi le labbra. Poi prese un respiro profondo, e pensò ad un modo per spingerla ad aprirsi, ad avvicinarsi a lui una volta per tutte. Non con intenzioni cattive, ma si sapeva, Peter Ballard non era neppure padrone delle sue stesse intenzioni, perciò era difficile capire quali fossero, o se fossero mutabili. «Non ho mai incontrato nessuno da quando sono stato trasferito al laboratorio. Almeno, nessuno al di fuori del personale medico, non prima di te. Avevo 12 anni quando la mia famiglia morì, e fui spacciato per morto anche io, perché il Papà mi volle studiare» esitò per un istante, trascurando le cause della morte della famiglia. «Papà è il dottor Brenner, quello che per te è il sindaco di Hawkins, perché beh, nel mio mondo le cose sono diverse» mandò giù un sorso di vino, immaginandolo come una bevanda ad alta gradazione alcolica, per poi riprendere a parlare «Sono stato privato della mia infanzia e della mia adolescenza, sono stato trattato come un esperimento, un soggetto da laboratorio e sono stato torturato. Con il mio DNA ha provato a trasmettere le mie capacità ad altri ragazzi come me, ma non appena si è reso contro che non ero ancora il suo burattino e che ero in grado di pensare da me ha deciso di limitare le mie forze, di prendermi sotto il suo completo controllo. Mi ha distrutto, Tammy, mi ha fatto impazzire. Ho assaggiato la libertà dopo anni interni passati ad essere un comune mortale come tanti, ma la mia identità è stata distrutta, divisa in parti. Mi sono ritrovato qui, nel tuo universo, ma ho perso tutto, ho perso i miei poteri che avevo ritrovato dopo tanto tempo e ho perso me stesso» mandò giù un altro sorso. Ora la ragazza non osava distogliere lo sguardo dal suo. «Mi sono perso perché ho incontrato te, perché tu non eri prevista. Non era previsto che io provassi delle emozioni per qualcuno che non avrei voluto fare altro che usare per tornare a casa. Ti ho usata, Tammy, è vero, ti ho forse anche sciupata, ma nel mentre tu hai sciupato me, e mi sono ingannato da solo. Sono stato stupido a credere di poterlo impedire, di potermi privare della mia umanità, ma ti avevo sottovalutata. Avevo sottovalutato il potere delle emozioni, di quello che va oltre la forza, di quello che va oltre gli schemi e i progetti» si morse l'interno guancia, rimanendo poi in silenzio.
Tammy lo guardò in stato confusionale, non sapeva cosa pensare ed ovviamente non sapeva cosa rispondere. In un qualche strano modo Peter le aveva espresso i sentimenti che provava per lei, ed ora lei non sapeva come reagire. Aveva trovato triste la sua storia, e si era sentita tanto sciocca da essersi sentita una vittima per tutto quel tempo. Quale altro comportamento poteva avere una persona che aveva vissuto traumi del genere? Dopotutto noi esseri umani non siamo altro che le conseguenze del nostro passato. Così per lei, così per lui. E per quanto l'avesse temuto fino a quel momento, dopotutto, cos'era il peggio che poteva succederle se ciò che restava di lei era già andato perduto?
«Io non... non so cosa dire» disse lei, mordendosi un labbro. La verità era che forse aveva anche fin troppe cose da dire, ma non sapeva da quale iniziare. La verità era che anche lei provava qualcosa per lui, per il suo rapitore. Sapeva che non era normale, ma sentiva con lui un senso di sicurezza che non avrebbe mai provato con nessuno. Forse era una sorta di principe azzurro invertito? E se la favola andasse diversamente, con la principessa che si innamora del drago che la tiene in trappola nella torre?
«Parlami di te, solo di te» le disse lui, con una dolcezza mai vista. Tammy si sentì coccolata dalla sua voce, e mostrando un timido sorriso annuì.
«Prima del laboratorio ero una studentessa dell'Hawkins High, ora starei frequentando l'ultimo anno, mi diplomerei...» abbassò lo sguardo, dopotutto era un sollievo essere lontana dalla sua vita di tutti i giorni. Si sentiva più al sicuro lì, lontana dalle responsabilità del mondo adulto. Si disse che avrebbe dovuto smettere di fare la vittima. «Ma la mia vita era già un disastro, ancor prima di venire qui. Mia madre è un alcolizzata, seppure vada agli incontri degli alcolisti anonimi e sia sobria da un anno e sei mesi, ma sono sicura che abbia già ripreso a bere. Mio padre è comparso nella mia vita poco più di due anni fa, prima di allora avevo un ricordo vago di lui, ero piccola quando se ne andò. Oltre alla mia famiglia non avevo nessuno, nessuno oltre Anita, ma lei è venuta dopo Hawkins. Dopo Hawkins si è sistemato tutto, era tutto più tranquillo, forse. No, prima non era così, prima era un disastro, ma io ho sempre saputo convivere con i disastri.» rise debolmente «ma non me la sento di dire altro, non posso andare oltre» i suoi occhi erano vitrei e persi nel vuoto.
Peter allungò la mano sulla sua gamba, accarezzandola, per poi avvolgere il braccio sulle spalle di lei, spingendola ad avvicinarsi. Era strano, perché per quanto Peter avesse sempre dimostrato di disprezzare il contatto umano, in quel momento né sembrò grato, forse perché non era realmente fisico. Tammy appoggiò la testa sulla sua spalla, e sospirò.
Non sapeva cosa c'era in quello strano vino, ma contro ogni sua aspettativa si sentiva bene, e per quegli ultimi istanti perse di vista tutto l'odio che provava per Peter. Pensare al suo passato e alla sua vita l'avevano scossa, seppur non ne avesse parlato più di tanto. Lui, nonostante tutto, sembrava essere la sua unica certezza.
Lo spinse con forza per terra, sedendosi a cavalcioni sul suo bacino. Peter le strinse i fianchi con i palmi delle mani, affondando le dita nella carne coperta dai jeans, spingendosi in sù in modo da aumentare il contatto. Sorrise, guardandola negli occhi, era come se in quel momento esisteva solo il Peter umano, né Henry, né 001. Solo quel "parassita" che gli aveva fatto scoprire di avere un'anima anche lui.
Avvicinò il corpo al suo, facendola rotolare sotto il suo peso, afferrandole poi i polsi con una mano e posizionandoli appena sopra la sua testa, per poi far scorrere l'altra mano sul petto di lei, scivolando lungo la vita. Le lasciò una scia di baci umidi sul collo, e tra ansimi e respiri affannosi si scambiarono quelle parole che non sarebbero mai riusciti a dirsi a voce. Mentre le loro labbra si incontravano e i loro corpi si bramavano, le loro menti si distruggevano. La verità era che erano l'una il parassita dell'altro, pronto a deteriorarli per l'ultima volta.
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Under 001 - Stranger Things
FanfictionCome sarebbero le cose se nel momento in cui Undici creò il sottosopra fosse nato un distaccamento temporale parallelo? Una parte di 001 resterà intrappolata in un tempo diverso, dove nel quale riesce ad evitare la sua sorte maledetta, ritrovandosi...