20 - Lontano da te

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Le telecamere sembravano malevoli marchingegni appollaiati sui loro sostegni diabolici. Un solo occhio vuoto e scuro, illuminato da una singola lucetta rossa, girava su se stesso di tanto in tanto ai movimenti dei soggetti. Erano puntate in direzioni diverse in ogni angolo della struttura, in modo da coprire tutta la superficie del laboratorio. Non servivano solo a controllare e a monitorare, ma a anche ad incutere timore. Gli esperimenti dovevano sapere di non avere scampo alla mano possente della giustizia del laboratorio.
Tammy e Peter erano la prova vera e propria di chi nell'intento di raggirarla finì proprio nelle sue grinfie; e loro non ebbero scampo alcuno.

Tammy rimase chiusa in camera per un giorno, a rimuginare su ciò che era successo. C'era stata così vicina, così vicina... Ma adesso si ritrovava di nuovo là, in quel posto senza speranza. Non aveva visto Peter da quando le guardie li avevano trovati in mezzo al bosco. Quella notte lo avevano accerchiato e lo avevano picchiato. Nonostante lui non avesse opposto alcuna resistenza loro decisero ugualmente di abusare della loro autorità, martoriandolo sotto gli stessi occhi sconvolti di Tammy. Una sola guardia la teneva, e quando riuscì a spingerla via con un calcio per andare ad aiutare Peter un'altra guardia la raggiunse di fretta, gettandola con la faccia a terra.
001 non si era aspettato una reazione così da parte della ragazza, non si aspettava che si sarebbe ribellata in quel modo per non vederlo soffrire, per aiutarlo. Quando vide come le guardie la trattarono urlò loro di non toccarla, ma, per quanto fosse sincero contro ogni previsione, il copione era ormai stato stilato, e nessuna di quelle guardie poté pensare al fatto che potesse esserci un cambio di programma da una persona tanto metodica e senza dubbio meschina come lui. Non era normale che gli importasse di non farle del male.
Quando Tammy si ritrovò nuovamente nella camera del laboratorio fu lasciata lì per un giorno, da sola. Un altro inserviente veniva di tanto in tanto a portarle del cibo e dell'acqua, ma non le rispondeva mai quando chiedeva di Uno. Continuò così per un altro giorno, e un altro ancora. Erano altri inservienti a scortarla dalla sua camera alla stanza arcobaleno e nelle stanze degli studi. Monitoravano le sue funzioni, la tenevano sottocchio e poi la accompagnavano nuovamente in camera. Erano sempre diversi, e nessuno di loro era Peter, anche se tante volte sperava di vederlo comparire da qualche parte anche distante da lei.
Aveva ragione, non avrebbe dovuto dubitare di lui. Era vero che i grandi capi di quel laboratorio stavano cospirando contro di loro, e in tutto questo Peter voleva solo aiutarla, ma lei non si era mai fidata. Era stata tanto sciocca da crederlo una cattiva persona, mentre in realtà non era così.
Ma Tammy non sapeva niente di niente.

Quel giorno qualcuno lasciò la porta socchiusa.
«C'è qualcuno?» chiese. Non pensava veramente che le avrebbero risposto, ma credeva che se avessero dimenticato la porta aperta e fossero stati lì vicino sarebbero corsi subito a chiuderla sentendo la sua voce. Invece la via era completamente libera. Prese un respiro profondo e si alzò dal letto, avvicinandosi cautamente verso la porta. La aprì piano, cercando di fare il minor rumore possibile. Il corridoio era completamente vuoto, doveva essere successo qualcosa, doveva esserci qualcosa sotto. Avanzò lentamente, senza smettere mai di guardarsi intorno. Non aveva paura, ma non voleva ugualmente venire scoperta. Aveva bisogno di sapere che fine avesse fatto 001. E se era morto?
Delle urla di dolore la guidarono lungo l'ultimo tratto di strada.
«Basta, per favore» una voce soffocata echeggiò nel corridoio, seguita subito dopo dal rumore di fruste metalliche. Avrebbe riconosciuto quella voce in mezzo a centinaia di persone. Tammy si sporse in avanti, c'era una porta aperta proprio dietro l'angolo. C'era una cerchia di persone chinate su un uomo inginocchiato per terra. Era difficile capire chi fosse, nonostante avesse i suoi sospetti. Si sporse leggermente più avanti; non le importava di venire scoperta, la curiosità era troppa. Quando il giovane alzò il viso lo riconobbe subito. I suoi occhi erano ridotti a fessure e le occhiaie erano più profonde che mai. Aveva un grosso livido sullo zigomo sinistro e il labbro spaccato e sporco del sangue fresco che gli stava colando dal naso. Sussultò alla vista del viso colmo di orgoglio di lui. Quando la vide incontrò presto il suo sguardo, per poi distoglierlo di fretta quando una guardia gli sbatté contro il manganello elettrico sul petto, mandandogli una forte scossa. Si trattenne dal gridare, era una persona molto orgogliosa, e per la verità era quasi impenetrabile dal dolore.
Le tre guardie fecero cadere di peso il ragazzo per terra, per poi dirigersi verso la porta. Tammy corse presto dietro l'angolo, sperando che non girassero di là. Voleva andare a vedere Uno, e quello era il momento perfetto. Attese qualche minuto, e quando trovò via libera entrò nella stanza, chiudendo la porta dietro di se.
«Tammy...» sussurrò lui, strascinandosi sul pavimento «Non dovresti essere qui»
«Oh mio Dio... che cosa ti hanno fatto?» corse verso di lui, aiutandolo a mettersi seduto. Si chinò alla sua altezza, mettendosi in ginocchio. Avvolse un braccio sotto le sue ascelle, cercando di aiutarlo a mettersi in piedi, ma lo lasciò presto andare sentendolo gemere.
«Sto bene» sorrise, emettendo un verso di dolore. Alzò leggermente la sua camicia, scoprendo il ventre arrossato colmo di graffi e lividi. Tammy si coprì la bocca con la mano.
«Stai sanguinando» sfiorò il taglio proprio sopra il cavallo dei pantaloni con le dita. «È tutta colpa mia» i suoi occhi erano lucidi.
Peter le afferrò la mano, allontanandola dolcemente dal punto ferito.
«No, non è colpa tua» i suoi occhi scavarono con prepotenza dentro di lei.
«Non ti avrebbero mai fatto una cosa del genere se non mi avessi mai aiutata» singhiozzò. «Non avresti mai dovuto venire da me, non avresti mai dovuto proteggermi»
Le strinse entrambe la mani, guardandola negli occhi. Brividi di freddo percorsero ogni singolo angolo del corpo di lei, immersa nel freddo del suo sguardo.
«Non mi pento di niente» abbozzò un sorriso «farei tutto quello che ho fatto altre mille volte, soffrirei altre mille volte» c'era qualcosa di sincero in quello che aveva detto. La stava manipolando, ma non stava mentendo. Aveva costretto le guardie a fargli del male per lei. Aveva assecondato i desideri di chi lo odiava dal profondo del proprio cuore per avvicinarla ancora di più, per continuare il suo piano, ma anche per convincerla ad apprezzarlo. Non aveva alcun senso, ma non riusciva più a controllarlo.
Allungò la mano sul viso dolce di lei, spostandole una ciocca ribelle dietro l'orecchio, per poi darle una carezza sulla guancia.
«Io sono stato il primo» le mostrò il tatuaggio sul polso, «ma tutto questo finirà con te».
Si sentì avvolta da quello sguardo, e qualcosa di strano le passò per la testa. Forse non sarebbe stato tanto male restare lì con lui, cambiare quella realtà.
«Lascia che ti aiuti» cercò nuovamente di avvolgere il braccio sotto le sue ascelle, e finalmente riuscirono ad alzarsi entrambi. Lo scrutò dal basso della sua altezza, sentendo quello strano fastidio allo stomaco. Era bello anche così.
«Tammy» sussurrò. Era il momento. «Ho bisogno che mi aiuti a cambiarlo, a cambiare tutto».
Lo avrebbero fatto eccome, ma a modo suo. Avrebbe affrontato quegli stupidi sentimenti, avrebbe messo da parte quello stupido lato umano che stava sviluppando. No, niente gli avrebbe impedito di risorgere in tutta la sua grandezza. Aveva un conto in sospeso, e nemmeno quella nuova parte di sé lo avrebbe ostacolato.
I sentimenti erano per i deboli.
Lui no, lui non era niente di ciò che lei credeva.

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